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 2024  marzo 01 Venerdì calendario

Intervista al generale Vannacci

L’odio «motore del mondo», i gay – «troppi in tv e a Sanremo» —, le lobby, la crisi dell’Occidente, l’ingresso in politica – «ho avuto altre offerte oltre alla Lega» —, le inchieste: parla il generale Vannacci. E poi i giudizi su Mussolini, Berlusconi, Meloni, Marco Rizzo, Bersani.
Ogni giorno ce n’è una, per il generale Vannacci. Querele, inchieste, sospensioni; e ora le bozze del prossimo libro da correggere, un’autobiografia intitolata «Il coraggio vince».
Generale, cos’è per lei il coraggio?
«Non è il contrario della paura. È la forza di far buon uso della paura. I miei eroi sono Luigi Durand de la Penne ed Emilio Bianchi, che prima di penetrare nel porto di Alessandria per affondare le corazzate inglesi si dicono: “Hai paura Bianchi?”; “sì comandante”. “Anch’io. Bene, andiamo”».
Ha altri eroi?
«Mio nonno materno, Agostino Orlando, classe 1898. Sardo della Maddalena, marinaio. Si arruolò nel 1914, fece tutta la prima guerra mondiale, poi la Spagna. Adorava D’Annunzio, era stato con lui nell’impresa di Fiume, mi recitava le Odi a memoria. Un uomo di cappa e spada. A Pola si innamorò di una ragazza croata di origine ungherese, Rosa, la portò via con sé e la sposò: mia nonna. Durante la seconda guerra mondiale la sua nave fu affondata e lui dato per disperso, rintracciò i suoi con un messaggio radiofonico: Agostino Orlando cerca la famiglia...».
Anche suo padre è stato un militare.
«Ha 90 anni, si chiama Costanzo. Esperto di artiglieria contraerea. Era stato in America, a El Paso, a studiare il sistema Hawk. Io però sono cresciuto a Ravenna. Da bambino mi dicevano: se stai bravo, ti portiamo in caserma. Ricordo un Capodanno...».
Quando?
«Il 1973, avevo 5 anni. Con i figli degli altri ufficiali entrammo nell’armeria. Io mi intrufolai tra le sbarre, misi un elmetto, presi un fucile, ne passai altri ai miei compagni... Ci sorprese un caporale che per poco svenne».
Poi vi trasferiste a Parigi...
«Dove andavo a scuola con una bellissima bambina, che portava i capelli corti e pareva un maschiaccio: Carla Bruni».
...Dove lei fingeva di inciampare in metropolitana per toccare i neri.
«Ma avevo sei anni! E non avevo mai visto un nero in vita mia. Mi colpiva il bianco degli occhi, dei denti, del palmo delle mani. Volevo vedere se erano fatti come noi».
E sono fatti come noi?
«Non scherzi. Io ho rischiato la vita, mia e dei miei uomini, in Somalia, in Ruanda, in Costa d’Avorio, nello Yemen, in Iraq, in Afghanistan, per salvare la vita di persone con la pelle diversa. Quando scrivo che Paola Egonu non ha i tratti somatici dell’italianità, non discrimino; esalto una differenza».
Paola Egonu è italiana, e basta. E l’ha querelata.
«Se io dicessi che non può entrare al bar, allora sarei discriminatorio. Io dico al contrario che è un valore aggiunto, ha un effetto propulsivo; senza di lei nella pallavolo non vinceremmo».
Dove ha rischiato la vita?
«A Kigali bombardarono l’aeroporto da cui dovevamo riportare in patria i nostri connazionali. Infuriava la guerra civile, ho visto massacri spaventosi, cadaveri violati. Tentammo di fuggire via terra, raggiungendo la frontiera con il Burundi. Alla fine un C-130 venne a prenderci, ma era troppo carico, non si staccava dalla pista, a lungo volammo radenti, seduti sull’elmetto per proteggerci dai colpi di fucile, fin quando dall’oblò vidi il lago Vittoria, e pensai: Vittoria, che bel nome...».
È vero che in Costa d’Avorio ha rischiato il linciaggio?
«Ci avevano scambiato per francesi. Nella piazza di Abidjan, duemila persone contro sei su una jeep: minacce, insulti, sputi; ho pensato: qui ci mangiano. I dieci minuti più adrenalinici della vita. Se uno di noi avesse reagito, non sarei qui a raccontarlo».
A Gibuti dormì nella caserma della Legione straniera.
«Come mascotte tenevano un ghepardo, me lo lasciarono accarezzare. C’erano parecchi italiani. Da ragazzo il mio film di culto era “La Légion saute sur Kolwezi”, da noi “Commando d’assalto”, sul blitz della Legione in Zaire, con Giuliano Gemma...».
In Somalia lei recuperò i corpi di due parà italiani. Nel libro scrive di aver provato odio.
«Amore e odio sono sentimenti e sono i propellenti della vita. Chi vorrebbe cancellare l’odio vorrebbe cancellare il motore dell’universo, il combustibile che muove il mondo».
Lei oggi è indagato per istigazione all’odio razziale.
«La ritengo un’accusa totalmente infondata. Il mio libro è un’ode alle diversità. Ma l’elogio della diversità è ben diverso dalla discriminazione. La diversità consiste nel riconoscere caratteristiche diverse in ognuno di noi: cultura, origini, etnia, religione, credo politico. La discriminazione riguarda i diritti e la dignità; e nei miei libri non vi è traccia di questa esecrabile posizione ideologica».
Lei chi odia?
«L’odio è un sentimento che non si può cancellare dalla mente con un colpo di spugna. Io odio gli stupratori di bambini. Chi maltratta gli anziani. Posso odiare il nemico. Potrei odiare chi facesse del male alle mie figlie, Elena e Michela, che hanno 12 e 10 anni. Ma non giustificherei mai chi trasformasse questo sentimento in un’azione criminosa. Questa è la differenza tra l’uomo, che è essere che domina gli istinti, e la bestia umana, che si fa sopraffare dalle pulsioni criminali».
Ritirerà la querela contro Bersani?
«Non sono una persona vendicativa. Ho aspettato il limite giuridico dei 90 giorni prima di sporgere denuncia; ma in tutto quel tempo dall’onorevole Bersani non una parola di ripensamento sulle offese che mi ha rivolto. Non mi aspettavo delle scuse o che si cospargesse il capo di cenere: sarebbe bastata una semplice telefonata tra uomini; per non dire quanto sarei stato soddisfatto per una sincera stretta di mano. Purtroppo non è andata così. Evidentemente abbiamo diversi valori di riferimento».
Lei ha scritto che nelle sue vene scorre almeno una goccia del sangue di Cesare. Ma Cesare era bisessuale.
«Cosa facesse Cesare a letto sono affari suoi. È stato uno dei più grandi comandanti della storia. E sul carro dei trionfi non saliva vestito di piume di struzzo».
Ce l’ha con il Gay Pride?
«Ce l’ho con l’ostentazione».
Ma il Gay Pride serve proprio a rivendicare l’orgoglio, a dire: non ci nascondiamo più.
«Una volta l’anno, va bene; tutti i giorni, con una pressione continua, dà fastidio a molti. Non sono omofobo, ho comandato soldati omosessuali. Ma quando mi dicono che gay e lesbiche si nasce, non sono del tutto d’accordo».
Perché?
«Il genoma dell’omosessualità non l’hanno mai trovato; e i condizionamenti sociali sono importanti. Trovo inopportuna la massiccia esposizione di modelli omosessuali verso i bambini. Ho cercato in Rete: secondo l’istituto di statistica britannico, i non eterosessuali sono circa il 3,4% della popolazione. Le pare che in televisione la percentuale sia rispettata? Perché su Netflix non approvano una serie se non ci sono scene omosessuali?».
Ce l’ha anche con Sanremo?
«Mi hanno mandato la foto di Mengoni. Quando si vede un uomo con la gonna, e non siamo in Scozia e non è Carnevale, ci si fa una risatina sotto i baffi».
Si chiama libertà artistica.
«Invece è un’imposizione. Il problema non sono i gusti sessuali; è l’esibizionismo. Non lo scrivo io, ma Kirk e Madsen in After the ball, un libro del 1989: c’è una strategia ben precisa».
Quale sarebbe?
«Si comincia con la desensibilizzazione: si vaccina il mondo inondandolo di immagini di omosessualità, in modo che non sia più percepita come una cosa strana. Poi si nega che la religione contrasti con l’omosessualità, perché la religione è amore...».
Francesco è un Papa molto aperto verso gli omosessuali.
«Non sta a me giudicarlo. Non ho competenza specifica in materia; ma mi pare che la religione cristiana sia abbastanza assertiva sull’omosessualità. Nella Bibbia Sodoma e Gomorra vengono distrutte. E Dio dice: andate e moltiplicatevi. Gli otto miliardi di persone che sono al mondo sono nati da un uomo e da una donna: perché privare i bambini del diritto di avere un padre o una madre? Certo, uno può perdere un genitore in un incidente, o per un divorzio. Ma se faccio la maratona parto con due scarpe, non con una scarpa e una ciabatta. Io, come molti, cerco di orientare le mie figlie verso l’eterosessualità».
E se dovesse fallire?
«Farei quello che ogni genitore deve fare: supportare i figli».
Lo sa che, con le sue foto su Chi, pure lei è diventato un’icona gay?
«Mi hanno detto così (il generale sorride). Quelle foto le ho fatte per mostrare che non sono l’invasato che hanno dipinto. Chiunque conosca le forze speciali, gli incursori, sa che gli invasati sono i primi a mollare, o a essere scartati. Pensi che con mia moglie Camelia e una ragazza alla pari olandese, Rose, una sera siamo andati a Roma in un locale gay, vicino al Colosseo. È stata una serata tranquilla».
Sua moglie è romena. Dove l’ha conosciuta?
«Ero a Bucarest nel 2000, quando la Romania stava entrando nella Nato. Per sbaglio portai via documenti che avrei dovuto consegnare a Camelia. Minacciò di farmi rapporto. La invitai a prendere un caffè».
Fino al maggio 2022 lei è stato addetto militare in Russia.
«Mi aspettavo un Paese grigio, tetro. Mosca invece è una città piena di luce. Modernissima, sotto certi aspetti più dell’Occidente».
Ora lei è indagato dalla Procura militare per spiacevoli questioni contabili.
«Di questo non posso parlare».
Non possiamo non parlarne. Ci sono accuse circostanziate: indennità per i familiari corrisposte per giorni in cui i suoi familiari non erano in Russia; rimborsi per una festa data in un giorno in cui risultava di trasloco; un’auto di servizio che avrebbe dovuto essere venduta.
«Sono questioni appunto di servizio. Il regolamento mi impedisce di parlarne. Ne risponderò nelle sedi opportune».
Rivendicherà la sua correttezza?
«La mia vita è lì a dimostrare che mi sono sempre comportato in modo corretto. Non voglio dire altro per non innescare polemiche».
Crede che qualcuno voglia fermarla?
«Chi ha più esperienza di me farà le sue valutazioni».
Con Crosetto come va?
«Non ho rapporti con lui. È il mio ministro, e come tale lo rispetto».
L’ha sospesa per 11 mesi.
«Rientra tra le sue attribuzioni di ministro, così come rientra tra i miei diritti fare ricorso. E comunque, visto che la sospensione è connessa al mio libro “Il mondo al contrario”, le dico molto schiettamente che non ho alcun rimorso. Rivendico la mia libertà di espressione del pensiero e delle opinioni. Libertà su cui si fondano tutte le democrazie occidentali e diritto inviolabile, irrinunciabile e imprescrittibile di ogni cittadino, anche in uniforme».
Salvini dice che si apre un’inchiesta o le si commina una sanzione al giorno perché la vogliono fermare.
«Non commento le espressioni di altre personalità, soprattutto se istituzionali. Lascio alla sensibilità di ognuno trarre le conclusioni. Ringrazio però tutti i cittadini, e sono tanti, che in questi giorni mi stanno esprimendo solidarietà. E ringrazio il ministro Salvini per l’empatia espressa nei miei confronti».
Chi è Putin per lei?
«Un autocrate, che ha avuto il merito di riportare il suo Paese al rango di grande potenza, e ha commesso gli errori che commettono gli autocrati. Motivo per cui non posso stimarlo».
E della Nato cosa pensa?
«Io non ho mai criticato la Nato. Ho combattuto tutta la vita per la Nato. Dico un’altra cosa: il sistema di sicurezza dell’Occidente è fermo al 1945. Ma il mondo è cambiato. L’asse si è spostato verso l’Asia, dove vivono quattro miliardi di persone. I miei valori sono quelli dell’Occidente. Ma se vogliamo salvarli dobbiamo smettere di autodistruggerci. Mi hanno mandato il libro di Federico Rampini, “Suicidio occidentale”. Pure lui vannacciano...».
Conosco molto bene Federico Rampini, e le assicuro che non è vannacciano.
«Ma è contro la cancel culture, la cultura woke. Stiamo riscrivendo pure le favole: Biancaneve nera, la regina d’Inghilterra nera... Vogliono destrutturare la società, perché una società destrutturata è più facile da guidare. Vogliono sfasciare la famiglia, anche perché i singoli individui consumano di più...».
Ma vogliono chi?
«I gruppi di potere. Le lobby. I gruppi di pressione sui vari temi, dai gay all’ideologia green. Ma se abbattiamo le statue di Cristoforo Colombo, se ci vergogniamo delle nostre radici, dei nostri eroi, della nostra identità, addirittura del nostro progresso demonizzato come inquinante, saremo spazzati via. L’Occidente sarà sopraffatto. Perché il resto del mondo, la Russia, la Cina, il mondo arabo, va nella direzione opposta».
Si candida con la Lega?
«Mi piacciono le sfide. Ma devo capire se posso essere utile, e non una bandiera da sventolare. Non ho ancora deciso. Ho ricevuto anche altre offerte».
Da Fratelli d’Italia?
«Non posso rispondere».
E se invece facesse una sua lista?
«Posso pensare a una candidatura indipendente. A una federazione. Ma una mia lista significherebbe fare un partito: impossibile per le Europee. Per fare un partito servono almeno due anni. Bisogna studiare. Preparare un programma».
Di sicuro si saranno fatti avanti in molti per aiutarla.
«Ma se dovessi mai fare questo passo, vorrei uomini nuovi. Scelti da me. Come in combattimento: il mio manipolo».
Cosa votava nella Prima Repubblica?
«A destra. Ma non mi sono mai sentito prigioniero di categorie. Apprezzo anche uomini di sinistra».
Ad esempio?
«Marco Rizzo. Mi piace la sua visione sociale. Mi ha colpito una frase che mi hanno indirizzato sui social: “Marx diceva: proletari di tutto il mondo unitevi. La prole si fa con un uomo e una donna. Stalin mise fuorilegge l’omosessualità. Marx diceva che l’immigrazione incontrollata e clandestina sono l’esercito di riserva del padrone...”».
Lei è per respingere i migranti?
«Sono per la difesa delle frontiere e per l’emigrazione legale. Il modello sono l’Australia e il Giappone, dove nessuno può entrare illegalmente».
Cosa pensa della Meloni?
«Non posso giudicare le istituzioni. Come persona, la trovo carismatica. E capace: altrimenti non sarebbe passata dal 4% al 28».
La Schlein?
«Non posso giudicare neppure lei; anche perché fatico a capire quel che dice».
Voterebbe Trump o Biden?
«Trump. Se non altro per la senilità di Biden».
Qual è il suo giudizio su Berlusconi?
«Come imprenditore ha collezionato successi. Come politico ha avuto luci, come la stretta di mano tra Bush e Putin a Pratica di Mare, e ombre».
Quali ombre?
«Ci sono state tante polemiche su varie vicende giudiziarie e sul conflitto di interessi. Ma la vera questione è un’altra. La gente vede che i leader cambiano, però l’Italia non cambia mai, o cambia troppo lentamente. Riforme, infrastrutture, scuola, fisco: tutto fermo. Per questo incontro molta gente delusa».
Pensa che la democrazia sia in pericolo?
«La democrazia deve rispondere ai bisogni dei cittadini. Gli antichi romani in tempo di crisi trasformavano i consoli in dittatori, sino al ripristino della normalità. Nelle crisi le dittature tendono a essere più efficienti. Per questo dobbiamo dare alla democrazia gli strumenti per affrontare le emergenze».
Lei ha definito Mussolini uno statista.
«Confermo. Mi hanno fatto una domanda a bruciapelo; qualsiasi cosa avessi risposto, sarebbe stata usata contro di me. Se elogio Mussolini, sono fascista. Se non lo elogio, dissimulo le mie idee...».
Lei è antifascista?
«Il fascismo è finito ottant’anni fa. Sarebbe come dire di essere contro l’antica Roma o contro il Rinascimento».
Almeno è contro il patriarcato?
«Ma dove lo vede in Italia questo patriarcato? Sarà che vengo da una famiglia matriarcale: le decisioni importanti le ha sempre prese mia madre. Mi manca moltissimo: il libro è dedicato a lei».
Il libro si apre con una frase inquietante: «L’autore declina ogni responsabilità in merito a eventuali interpretazioni erronee e si dissocia da qualsiasi tipo di atti illeciti possano da esse derivare».
«L’avevo scritta anche all’inizio del Mondo al contrario. Non voglio essere l’alibi di qualche matto».
E si chiude con il proposito di raddrizzare il mondo. De Gaulle direbbe: vasto programma.
«Ma, come scrivo, un incursore lo farebbe. E quando rileggo quella frase, mi commuovo».