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 2024  marzo 03 Domenica calendario

Il libro di Gino Cecchettin


Pubblichiamo di seguito un estratto di «Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia», di Gino Cecchettin, in libreria dal 5 marzo per Rizzoli. Gino parla alla figlia uccisa e ricorda la moglie, morta l’anno prima di cancro. Due dolori e due destini che si incrociano.

Cosa fosse il vero amore me l’ha insegnato Monica, nel periodo in cui si è ammalata. La prima volta nel 2016 abbiamo combattuto insieme e ce l’abbiamo fatta. Ma la seconda, nel 2019, è stata fatale. Il male aveva ormai invaso tutto. La tormentava pensare che con la sua malattia stava facendo soffrire noi, e avrebbe voluto con tutte le forze difenderci. «Scusami» mi ha detto un giorno, «quando ci siamo messi assieme non sapevo che mi sarei ammalata. Scusami per tutto questo.»
Sentirselo dire è stata la cosa più vicina alla santità che io conosca.
Le cose importanti della vita sono scritte con un inchiostro leggero, e la vita di tutti i giorni, le urgenze quotidiane, si sovrappongono sopra questo inchiostro. Poi arriva una sentenza di morte e ci si accorge che l’unica cosa che conta è stare insieme. (…) Col passare dei mesi abbiamo ricostruito una nuova normalità.
Ricordo esattamente la sera in cui c’è stato il cambiamento, la svolta. È successo la prima volta in cui abbiamo parlato della mamma col sorriso e non con tristezza. Abbiamo ricordato qualcosa di bello di lei senza piangere e ho pensato che quello era il punto d’arrivo di un percorso, e che alla fine l’avevamo raggiunto. Perché l’elaborazione del lutto si conclude quando pensi al defunto e sorridi.
Eravamo a cena e stavamo parlando della mamma e delle battute che faceva ogni tanto, della sua ironia. Quella volta stavamo parlando di come cucinava i piselli, perché i piselli della mamma per un motivo o per l’altro risultavano sempre bruciati. Abbiamo istintivamente riso. (…) Se ci penso, nei tuoi confronti questa attitudine a ricordarti col sorriso è iniziata prima, perché tu eri una persona intimamente buffa, e Davide ed Elena ogni tanto ti ricordano mentre ti esibivi in una delle tue scenette comiche, o uno dei tuoi balletti (…).
Una volta sono andato al cimitero, era ormai giugno, e pensavo di avere elaborato il dolore e il lutto, e guidavo ascoltando uno dei brani dei Kasabian che la mamma amava, perché volevo mettermi in una specie di sintonia d’onda con lei.
Dopo la morte di Monica abbiamo ricostruito una nuova normalità
Ricordo la sera in cui c’è stata la svolta. Con te ci vorrà tempo, ora è dolore senza fiato
Mi sentivo estremamente rilassato. Mi ripetevo: «Vedi che hai superato anche il lutto? E adesso ti restano le cose belle di lei». Ma quando mi sono trovato davanti alla tomba, improvvisamente ho capito che non l’avrei mai più rivista. Era evidente che ci avevo sempre pensato, ma quella volta l’avevo «sentito» con un’ineluttabilità senza scampo. «Io non ti vedrò mai più» continuavo a ripetermi, «non ti vedrò mai più, né mai più sentirò le tue battute, né sentirò mai più la tua mano carezzarmi la testa mentre mangiamo (…)». Quel sabato pomeriggio, davanti alla tomba della mamma, a un certo punto non ho più resistito e ho iniziato a piangere. Non riuscivo a smettere. (…)
Non avevo mai pianto così in vita mia, nemmeno da bambino.
Ho buttato fuori tutto quello che avevo dentro. Tutto quanto, come se mi stessi svuotando per sempre di qualcosa. Lì, in un parcheggio semideserto, davanti alla fila immobile dei cipressi.
Quella volta le lacrime le ho lasciate scendere senza asciugarle. Mi sembrava un tradimento usare il fazzoletto, come se avessi cancellato il mio dolore per lei. Ho aspettato che si asciugassero da sole, me le volevo godere tutte fino alla fine. C’era la mamma in quelle lacrime.
Alla fine di quel pianto mi sono sentito svuotato, ed è stato da quel preciso momento che il lutto per la perdita della mamma ha lasciato il posto alla felicità e all’orgoglio di aver vissuto la parte più importante della mia vita con lei. Non è stata una consapevolezza immediata, ci sono voluti giorni, settimane.
Sono sicuro che succederà anche per te, mio grande tesoro. E fra qualche anno penserò proprio a questo, alla gioia che ci hai portato in casa e che supererà il dolore senza fiato che provo in questo momento, proprio ora, mentre sto scrivendo. Perché allora ricorderò solo i momenti più belli e li vivrò con orgoglio, pensando che tu sei stata mia figlia e che ho avuto il privilegio di essere tuo padre. Ma ci vorrà ancora del tempo, Giulia.
Molto.