la Repubblica, 1 marzo 2024
Lotito fa causa alla Figc
ROMA – «Gli facciamo causa». Tre parole indirizzate al cuore del calcio italiano. Claudio Lotito parla con calma, nessuna esagerazione, non ci sono iperboli, nessuna arroganza. Siamo a margine dei festeggiamenti del presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo, una sala colma all’inverosimile e il presidente della Lazio pesa con attenzione i ragionamenti che per giorni hanno accompagnato la decisione di aggredire la Federcalcio italiana.«Non contiamo nulla – spiega Lotito, consigliere Figc e senatore di Forza Italia – inutile girarci intorno, noi non contiamo niente». Sembra di tornare indietro di due anni, si ha l’impressione che il discorso voglia lambire nuovamente i progetti della Superlega, ma questa volta siamo un passo avanti: la Lega di Serie A, o almeno la parte più potente che la compone, quella che rappresenta il 90% del traffico digitale in termini di notizie e la stessa percentuale o giù di lì in termini di introiti economici, si è stancata. «Lei – incalza Lotito – ha mai visto una società in cui chi mette i soldi vede poi decidere in tutto e per tutto gli altri che quella società stessa la compongono? Noi oggi viviamo in un paradosso giuridico. Il presidente della Federcalcio viene eletto, come si dice in gergo, dai “voti delle componenti”. E lì, a quel tavolo, facciamo la parte dei ragazzini al tavolo degli adulti. La Lega di A marginale, quella di Serie C decisiva: ma stiamo scherzando?». Il presidente della Lazio tecnicamente ha ragione, il suo ragionamento è figlio di un calcolo aritmetico sintesi di un calcio d’altri tempi. Questi i numeri che portano all’elezione dell’uomo chiamato a guidare la macchina del calcio italiano: 62 è il peso dei voti a disposizione della Lega A (pari al 12%); 26 di quella di B (5%); 88 per la Lega Pro (17%); 176 per la Lega nazionale Dilettanti (34%); 103 per i calciatori (20%), la metà per i tecnici e infine 10 per gli arbitri (2%). «Vede – spiega ancora con calma Lotito – sono i numeri a dire che noi non contiamo nulla: se La Lega Dilettanti unisce i suoi voti a quelli della Lega Pro, stiamo parlando della vecchia Serie C, quell’accordo è sufficiente a mettere in ginocchio qualsiasi idea degli altri club. La sintesi è banale: un club di Serie C conta più di uno di A. Una società dilettantistica più di una che gioca in Champions League. Adesso basta».È partito piano Lotito, ha adombrato un passaggio alle vie legali, poi arriva l’affondo e si capisce che non si tratta dell’idea raccontata in una grande cena tra amici. Che il confronto tra i presidenti è stato serrato, che ormai non si tratta solo dell’esigenza di svecchiare un sistema che andava bene (e neanche tanto) quando i club di Serie C erano 90, la Coppa Campioni la giocava solo la squadra campione in carica e per conquistare il trofeo più ambito della storia del calcio per club bastava giocare cinque turni: dai sedicesimi di finale alla gloria in un lampo.«Queste regole non ci stanno più bene: i legali si occuperanno della parte che compete loro, ma il nostro progetto è semplice. Gravina e la sua Federcalcio si sentono blindati dal loro statuto. Noi vogliamo che la Lega di Serie A, quella composta dai club che hanno immagine, tifosi e producono il 90 % del fatturato, si trasformi in qualcosa di diverso: la Lega di Serie A deve essere la nuova Premier League». Potere e soldi, lo scontro nel calcio italiano è fermo alle basi di sempre.