il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2024
L’Italia ha il record globale di utili nascosti all’estero
L’Italia ha il record mondiale di “travaso” di utili societari nei paradisi fiscali: se non per valore assoluto delle somme esportate nelle giurisdizioni meno pesanti dal punto di vista dell’Erario, sicuramente per numero. Un primato consolidato, pari al 9,2% di tutte le operazioni di trasferimento degli utili societari nel mondo, che si misura non nel breve termine di un anno o due ma sul lungo periodo di 12 anni. Una supremazia che colloca l’economia tricolore davanti ad altre, ben più poderose, come la Germania, lasciata sul secondo gradino del podio, e agli Stati Uniti, terzi con forte distacco per numero di operazioni ma primi assoluti per valore dei profitti “traslocati” offshore. Lo attesta uno studio monumentale appena pubblicato dal centro di ricerca congiunto (Jrc) dell’Unione europa che analizza 59 densissime pagine calcola e condensa i dati su quasi 2,28 milioni di bilanci societari depositati tra il 2009 e il 2020, analizzando gli effetti causati dal dumping fiscale in oltre 100 Paesi. La ricerca è stata condotta su un database immenso realizzato e analizzato da un team composto da Fotis Delis (Jrc di Siviglia), Manthos Delis (Università di Ioannina, Grecia), Luc Laeven (direttore generale del dipartimento di ricerca della Bce) e Steven Ongena (Università di Zurigo). Le cifre in gioco sono enormi: nel periodo in esame, i quattro economisti hanno calcolato una “transumanza fiscale” pari a oltre 13.500 miliardi di dollari di utili societari trasferiti all’estero su un totale di 37.500, pari al 36% del totale dei profitti esaminati. Ma il dato sale addirittura a quasi il 53% degli utili sottratti alla tassazione nei Paesi dove sono stati generati quando si parla delle 10 maggiori multinazionali dedite a queste pratiche.
Lo studio dimostra che gli azionisti italiani sono quelli più impegnati nel mondo a sottrarre al Fisco i profitti delle loro aziende. Su oltre 789 mila dati relativi ai Paesi di residenza dei beneficiari finali delle imprese che hanno trasferito utili nei paradisi fiscali durante il periodo 2009-2020, nella Penisola si sono contati 72.385 casi, pari al 9,2% del totale globale. In Germania, seconda, le rilevazioni erano oltre 65 mila, pari all’8,3%, mentre negli Stati Uniti il calcolo si è fermato poco sopra quota 47 mila, il 6% del totale globale. Una conferma che non è tanto la dimensione assoluta delle imprese in termini di giro d’affari o di redditività, quanto la cultura locale il fatto che più incide sull’utilizzo del dumping fiscale nel Pianeta. E l’Italia, che “vanta” decenni di expertise nella gestione del sommerso e del nero, su questo fronte non teme rivali. Curiosamente, dall’analisi emerge che tra il 2009 e il 2020 erano Irlanda, Ungheria e Repubblica Ceca i Paesi più utilizzati da azionisti italiani per spostare i loro profitti in legislazioni fiscalmente più convenienti: il dumping fiscale, che su scala globale si indirizza verso località offshore come i Caraibi, gli Emirati Arabi Uniti, Singapore, alcuni Stati insulari del Pacifico e alcuni Paesi africani, è dunque assai diffuso anche all’interno dell’Unione europea.
Dallo studio emerge poi che le multinazionali sono il vero vaso di Pandora del trasferimento dei profitti su larga scala (e il tallone d’Achille dei rispettivi governi nazionali), dato che mantengono filiali in Paesi a bassa tassazione e Paradisi fiscali a tassazione zero con il solo scopo di trasferire profitti in modo da beneficiare del minor carico erariale. Lo studio ha analizzato i comportamenti fiscali delle 20 maggiori multinazionali che tra il 2009 e il 2020 hanno spostato all’estero gli utili negli anni in cui questi sono stati realizzati e delle 10 multinazionali maggiori che hanno spostano profitti anche negli anni di conti in perdita. Se si considerano solo gli anni con bilanci in utile, le prime 20 multinazionali hanno spostato nei paradisi fiscali sino a un terzo dei profitti, pari a 1.338 miliardi di dollari su 5.596 realizzati. Ma se si guarda agli anni con perdite di bilancio, la media degli utili fatti sparire offshore dalle prime 10 aziende globali sale sino al 53%, 1.911 miliardi di dollari su 3.617 di utili realizzati. I nomi di questa lista di grandi elusori sono noti a tutti in Occidente: sono giganti della tecnologia, del petrolio e delle vendite al dettaglio come Apple, Saudi Aramco, Microsoft, Exxon Mobil, Samsung, Walmart, Chevron, Verizon, AT&T, Alphabet (Google).
In questo gorgo che aspira utili societari, cioè tasse, dai Paesi in cui sono stati realizzati verso i paradisi fiscali, dal 2009 al 2020 sono finiti in media 1.124 miliardi di dollari l’anno, pari al 36% dei profitti totali calcolati dalla ricerca. La somma complessiva supera i 13mila 500 miliardi di dollari svaniti all’estero a livello globale in 12 anni: denari che sarebbero serviti per realizzare scuole, ospedali, infrastrutture, garantire welfare, pensioni e assistenza ai lavoratori e ai poveri. Il tutto ovviamente non avviene senza la collaborazione delle grandi società di consulenza mondiale, di fiscalisti, commercialisti e soprattutto delle banche che fanno transitare i fondi.
La ricerca del Jrc della Ue conferma altri studi realizzati sul dumping fiscale. Ne esce un quadro sconfortante che giustifica l’adozione della global corporate tax dell’Ocse e sostiene quei Paesi, e sono molti, che chiedono misure più severe contro i paradisi fiscali.