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 2024  marzo 04 Lunedì calendario

Perché i taxi sono introvabili

Per risolvere la questione tutta italiana delle lunghe attese dei taxi, ci sarà ancora molto da attendere. A sei mesi dal decreto Salvini-Urso non si registra alcun aumento delle licenze (è così da vent’anni, oramai) e i taxi continuano a non trovarsi. A Milano ogni mese 500 mila chiamate inevase. A Roma addirittura 1,3 milioni.
Enrico Mattei quando parlava dei suoi rapporti con la politica non aveva bisogno di girarci intorno: «Per me i partiti sono come i taxi: li utilizzo, pago il dovuto, e scendo». Quasi 65 anni dopo sono i tassisti a decidere come utilizzare i partiti, mentre migliaia di clienti restano in attesa «per non perdere una priorità» mai acquisita. Le norme che avrebbero dovuto mettere più taxi in circolazione, emanate dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini e da quello delle Imprese Adolfo Urso, risalgono ad agosto 2023. E allora la domanda è: quando aumenteranno le licenze?
Vent’anni senza nuove licenze
Per legge sono i Comuni ad avere il compito di stabilire quante licenze servono e di rilasciarne di nuove a titolo oneroso o gratuito. A Milano l’ultima volta che il sindaco è riuscito a incrementarle risale al 2003, concedendo le licenze senza farle pagare ai tassisti vincitori del bando. Oggi il capoluogo lombardo conta 4.855 licenze. Le chiamate inevase, cioè quelle di cittadini che telefonano per avere un taxi ma non lo trovano, oscillano intorno alle 500 mila al mese, con punte del 40% sul totale delle richieste.
A Roma non avviene dal 2005, e la scelta è sempre quella di rilasciarle a titolo gratuito. La Capitale oggi conta 7.692 licenze. Lo scorso luglio le chiamate andate a vuoto sono 1,3 milioni, il 44% del totale. A Napoli l’ultima licenza concessa risale al 1998, al costo di 7.500 lire. In totale sono 2.364, mentre le richieste a vuoto arrivano a quasi 150 mila in un mese, praticamente una su due. È il motivo per cui l’Antitrust, a fronte dei dati raccolti con un’indagine conclusa nel novembre 2023 sui cittadini rimasti senza taxi, sollecita i tre Comuni ad adeguare il numero delle licenze alla domanda. Non va meglio altrove: nelle 110 principali città italiane le licenze sono 23.139, più o meno le stesse da 20 anni, come emerge dal rapporto dell’Autorità di regolazione dei Trasporti.
Vecchie e nuove norme
Insomma la legge che regola la materia, la 21 del 1992, viene decisamente poco utilizzata, almeno dai Comuni. La usano invece i tassisti: chi ha una licenza da più di 5 anni, o ha compiuto i 60 anni, o per malattia, può indicare al Comune il soggetto a cui trasferirla. In caso di morte può essere trasferita a uno degli eredi, o a chi indicato da loro. Nella pratica il titolare di licenza decide a chi venderla e a quale prezzo: i valori di mercato oscillano fra 150-200 mila euro. Di qui la volontà di bloccare qualsiasi iniziativa dei Comuni che, con l’aumento delle licenze, possa in qualche modo deprezzare quelle in circolazione.
L’altra norma che si aggiunge alla legge-quadro è il decreto Bersani del 2006 che prevede la possibilità di un risarcimento per la categoria. Il decreto dice che se il Comune anziché rilasciare nuove licenze a titolo gratuito decide di farsele pagare, l’80% dell’incasso deve essere ripartito fra i tassisti già in circolazione in quella città, mentre l’altro 20% deve essere investito in politiche sulla mobilità.
Finito nel nulla invece l’articolo 10 del Ddl Concorrenza dell’allora premier Mario Draghi che prevedeva tra l’altro di dare una delega al Governo per riscrivere entro febbraio 2023 le regole sui taxi. Dopo l’ennesima rivolta dell’intera categoria l’articolo viene stralciato. Infine il 10 agosto 2023 arriva il decreto Salvini-Urso, definito un provvedimento emergenziale in attesa di una revisione più complessiva del settore. Le nuove norme non toccano la legge-quadro del 1992, ma offrono a 65 Comuni (capoluoghi di Regione, città metropolitane e sedi di aeroporto) un iter amministrativo-burocratico alternativo e, almeno sulla carta, più veloce per rilasciare nuove licenze. La procedura prevede un intervento più limitato dell’Autorità di regolazione dei Trasporti, e il suo parere arriva entro 15 giorni, contro i 45/60 giorni necessari per la procedura standard. Questo avviene perché l’Autorità non apre istruttorie per valutare se il numero di nuovi taxi (inclusi quelli per disabili) è adeguato, ma prende in considerazione solo il contributo economico richiesto dal Comune per il rilascio delle nuove licenze. L’incremento massimo di licenze si ferma al 20%, e il Comune che decide di seguire la procedura accelerata non ha più l’opzione di concedere gratuitamente le nuove licenze, è obbligato a venderle e a ripartire il 100% dell’incasso tra i tassisti, per compensarli di eventuali minori ricavi dovuti a una maggiore concorrenza. Ma venderle a quanto? Il regolamento dice che occorre basarsi sullo studio fatto dall’Agenzia delle Entrate.
Il caso Milano
Il primo a muoversi utilizzando la procedura straordinaria è il Comune di Milano. E sul prezzo si scopre subito che non c’è nessuno studio dell’Agenzia delle Entrate. La decisione del sindaco Beppe Sala di utilizzare il decreto Salvini-Urso è motivata dalla volontà di bypassare Regione Lombardia a cui spetta, in base a norme regionali, l’autorizzazione all’aumento delle licenze, ma è riluttante nel farlo. Il 15 novembre 2023 viene pubblicata la delibera per indire il concorso straordinario finalizzato al rilascio di 450 nuove licenze al costo di 96.500 euro l’una. Come si è arrivati a questa cifra? Secondo i conti del Comune le 450 licenze faranno diminuire del 5,03% le corse evase dai tassisti già in circolazione, con minori incassi per 8.048 euro in un anno. Moltiplicando 8.048 per gli attuali 4.855 titolari di taxi si arriva al risultato di 39.073.040 milioni: è la cifra con cui il Comune vuole risarcire i tassisti milanesi. I 39 milioni divisi per le nuove licenze fanno 86.829 euro che, dunque, per Milano è la cifra a cui vendere ciascuna licenza, che sale a 96.500 perché considera una percentuale di sconto da applicare a chi è in possesso di un’auto abilitata al trasporto disabili, o s’impegna per 5 anni a fornire turni notturni e nel fine settimana. I tassisti milanesi hanno risposto con un ricorso al Tar (che si esprimerà il 18 aprile). A loro il calcolo del Comune è indigesto: vorrebbero che le nuove licenze venissero vendute a un presunto valore di mercato di 160 mila euro, in modo anche da scoraggiare la partecipazione degli aspiranti tassisti.
Il caso Roma
Anche il Comune di Roma è alle prese con l’aumento delle licenze. La scelta però è di puntare sulla procedura vecchia (quella della legge del 1992), in modo da non essere obbligati a dare il 100% dell’incasso ai tassisti e potere intervenire su più aspetti di organizzazione del servizio con l’aiuto dell’Autorità di regolazione dei Trasporti. L’obiettivo del sindaco Roberto Gualtieri è di rilasciare mille licenze permanenti e altre 500 stagionali pubblicando il bando prima dell’estate. Roma è la città che più di tutte sta soffrendo il disagio di un servizio carente e inadeguato, ma anche quella più vulnerabile in caso di scioperi.
Le altre città e i problemi di sempre
Bologna sta costruendo il bando per 72 nuove licenze con le norme Salvini-Urso, che andranno ad aggiungersi alle attuali 722. Nel 2018 il Comune le ha messe in vendita a 175 mila euro riuscendo ad assegnarne solo 16 su 36. Il tentativo ora è di abbassarne il prezzo e pubblicare il bando a maggio. Modena e Ravenna intendono seguire, invece, la vecchia procedura. Poco o nulla si muove altrove. Eppure le leggi ci sono tutte, ma resta il problema di sempre. Appena i Comuni provano a mettere mano alla questione per i tassisti è di fatto sempre un no, e bloccano la città. E non vogliono neppure la concorrenza di Uber &C. Dai governi però non è mai arrivata la copertura politica. È necessario ricordare che i taxi svolgono un servizio pubblico la cui prestazione deve essere obbligatoria, capillare sul territorio, e accessibile economicamente. Ma nel Paese delle lobby, quella composta da milioni di cittadini che aspettano inutilmente un taxi che non arriva, ancora non c’è.