La Stampa, 1 marzo 2024
Intervista a Elly Schlein
Elly Schlein è sconvolta dall’ultima strage nella Striscia di Gaza. «Non si può morire bombardati mentre si fa la fila per il pane. Il governo israeliano deve fermarsi, quest’orrore, questa strage continua di civili, deve finire». La segretaria del Pd torna a invocare un «cessate il fuoco immediato». E nel parlare del congresso del Pse che si svolge oggi a Roma per eleggere il candidato dei socialisti alla Commissione europea, Nicolas Schmit, spiega che l’Europa dei progressisti «lavora per la pace, per i negoziati, per la fine dei conflitti». Così quest’intervista parte dall’informativa alla Camera del ministro Piantedosi sui fatti di Pisa, passa dalle scelte unitarie che la leader dem chiede all’opposizione, ma arriva all’Europa, alla battaglia di idee con la destra, alla necessità di un lavoro costante per la pace a partire dal Medio Oriente.Come mai sui manganelli contro studenti pacifici il governo è così restio a dire: ci dispiace, non deve accadere più?«Ho trovato molto grave che, anche stavolta nelle parole di Piantedosi, sia mancata una parola di solidarietà verso i ragazzi rimasti feriti. E che Meloni continui a nascondersi dietro ai suoi ministri senza trovare il tempo, tra una battuta e l’altra con la Stampa estera, di dire una parola a quegli studenti e alle loro famiglie».Un errore politico?«Abbiamo sentito tanti genitori dire: potevano essere i nostri figli. La preoccupazione davanti a quelle immagini è stata larga nel Paese, anche in tanti componenti delle forze dell’ordine che ogni giorno fanno il proprio dovere e a Pisa hanno visto un eccesso di uso della forza».Meloni sostiene che togliere il sostegno delle istituzioni alle forze dell’ordine è pericoloso. E una nota di Fratelli d’Italia ha accusato la sinistra di fomentare i violenti.«Trovo profondamente irresponsabile strumentalizzare quel che è accaduto contro di noi. È un metodo che segna una totale assenza di senso delle istituzioni. Meloni non ha capito il sentimento del Paese davanti a quelle immagini e il suo partito ha fatto dichiarazioni gravemente diffamatorie che mirano a far salire la tensione. Noi siamo stati i primi a dare solidarietà agli agenti colpiti a Torino, ma quel che è accaduto a Pisa non corrisponde alla narrazione falsata da questa destra».Cosa ritiene falso?«Secondo quanto è venuto a dirci Piantedosi, non c’erano ragazzi minori stretti in un vicolo da due cordoni di polizia, ma pericolosi antagonisti maggiorenni. Nei video però abbiamo visto altro».Le parole di Meloni sono anche un attacco al presidente della Repubblica?«Le parole di Mattarella hanno detto tutto quel che c’era da dire. E non bisogna in alcun modo trascinare il Colle nella contesa politica quotidiana».Tajani ha rispolverato Pasolini e i suoi poliziotti figli del popolo contro i manifestanti che sarebbero figli di papà.«È ridicolo sentirlo scimmiottare Pasolini quando hanno lasciato per 800 giorni le forze dell’ordine in attesa del rinnovo del contratto. Al di là della demagogia, il punto è il controllo dell’uso della forza da parte dello Stato, che è una prerogativa della democrazia. Se non lo esercitassimo, mancheremmo al nostro dovere. Capisco che guardino ai modelli di democrazia illiberale dei loro alleati, ma poter verificare come lo Stato esercita l’ordine pubblico è il sale della democrazia».Cos’ha portato alla vittoria di Todde in Sardegna?«Era la candidata giusta, con una coalizione compatta. Ha pagato la nostra testardaggine unitaria. Le persone hanno bisogno di vedere un’alternativa concreta. Quando succede si mobilitano, votano, ci credono. Invece di pensare a rubarci punti percentuali l’uno con l’altro, dovremmo andare a cercare chi ancora si astiene, chi ha perso speranza».Hanno davvero vinto le matite contro i manganelli? C’è in questo voto una reazione a politiche a livello nazionale?«Penso che abbiano pesato soprattutto cinque anni di governo disastroso. Basta un dato: la sanità sarda è passata dalla decima alla ventesima posizione. I sardi hanno vissuto sulla pelle il cattivo governo della destra, la spartizione di poltrone, il peggioramento della continuità territoriale, il mancato uso dei fondi europei, le opportunità ridotte al minimo per i giovani costretti a cercarle altrove».Dopo questa vittoria si sente più forte?«È più forte il Pd».Bersani alla Stampa ha parlato dell’Italia profonda che ancora non vota Pd. Come pensa di recuperarla, dopo aver già puntato su sanità, lavoro, scuola?«Per noi rimettere al centro i bisogni concreti delle persone anche nelle aree interne è un’ossessione. Ho fatto già 3 province dell’Abruzzo con 9 tappe al giorno, soprattutto nelle aree interne. Sappiamo che lì le persone sentono di non essere più ascoltate e quindi è proprio lì che stiamo. E con pazienza ricostruiamo una speranza».Come?«Stando accanto ai nostri amministratori che portano cultura, ripopolano borghi con i murales e i cammini, avviano progetti con il terzo settore, richiamano giovani creando posti di lavoro, lottano contro il declassamento degli ospedali e contro la mancanza di servizi come i nidi. Il governatore Marsilio, che in Abruzzo non vive, ha pensato più a obbedire agli ordini di tagli che gli arrivavano da Roma che a curare gli interessi degli abruzzesi».È fiduciosa sul voto del 10 marzo?«Lo sono. C’è una coalizione che tiene insieme tutte le forze alternative alla destra con un candidato, Luciano D’Amico, che in tutto quel che ha fatto, dai trasporti al suo ruolo di rettore dell’Università di Teramo, ha fabbricato futuro».L’ha sorpresa l’apertura di Calenda a future intese?«L’Abruzzo dimostra questo. Con un progetto solido e una candidatura credibile si possono superare le differenze, metterle a valore».Anche a livello nazionale?«Dobbiamo unire le forze contro i danni che sta facendo il governo. Su sanità, salario minimo, sulla necessità di un congedo paritario: 5 mesi retribuiti al 100 per 100 per entrambi i genitori sono non solo una misura giusta per le famiglie, ma a favore dell’occupazione femminile e quindi dell’economia tutta. In più, ho appena presentato una proposta di legge a mia prima firma che chiede di mettere almeno il 7,5 per cento del pil sulla Sanità e di superare il blocco delle assunzioni».Prodi consiglia di scrivere un programma di coalizione. Bersani di far nascere in tutt’Italia comitati per l’alternativa. Lo farete?«Penso che qualsiasi strada che semini unità sia quella da percorrere. In Sardegna fuori dal comitato elettorale ero con Conte e Todde e ho detto ad Alessandra: la gente qui davanti non è che la distingui. Sono qui perché si battono per le stesse cose. Le cose che abbiamo in comune sono più di quelle che ci dividono».La questione guerra in Ucraina che vi divide dai 5 stelle non è insormontabile? Soprattutto per i termini in cui la pone Conte che vi accusa di bellicismo?(Schlein riflette dieci secondi prima di rispondere). «Mi pare che vogliano la pace anche loro. E che le differenze siano su come arrivarci, ma se non sapessimo unire le nostre forze non avremmo ottenuto il voto della Camera, con l’astensione del governo, sul cessate il fuoco in Medio Oriente. Adesso anche il Parlamento europeo ha approvato un emendamento che va nella stessa direzione. La politica non è ritrovarsi tra uguali, ma provare a mettersi in gioco tra diversi verso un cammino comune».Domani a Roma comincia il congresso elettorale del Pse, che vede i partiti che lo compongono in difficoltà davanti a un vento di destra molto forte in tutt’Europa. Come pensate di affrontarlo?«Partendo dall’idea che subire le destre non è un destino. Siamo onorati e felici di poter affrontare insieme al Psi questo congresso. Mentre altri hanno portato in Italia gli euroscettici, i nazionalisti di estrema destra, gli amici di Putin, gli eversori che hanno evocato piazzale Loreto per Sanchez e quelli che avevano il cartello al collo con scritto: “Non un centesimo all’Italia” quando ci battevamo per il Next generation Eu, noi portiamo i protagonisti della vera grande sfida: un piano di investimenti europeo da rendere strutturale. Un green deal dal cuore rosso che accompagni le persone nella trasformazione ecologica e in quella digitale. Cerchiamo di tirare fuori l’Italia dall’isolamento in cui le scelte sbagliate da parte di Giorgia Meloni la stanno portando».Pensa che i popolari possano un giorno saldarsi con le destre più estreme?«Chiedo a loro, dov’è che si fermano? Dove mettono un confine? Meloni ha aperto le porte a Orban nonostante una cittadina italiana sia trattenuta in condizioni inumane in Ungheria, e a Zemmour: un fan di Putin, sessista, omofobo, razzista. Se il Ppe rincorre i nazionalisti di estrema destra tradisce la sua cultura politica».E il Pse che fa?«Pensiamo a come si guidano le trasformazioni per migliorare la vita delle persone e far diminuire le diseguaglianze. Facciamo vedere che qui c’è una famiglia vera, non piena di contraddizioni come quella di destra. Non vogliamo lasciare l’internazionalismo ai nazionalisti, che lavorano alla fine gli uni contro gli altri. Se vai a dire ai Paesi che non vogliono accogliere migranti che hanno ragione loro, non fai il bene dell’Italia. L’interesse nazionale lo facciamo noi quando ci battiamo per la solidarietà europea. Vogliamo costruire un’Europa della pace, che metta in campo tutto lo sforzo diplomatico e politico per far cessare i conflitti».Qual è la famiglia più pericolosa per quest’idea di Europa, secondo lei? I conservatori di Meloni o Identità e democrazia di Salvini e Le Pen?«Non faccio differenze. Si distribuiscono solo per convenienza e accordi di potere, ma dentro ci sono da una parte la destra nazionalista che dove ha governato ha compresso la libertà e lo Stato di diritto, e dall’altra le forze di estrema destra nazionalista che non hanno mai creduto nemmeno nell’Unione europea»