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 2024  marzo 02 Sabato calendario

Intervista a Edoardo Raspelli

Edoardo Raspelli, il campione italiano della stroncatura dei ristoranti.
«Tutto merito di Cesare Lanza, che nel 1975 mi affidò la pagina della critica sul “Corriere d’Informazione”, l’edizione serale del “Corriere della Sera”. Lanza s’inventò il “Faccino nero”, in cui recensivo un locale che non m’era piaciuto».
Quanti ristoranti ha provato in vita sua?
«49 anni di carriera per 120: circa 6 mila».

Come ha scoperto la vocazione?
«I miei zii avevano un alberghino con cucina sul Lago di Garda. Mio zio era il maître e mi fece capire come funziona l’ospitalità. Aveva fatto il cameriere a Venezia e a Sankt Moritz assieme a un giovanissimo Rudolph Nureyev».
Però al «Corriere d’Informazione» partì come cronista.
«Nel 1971, a ventidue anni. L’anno successivo, il 17 maggio 1972, fui il primo ad arrivare sul luogo del delitto Calabresi. Nella foto dell’epoca sono il primo a destra».
Ma la passione rimaneva la gastronomia.
«Era la mia vita, già a sedici anni spendevo tutte le mie paghette alla Tour d’Argent a Parigi».
Spietato da subito?
«Fino a Marchesi, all’arrivo della nouvelle cuisine italiana, nel 1977, nel nostro Paese si mangiava uno schifo. C’erano i gatti che giravano per la sala, non era difficile trovare da criticare. “Faccino nero” mi portò molta popolarità e tanti nemici».
Querele?
«Una trentina, e pure minacce di morte. Mi fu recapitata una corona funebre sotto casa: il nipote della cuoca di un ristorante che avevo bastonato era un militante neofascista. La volta che ho rischiato di più è stata quando ho mal recensito un locale che si rivelò di Francis Turatello, che si spartiva la scena malavitosa di Milano con Vallanzasca».
Questo non la intimidì.
«Avevo l’appoggio del giornale. Walter Tobagi mi difese, disse: “Raspelli è l’unico rappresentate di Gastronomia Democratica”».
Nel 1978 entrò nella prima redazione della guida ai ristoranti de «L’Espresso», di cui sarebbe poi diventato curatore.
«Era la versione italiana della Gault&Millau, la rivale della Michelin. Quando partì l’edizione tricolore i due francesi venivano a provare qualche locale, degli altri ci occupavamo prevalentemente io e Federico Umberto d’Amato, che ne era il direttore».
Il Federico Umberto d’Amato dell’Ufficio Affari Riservati, appartenente alla Loggia P2, condannato nel 2020 – assieme a Gelli, Ortolani e Tedeschi – come mandante della strage di Bologna?
«Lui. Ma con me parlava solo di tagliatelle, eccezion fatta per una volta che non mi fece abbassare il voto a un ristoratore in guida: scoprii poi che anche questo era iscritto alla P2. Anni fa mi hanno chiamato a testimoniare, sono andato anche in Corte d’Assise, che impressione».
«Ferran Adrià: 22 piatti di delusione», così si intitolava la sua stroncatura più celebre, era il 1999. Diceva peste e corna dello chef spagnolo che oggi è considerato il massimo rappresentante dell’avanguardia.
«Tutte queste cose sifonate, niente da masticare: fu un disastro. A El Bulli, in Catalogna, avevo visto l’inizio della fine della cucina spagnola, la stessa fine che farà quella italiana».
Scrisse che era una cucina per «esteti anoressici sdentati». Una frase che ripeterebbe, oggi che si occupa di disabilità nella trasmissione «O anche no» sulla Rai?
«No, mi mancava una sensibilità. Da quando frequento Paola Severini Melograni, che conduce il programma, ho capito l’errore».
Perché dice che la cucina italiana finirà male?
«Non c’è più competenza per il prodotto, si sceglie la comodità: nei locali arriva tutto già imbustato. E si punta troppo sulla fantasia. Il risultato? Piatti bellissimi con abbinamenti terrificanti. Recentemente mi hanno proposto un dolce con cioccolato e carpa cruda: fa schifo solo a pensarci. E poi non ne possiamo più di questi qui che ti raccontano la storia d’ogni ingrediente... Lasciateci in pace».
Gli indirizzi che le piacciono?
«Il Pescatore a Canneto sull’Oglio, Philippe Lévellié al Miramonti l’altro a Concesio, Da Nadia a Clusane d’Iseo, la miglior zuppa di pesce d’Italia».
Ce l’ha ancora l’assicurazione sul palato?
«Avevo sottoscritto una polizza da mezzo milione. L’ho disdetta, mi costava troppo. Non corro più i pericoli di una volta».
Ha mangiato nei grandi ristoranti, ma nella trasmissione «Melaverde» – che ancora viene trasmessa in replica su Canale 5 – viaggia per paesini e sagre.
«I piatti regionali sono la storia di questo Paese. Il mio motto erano le “tre T”: Terra, Territorio, Tradizione. Bisogna guardarsi indietro per guardare avanti».
C’è chi la considera un reazionario.
«Se è per questo mi sono recentemente preso del “vecchio trombone”. Perché vecchio? Augias ha quattordici anni più di me ed è ancora in Tv».
E c’è chi le contesta l’assiduità ai premi Miss qualsiasi-cosa.
«Miss e Mister, mi permetta, non faccio distinzioni. Tutto partì quando mi mandarono in giuria a Miss Padania, ora seguo Miss La più bella del mondo. E ho anche inventato Miss senza trucco, di cui vado fiero».
Non le sembrano manifestazioni anacronistiche?
«Forse lo sono. Ma è molto peggio OnlyFans. Non che lo frequenti: ma una volta sono entrato perché conoscevo la persona in questione, e dopo aver guardato ho subito chiamato sua mamma per farla levare. I concorsi sono manifestazioni alla luce del sole, in giuria ci sono assessori, giornalisti, industriali».
Nel 2018 ha raccontato di esser stato violentato da ragazzo.
«Dovevo scrivere dodici pezzi per “QN”. Dopo aver parlato di Marchesi, di Vissani, della Michelin non sapevo più di cosa parlare. Così ho ricordato quando in un collegio ligure quattro ragazzi mi masturbarono contro il mio consenso. “QN” decise di non pubblicarlo, così lo diedi a “Cronaca Vera”».
I suoi difetti?
«Sono grasso. Grazie a una dieta e al bendaggio gastrico passai da 126 a 88 chili, poi ne ho ripresi. Stamattina ero 99,7, alé. E poi sono vanitoso, per questo mi piace andare in tv».
Tra i politici, chi sa mangiare?
«Ricordo un grandissimo pranzo da Vissani in compagnia di Berlinguer. Oggi se ne intende Bruno Vespa, grande amante del vino, e ha una grande cantina Nunzia de Girolamo».
Se le dico Guida Michelin?
«Una cavolata. Ma lo sa che finché non me ne sono accorto io, hanno ripetuto per diciannove anni la stessa scheda di un locale?».
Masterchef?
«Non guardo la Tv. Ma da quel che leggo inorridisco per il trattamento di questi sventurati vanitosi».