la Repubblica, 3 marzo 2024
Un articolo su Genova
Ha già detto quasi tutto Paolo Conte: “Ma che paura che ci fa quel mare oscuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai”. In effetti la prima volta che arrivai a Genova la città mi fece un po’ paura. Venendo dalla Bari degli anni Ottanta, vi assicuro che non era facile. Ero di passaggio, la mattina dopo avrei preso un treno per il Sud della Francia, non mi ricordo o non ho mai saputo con precisione in che zona trascorsi la notte. Quello che mi ricordo bene è la sensazione che provai facendo una passeggiata, prima di andare a dormire, per i dintorni poco rassicuranti della mia pensione. Incertezza, quasi un filo di paura, svoltando per certi vicoli, cogliendo un movimento imprevisto, furtivo e fugace; e insieme un brivido di avventura, la percezione di una notte non rassicurante, eppure ricca di possibilità.Negli anni ci sono tornato tante volte, per i motivi più diversi. La città è cambiata, non ho più sperimentato quella sensazione sottile di pericolo ma riappaiono ogni volta, camminando per i vicoli della città vecchia, sussulti improvvisi di inquietudine come il balenare di lame nell’oscurità.Qualcosa di simile si prova a Marsiglia (lo so, il paragone è scontato ma non posso farci niente): la sensazione nitida di attraversare un luogo testimone di innumerevoli storie, di essere circondati da un’energia impalpabile e misteriosa. Un naturale senso di ambiguità, una particolare difficoltà di decifrazione, una coesistenza di contrasti: macro-contrasti, fra parti della città; micro-contrasti nell’anima dei singoli luoghi.Di questa contraddittorietà pare esservi traccia nella stessa percezione che i genovesi hanno della loro città. Chiacchiero con una signora e a un certo punto mi dice: «Se parli di Genova con i genovesi, ognuno ti dice di una città diversa. Non c’è un solo racconto della città, esiste un caleidoscopio di narrazioni, un’immagine in continuo movimento nella quale ogni volta vedi dettagli inattesi».Ma dicevo del senso di avventura: difficile dire quanto le suggestioni dipendano da quello che sai di un posto o da quello che percepisci quando ci stai. Con ogni probabilità tutto insieme. Certo è che da Genova partivano le crociate – qui ci sono ancora famiglie discendenti di gente che alle crociate ci è andata – e su quelle imbarcazioni non c’erano soltanto soldati ma anche mercanti, artigiani, missionari che salpavano tutti insieme verso l’ignoto. Genova, per la sua posizione strategica fra Europa e Mediterraneo era il punto di arrivo dei pellegrini che giungevano da tutto il continente per imbarcarsi alla volta della Terrasanta. E poi Cristoforo Colombo. Nessuno sa affermare con certezza se sia nato a Genova (dove comunque trascorse la sua infanzia) o in un altro posto della Liguria; in ogni caso si può dire che, in qualche modo, da qui sia partita anche la scoperta del nuovo mondo.Certo è che anche oggi, vicino a quel mare oscuro che non sta fermo mai, hai sempre la sensazione di un equilibrio instabile e proficuo, di un’aria che brulica di cose che potrebbero accadere, di bisogno di partire, anche per placare quella leggera febbre dell’anima che ti mette addosso la città.Passeggiando per le vie e i vicoli che si intrecciano come una rete, fra case colorate che si arrampicano sulla collina, è sempre una buona idea sbirciare attraverso le finestre aperte. Scoprirai sempre qualcosa di interessante, talvolta anche un affresco del Seicento, tenuto lì con la nonchalance di chi ha attraversato la storia.Luoghi in cui si mescolano quiete, vibrazioni antiche e bagliori sinistri. Pensate per esempio a Campo Pisano, una deliziosa piazzetta circondata da alte case allegre, colorate di giallo, rosa, rosso con nitide persiane verdi e pavimentata con un risseu (il tipico mosaico acciottolato dei sagrati, dei palazzi, delle ville liguri) che riproduce una galea nera in campo bianco. Questo luogo, con la sua bellezza tranquilla e suggestiva, cela un passato sanguinoso legato alla prigionia e alla morte dei prigionieri pisani catturati dopo la battaglia navale della Meloria combattuta nel 1284, fra le flotte genovese e pisana. Vinsero i genovesi, migliaia di prigionieri pisani furono portati a Genova e, rinchiusi in terribili condizioni, morirono quasi tutti di fame e di stenti. Furono sepolti proprio lì, dove oggi c’è quella piazzetta dall’atmosfera così serena, che prende il nome dagli eventi tragici e foschi del lontano passato. Secondo una leggenda, durante certe notti buie e tempestose gli spiriti dei prigionieri pisani vagano ancora, con spaventosi lamenti e rumore di catene, nella piazza e per i vicoli circostanti.E a proposito di leggende metropolitane (una mia piccola fissazione, le cerco in ogni città), bellissima mi pare quella della vecchina fantasma in tuta da jogging che si aggira nel centro storico di Genova e ferma i passanti per discutere dei danni provocati dal fumo.Insomma, divagazioni paranormali a parte, Genova, più di altre, è una città di contrasti, di antipodi, di polarità. La più macroscopica: fra l’antico e il modernissimo, fra la tradizione e l’audace sperimentazione urbanistica. Dell’antico fanno parte la città vecchia con le sue piazzette, i suoi vicoli, le sue creuze, antiche mulattiere che storicamente collegavano la costa alla montagna, quelle che danno il titolo a una celebre canzone di De André in dialetto genovese; con le sue botteghe storiche, che a Genova sono una vera e propria istituzione. E questa sull’istituzione non è una frase fatta: per essere inserita nell’elenco delle botteghe storiche, un’attività commerciale deve almeno cinquant’anni di anzianità e soddisfare almeno tre dei seguenti requisiti: conservazione dell’arredamento originale e di attrezzature d’epoca, essere situata in un edificio antico, mantenere vive le tradizioni locali, avere un’importante valenza storica o culturale.Fra queste botteghe ci sono antiche farmacie, librerie, cartolerie, negozi di generi alimentari. La più antica di tutte è la Farmacia dei Frati Carmelitani Scalzi. Fufondata nel 1584, si trova in Piazza Sant’Anna e ha una lunga e ricca storia, legata alla preparazione di rimedi erboristici e alla custodia di tradizioni secolari.Fra le tante mi piace ricordare una meravigliosa drogheria, Torielli in via di San Bernardo. In vetrina sono disposti in bell’ordine decine di barattoli di vetro contenenti ogni tipo di spezie, con etichette in un corsivo vezzosamente fuori moda. C’è fila, si aspetta parecchio per essere serviti, ma nessuno si lamenta. L’idea, antica e modernissima, semplice e ricca di implicazioni profonde, è che si debba lavorare senza fretta.Passando al versante della modernità non si può che cominciare dal ponte San Giorgio. Uno straordinario oggetto fisico e al tempo stesso una potente metafora. Dopo il crollo del ponte Morandi (non l’unica ma di certo la più grave, con il suo terribile bilancio di ben quarantatré vittime fra le catastrofi verificatesi a Genova negli ultimi decenni) avvenuto il 14 agosto 2018, a Genova è accaduto qualcosa di poco usuale, non solo per il nostro Paese abituato all’interminabile, insopportabile durata dei lavori per la realizzazione delle opere pubbliche. Sipensi, per citare il caso più eclatante, ai decenni occorsi per ultimare i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno—Reggio Calabria.La posa del primo palo per la ricostruzione è avvenuta il 15 aprile 2019; il ponte è stato inaugurato il 4 agosto 2020. Progettato da Renzo Piano, è una struttura completamente diversa dal precedente e – ha detto qualcuno con un’enfasi che una volta tanto non sembra fuori posto – rappresenta un simbolo di rinascita per Genova e per l’intero Paese: come per una perfetta regia qualche minuto prima dell’inaugurazione, nel cielo sorse un incredibile, commovente arcobaleno.Il ponte si può ammirare da vari punti della città ma è nel quartiere di Certosa che bisogna andare per percepire in pieno questa presenza che trascende il mero dato fisico e allude a una proiezione simbolica verso il futuro. A Certosa fra l’altro è possibile ammirare alcuni murales davvero notevoli, che hanno trasformato il quartiere in una sorta di museo a cielo aperto. Inevitabile soffermarsi sul ritratto di Paolo Villaggio-Fantozzi: enorme come per tanti aspetti era il personaggio, occupa una superficie di ben 600 metri quadri.Paolo Villaggio è uno dei santi patroni laici della città più menzionati dai genovesi (almeno da quelli con cui ho parlato io) insieme ovviamente a Renzo Piano, a Fabrizio De André e, con qualche distacco, a Gino Paoli e Bruno Lauzi.Stranamente nessuno cita Eugenio Montale, nato a cresciuto a Genova che, per quanto valgono certe graduatorie, è stato forse il più grande poeta italiano del ventesimo secolo. Per Alberto Asor Rosa la sua “è la più limpida e consapevole, la più colta e sensibile, la più esemplare di una condizione umana ed esistenziale”. *** Nei territori della modernità non c’è naturalmente solo il ponte.Una visita all’istituto italiano di tecnologia – fondato all’alba del nuovo millennio – mostra la possibilità, anche in Italia, di fare ricerca sfuggendo a certi schemi a volte asfissianti dell’accademia. Non è un caso che questa istituzione scientifica sia stata collocata dalla prestigiosa rivista Nature fra le rising stars (stelle nascenti) della ricerca scientifica mondiale.Un giro per i cantieri del Water Front di Levante, la vecchia zona fiera, lascia intravvedere le mutazioni in corso d’opera. C’è lo storico palazzetto dello sport – quello in cui si tenne uno dei due concerti dei Beatles in Italia – che si accinge a diventare una struttura futuristica in un distretto che, prendendo forma, ricorda Aker Brygge, la bellissima area portuale di Oslo, riqualificata negli scorsi anni e divenuta una delle zone più belle della capitale norvegese. Fra le varie idee innovative di questo progetto c’è la scelta di utilizzare l’energia talassotermica per climatizzare gli ambienti, rinfrescare d’estate, riscaldare d’inverno, usando l’energia solare immagazzinata nelle acque del mare, lì a due passi, inesauribile. Anche qui, tecnologia e metafora. *** Nella zona del porto antico c’è il luogo che ha colpito più di tutti la mia fantasia. Parliamo di sensazioni personalissime, ognuno di noi ha le sue ossessioni che diventano riflettori puntati sul mondo. La mia ossessione sono i libri. Non solo il fatto di leggerli, di comprarli, di sfogliarli, di scriverci sopra. Da quando ero bambino (forse allora più di adesso) mi piace stare in mezzo ai libri, la presenza di questi oggetti fisici mi tranquillizza, mi fa da ansiolitico e da antidepressivo. Questa premessa è necessaria a spiegare il motivo per cui concludo il racconto della mia (più recente) gita a Genova con la Biblioteca Edmondo De Amicis, la prima biblioteca d’Italia destinata ai bambini e ai ragazzi. Fondata nel 1971 è un ambiente al tempo stesso accogliente e quasi metafisico con i suoi 2.200 metri quadri di superficie destinati a tutti quelli che ci vogliono andare indipendentemente dall’età. Ci trovi di tutto, incluse, fra l’altro, le collezioni delCorriere dei Piccoli e del Corriere dei Ragazzi. Le sfogli e subito un vortice del tempo ti afferra, ti trasforma nel te stesso bambino, ti lascia senza fiato.Ci trovi le storie che ti raccontano le competentissime e simpaticissime bibliotecarie: da quella dell’homeless che va lì tutti i giorni e trascorre ore e ore a leggere gli albi diTex Willer fino a quella del ragazzo magrebino che di mestiere vendeva i fazzoletti ai semafori, che ogni pomeriggio andava a vedersi i film di Charlie Chaplin e che da un giorno all’altro è scomparso e nessuno lo ha più visto.Ti dispiace quando devi andartene, vorresti rimanere lì a leggere, ma anche a non fare nulla, godendoti il senso di protezione che solo certi posti pieni di libri sono capaci di regalare. Guardando fuori attraverso le grandi vetrate da cui si vede il mare, che da lì sembra meno oscuro, più cordiale e non fa paura.