il Giornale, 3 marzo 2024
I figli e Margherita: due mondi in guerra (anche di religione)
Una guerra di soldi, ma anche una guerra di mondi e perfino di religioni. Da quasi vent’anni ormai si trascina lo scontro tra Margherita Agnelli e i figli di primo letto: come in tutte le soap opera che si rispettino c’è la vicenda principale e poi ci sono quelli che gli sceneggiatori americani chiamano subplot, trame secondarie che si diramano dal tronco iniziale. Un esempio è la storia dell’avvocato Emanuele Gamna, prima legale di Margherita e poi da quest’ultima accusato di infedeltà. Della figlia dell’Avvocato è diventato uno dei più acerrimi nemici: sulla vicenda ha scritto perfino un libro, presto si aprirà uno dei tanti processi che li hanno visti contrapposti.
Più drammatica ancora la vicenda di Maria, prima tra le figlie di Margherita e di Serge de Pahlen, il nobile franco-russo che l’ereditiera torinese ha sposato in seconde nozze. Il suo rapporto con la madre sembra la copia di quello che c’è stato a suo tempo tra Margherita e mamma Marella: incomunicabilità, incomprensioni, fratture irreparabili. Maria ha vissuto a Mosca, sposato un russo, con lui ha avuto due figli e si è trasferita in una sperduta cittadina siberiana per poi divorziare. Margherita, dopo una faticosa battaglia legale, le ha tolto i due bimbi, di cui ha ottenuto l’affidamento. Maria, nel frattempo sì è trasferita nel Caucaso, dove vive molto modestamente con il nuovo compagno, un georgiano con cui ha fatto altri due figli.
Nella trama principale, quasi per obbedire a perfette regole drammaturgiche, e nonostante le comuni origini, le parti in causa non potrebbero essere più diverse: da una parte gli Agnelli-Elkann, grande dinastia ebraico-cattolica, industriali cosmopoliti abituati a ribalta internazionale e agli appuntamenti da jet-set; dall’altra gli Agnelli-de Pahlen, devoti greco-ortodossi, riservati, poco mondani e dalle frequentazioni che guardano alla nuova Russia, che ha riscoperto poi la vecchia: identità cristiana, autorità e tradizioni.
Nella tenuta di Allaman, tra Ginevra e Losanna, dove Margherita ha cresciuto i cinque figli che ha avuto con de Pahlen e dove da piccoli hanno vissuto anche John, Lapo e Ginevra Elkann (frutto del matrimonio con Alain Elkann), la discendente degli Agnelli ha voluto costruire una cappella ortodossa tutta in legno, decorata con preziose icone. A benedirla è stato a suo tempo il Patriarca di Mosca Alexis II. Sin dagli anni novanta del secolo scorso, de Pahlen, erede di una famiglia di aristocratici russi rifugiati in Francia ai tempi della rivoluzione, stringe uno stretto rapporto con l’oligarca Kostantin Malofeev, capofila dell’ala più tradizionalista e neo-zarista del potere putiniano. Insieme lavorano alla fondazione San Vassily il Grande, che si propone di diffondere la religione ortodossa nel mondo.
Sulla base dei comuni valori de Pahlen inizia a frequentare anche Vladimir Putin: quando l’inquilino del Cremlino è un neofita della scena internazionale de Pahlen lo aiuta a preparare
il primo vertice con Jacques Chirac, fa da mediatore ai suoi incontri con Gianni Agnelli e altri industriali italiani. Secondo un libro di Catherine Belton («Gli uomini di Putin»), ex corrispondente da Mosca del Financial Times, a unire lo zar al potere e de Pahlen è stato anche qualche cosa in più: il marito di Margherita «fu reclutato dal Kgb durante gli anni Ottanta» ed era diventato «parte di una rete gestita da Igor Schegolev, più tardi ministro delle Comunicazioni con Putin, che a suo tempo era in servizio per il Kgb con la copertura di un incarico da corrispondente a Parigi per l’agenzia di stampa Tass». Il compito di de Pahlen, secondo la Belton, considerata una delle maggiori conoscitrici del potere russo, era quello di rifornire Mosca di tecnologie occidentali. Interpellato a suo tempo dal «Giornale» l’interessato preferì non commentare l’accusa di essere una spia, dicendo che non ci trovava «nulla di consistente».
In ogni caso è difficile immaginare un percorso più diverso rispetto al figliastro, ormai avversario, Jaki. Perfino dal punto di vista religioso. Sotto questo aspetto i giovani Elkann hanno sempre vissuto a cavallo di due mondi. Il nonno, padre di papà Alain, è stato capo della comunità israelitica francese, la nonna paterna, Carla Ovazza, apparteneva a una famiglia di banchieri sefarditi di Torino. Non c’era dubbio che per il ramo paterno John fosse da considerare ebreo. Non a caso Margherita sceglie il primo nome ma gli Elkann iniziano a chiamarlo Yaakov (che all’anagrafe diventa Jacob, da cui il diminutivo Jaki). Al momento della nascita, scrive Gigi Moncalvo, biografo principe degli Agnelli, John, «nonostante la contrarietà della madre, viene portato in segreto al tempio di New York, e diventa a tutti gli effetti membro della comunità ebraica». Quando Margherita, allora ancora cattolica e non convertita all’ortodossia, lo scopre è furibonda con marito e suocero. «Appena resta sola, prende in braccio il suo piccino, lo stringe a se’, si chiude in bagno e lo battezza con l’acqua del lavello», alla maniera dei primi cristiani.
Forse anche per questi inizi controversi e contraddittori, John è sempre stato molto prudente sulle sue inclinazioni religiose. Ha frequentato per alcuni anni scuole cattoliche ma la sua attenzione verso la tradizione paterna è sempre viva. Come testimoniano i nomi dei suoi bambini: Leone Mosè e Oceano Noah.
Più deciso da questo punto di vista il fratello Lapo: «Sono ebreo perchè mi sono convertito qualche anno fa», ha dichiarato a suo tempo al Giornale. «Ho sempre sentito l’orgoglio di avere un padre ebreo, che nel suo modo personale è stato un gran padre. Poi ha pesato il rapporto con la mia nonna paterna. Una persona con un cuore gigantesco».