Corriere della Sera, 2 marzo 2024
Quel passo per l’aiuto a kiev
È finito il momento della timidezza. Anche per l’Italia. In Ucraina, la guerra è a un punto critico, il rischio è che l’indebolimento della Resistenza sociale e militare permetta avanzate decisive agli invasori russi. Non solo. In due anni di aggressione, proprio la ponderazione circospetta con la quale l’Occidente ha fornito armi a Kiev ha costretto le forze di difesa a combattere con una mano legata dietro la schiena e ha consentito a Putin di continuare l’assalto nonostante l’arretratezza del suo esercito.
S e agli ucraini fossero arrivati i mezzi e le munizioni che chiedevano, oggi la situazione sarebbe diversa. Sembra – è stato detto – che Stati Uniti ed Europa non vogliano che Kiev perda ma nemmeno che vinca. Continuare così può condurre, più che a una vittoria di Mosca, a una sconfitta dell’Ucraina, dell’Europa e dell’Occidente. Emmanuel Macron se n’è convinto, anche se a modo suo.
In questo 2024, l’Italia ha la presidenza del G7: c’è qualcosa di concreto che può fare, al di là del partecipare al triste gioco degli screzi con il presidente francese. Un’iniziativa che, se condotta bene, potrebbe unire invece di dividere: decidere finalmente di trasferire a Kiev le riserve russe finanziarie congelate in Occidente nel 2022.
L’aggressività di Vladimir Putin è in pieno dispiegamento: sul campo di battaglia; con l’uccisione di Aleksei Navalny; con la repressione interna in vista delle elezioni farsa di marzo; con le minacce verbali all’Occidente; attraverso il rafforzamento dei rapporti con le autarchie di Iran, Corea del Nord, Cina che riforniscono Mosca di armi oppure ne sostengono l’economia. La Ue ha approvato aiuti a Kiev per 50 miliardi di euro che saranno versati in quattro anni ma non ha la capacità di produrre armi e munizioni sufficienti per sostenere gli ucraini. A Washington, il pacchetto pro-Ucraina da 60 miliardi di dollari è bloccato dai repubblicani pro-Trump.
Cosa può fare il G7 per sbloccare una situazione nella quale i Paesi più ricchi e potenti del mondo non sembrano in grado di fermare l’aggressione condotta da un’economia arretrata come quella russa? Può l’Italia – il suo governo e possibilmente anche le opposizioni – svolgere un ruolo per uscire da una impasse ormai insostenibile? La responsabilità di avere la presidenza del Gruppo che raccoglie, oltre all’Italia, Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Canada (e di fatto la Ue) impone di rispondere in modo affermativo; non solo come europei – a differenza di quanto propone velleitariamente Macron – ma come G7.
La discussione sul trasferire all’Ucraina le riserve russe congelate in Europa e Usa subito dopo l’invasione da parte di Mosca – più di 300 miliardi di dollari – è sul tavolo da tempo. Al G7 presieduto da Giorgia Meloni a Kiev pochi giorni fa, è apparso chiaro che il lato europeo dei Sette rimane scettico sull’opportunità di un passo del genere. In Europa vincono ancora il principio di cautela e le dichiarazioni non seguite dai fatti. Difficili da giustificare di fronte alla minaccia russa e all’aggressività crescente di Putin.
Nelle settimane scorse, il caso più chiaro per seguire la strada del trasferimento delle riserve di Mosca a Kiev è stato avanzato dall’ex presidente della Banca mondiale Robert Zoellick dalle colonne del Financial Times. «Gli amici dell’Ucraina devono mandare un segnale per dire che Mosca non può durare più a lungo di Kiev», ha scritto Zoellick. E ha aggiunto: «È giustizia elegante farlo con gli asset stessi della Russia». La correttezza in termini di diritto è stata sostenuta da esperti legali in America, Regno Unito, Giappone, Olanda. L’ex segretario al Tesoro americano Larry Summers ha sostenuto che la consegna dei fondi all’Ucraina non indebolirebbe il diritto internazionale, anzi lo rafforzerebbe. Ci sono diversi modi per farlo.
Decidere in questa direzione – che richiederebbe un minimo di creatività finanziaria – darebbe un aiuto concreto al governo di Volodymyr Zelensky, servirebbe a rinvigorire il morale degli ucraini, farebbe sapere al mondo che, alla fine, le democrazie non si lasciano fermare da dubbi di opportunità di fronte alle aggressioni. Le armi e le munizioni occidentali dovrebbero continuare ad arrivare a Kiev, magari comprate anche fuori dalla Ue, come propone Macron: ma andrebbero a un Paese che inizia la ricostruzione, a quel punto più solido e con maggiori chance di respingere l’aggressore.
La questione, rilevante anche se da sola non risolutiva, è sul tavolo del G7. Finora, molti governi europei si sono detti scettici sul passo inconsueto anche perché buona parte delle riserve russe sequestrate sono sul territorio della Ue. Il fatto è che la nostra cautela moltiplica l’aggressività del dittatore del Cremlino. Il governo italiano, raramente timido, può mettere in campo un po’ di leadership: provare a convincere sé stesso e gli alleati del G7 che i tempi dell’esitazione sono passati.