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 2024  marzo 05 Martedì calendario

Sul foglietto che fece cadere il Muro è battaglia tra il museo e la «Bild»

BERLINO C’è un foglietto che ha un ruolo memorabile, quasi magico, nella recente storia tedesca. Appunti scritti a penna su carta sottile, formato A4, rigata. Lo teneva in mano Günter Schabowski, dirigente del partito comunista Sed, la sera del 9 novembre 1989 quando in una disastrosa conferenza stampa, inavvertitamente, fece aprire i cancelli e cadere il Muro di Berlino. Su quel biglietto – ora custodito alla Haus der Geschichte (casa della Storia) di Bonn – si è scatenata una dura battaglia che può avere ripercussioni anche su altri lasciti ai musei.
La storia fa parte della mitologia berlinese e ha per protagonista un italiano. Fu quasi al termine della conferenza stampa trasmessa in diretta tv che il corrispondente dell’Ansa Riccardo Ehrman chiese a Schabowski se ci fossero delle novità riguardo ai viaggi all’Ovest di cittadini della Ddr. E Schabowski, che aveva ricevuto dei fogli con le ultime decisioni del partito senza averle né lette né digerite, sfogliò i documenti e disse che potevano uscire «senza restrizioni». Ehrman chiese da quando, e Schabowski scrutando i fogli che non parevano contenere una risposta disse «Nach meiner Kenntnis … ist das sofort, unverzüglich», a mia conoscenza, è subito, immediatamente. (Fece una tremenda confusione: le disposizioni non si applicavano a tutti, ma solo ai pochi detentori del passaporto con visto; e dovevano entrare in vigore dalle 4 del mattino).
Immediatamente ai valichi si formarono code finché quello di Bornholmer Strasse non si aprì. Per questa domanda, Ehrman diventò l’«uomo che fece cadere il Muro di Berlino».
Il foglietto sparì e ricomparve nel 2015 al museo di Bonn, che lo acquistò per 25 mila euro da un anonimo venditore. Sennonché la Bild vuole conoscerne il nome. Ha fatto causa al museo vincendo per due volte, siamo al terzo appello a Münster. Ma il direttore, Harald Biermann, si rifiuta di obbedire alla sentenza. «Se rendiamo pubblico il nome – dice alla Süddeutsche Zeitung — sarà un disastro. Nessuno offrirà più i quadri ai musei se la sua identità dovrà per forza essere nota». Non basta. Anche la vedova russa di Schabowski, Irina, ora reclama il foglietto come parte della sua eredità.
C’è un’altra complicazione. Il giornalista tedesco Peter Brinkmann (che partecipò allo scambio tra Ehrman e Schabowski e pertanto si avvale del titolo del secondo uomo che fece cadere il Muro) ha una versione diversa. Era buon amico di Schabowski. Secondo lui, il dirigente del Sed scrisse sì quel foglio, ma più tardi la sera. Arrivato a casa, Schabowski – dice Brinkmann – si stappò una birra, e guardando la tv occidentale con la moglie vide quel che stava succedendo senza collegarlo alla conferenza stampa. Più tardi, spaventato, preparò quel biglietto, a giustificazione e prova che tutto ciò che aveva detto era stato concordato con i capi. Sarebbe quindi un falso d’autore. Ma non si rovinano così i miti e i reperti, nessuno crede alla versione di Brinkmann.