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 2024  marzo 05 Martedì calendario

Intervista a Paolo Virzì

«Ferie d’agosto era il mio secondo film ed era girato di merda». Paolo Virzì sorride mentre ricorda: «Non mi curavo di luci e sfondi, guardavo solo gli attori, che erano tanta roba. Mi ero preso una steadycam per stare addosso alla sconsolatezza di Marisa (Sabrina Ferilli), la fragilità di Cecilia (Laura Morante), i modi ruvidi e affettuosi dell’intellettuale, Sandro Molino (Silvio Orlando), la spavalderia dei Mazzalupi».
Ventott’anni dopo Un altro Ferragosto quei personaggi che hanno reso il film un culto sono tutti lì, anche quelli che non ci sono più, come Ennio Fantastichini e Piero Natoli, in un intreccio di storie che fa i conti col passare del tempo e la morte, con le sconfitte personali e collettive. Ritroviamo Sandro, Orlando, l’ex giornalista de l’Unità malato terminale che sussulta se lo chiamano radical chic, non s’interroga sul futuro di Elly, piuttosto dialoga con Spinelli e Pertini sulla democrazia in pericolo, in una Ventotene in cui si è generata l’idea fondativa della convivenza civile del Dopoguerra, mentre oggi riesplodono guerre e nazionalismi.«In questo film rappresento la morte», racconta Orlando, «con mio figlio, Andrea Carpenzano, siamo due alieni, mi ritrovo nel nipotino, a cui spero di trasmettere la speranza del futuro» («sarà il nuovo leader della sinistra?», scherza Virzì, ndr ).
Marisa-Ferilli, vedova di Marcello- Natoli, s’accompagna a un ingegnere: «Come nel primo film non è felice, non s’illude di trovare soluzioni. Le donne sono malinconiche, mai rassegnate o vinte. Cercano di essere felici, non ci riescono. Sono il seme di speranza in questa staffetta continua tra vita e morte, ma c’è tanta umanità in queste coppie. Nessuno dice all’altro d’essere uno stronzo ma è difficile rapportarsi, ognuno segue qualcosa che è lontano da ciò che chiede al compagno. Un dialogo tra sordi».
L’ingegnere ha l’umanità di Christian De Sica: «Quando Virzì mi ha proposto quest’imbroglione, alcolista, ladro, con un teschio al collo, ho accettato di corsa. È un personaggio che mi fa tenerezza, un disperato, come Marisa». Vinicio Marchioni è Cesare, palestrato e tatuato futuro marito di Sabry, diventata un’influencer corteggiata dai partiti di destra: «Paolo mi ha detto solo: è uno con gli occhi di una mucca. Sintesi perfetta per definire la sua mancanza intellettuale: un ignorante fascista, un parvenu che si approfitta della compagna, pessimo padre. Lo abbiamo costruito pensando alla mascolinità tossica dei fratelli Bianchi, gli assassini di Colleferro, e alla ricerca ossessiva nel look di Cristiano Ronaldo: dentro non c’è niente».
Gli autori (Paolo e Carlo Virzi, con Francesco Bruni) raccontano un Paese che ha perso il senso dell’indignazione e della vergogna, orgogliosamente omofobo, privo di memoria e slancio. Sabrina Ferilli torna al primo film: «Prima c’era un rapporto più naïf delle famiglie così come il credo, oggi tutto è più volgare, lo è anche la nostra famiglia, Mazzalupi». Ragiona De Sica: «In quell’Italia c’era forse più ottimismo che ora non c’è più». Per Orlando «la nostalgia è sempre un sentimento carogna. Il tempo è passato e sembra migliore ma si soffriva ai tempi come adesso. Allora c’era un antagonismo vero. Pensavamo che Berlusconi fosse il male assoluto, ora facciamo fatica a trovare il male assoluto, si è sparpagliato per il mondo e forse siamo noi il male assoluto, siamo diventati negrieri di noi stessi. Gli influencer sono dei cottimisti che lavorano a like, come fossero nell’Ottocento».
Il set del 1995 fu gioioso, questo più consapevole. Su entrambi aleggia la presenza di Natoli e Fantastichini. Laura Morante ricorda: «Con Ennio e Piero si stava molto insieme. La mia Cecilia anche in questo film non si rassegna a essere ignorata, disprezzata da un marito intellettuale, si sente sempre un po’ inferiore e non è proprio una cima».
Orlando: «Fuori dalle riprese non ricordo niente, eravamo molto meno sobri di adesso, era un set alcolico. A Ennio quando diceva le battute di destra gli veniva da vomitare, era di super sinistra e Piero era un anarchico imprendibile, non condividevano niente con i loro personaggi. Ma per qualche motivo, misterioso e magico, il dio del cinema è venuto sul set, si è fermato a guardare e da quel momento quel film ha preso un’aura magica, che spero si allarghi anche a questo».