la Repubblica, 28 febbraio 2024
Intervista a Ron
Confessa che Una città per cantare resta il brano che lo rappresenta di più. E che non potrebbe immaginare una vita senza concerti. E questo è coerente con la sua scelta di mettere in piedi un tour dopo l’altro, anche dopo oltre 50 anni di carriera. La nuova avventura live di Ron si intitola Al centro esatto della musica ed è un’esperienza immersiva nel suo mondo sonoro con un palco pensato in modo originale, i suoi successi, qualche brano poco eseguito in concerto e un omaggio a Luigi Tenco con una versione di Lontano lontano. Dopo l’esordio il 27 a Vercelli, Ron sarà in scena in molte grandi città, tra cui Roma (il 3 marzo), Napoli (il 13), Foggia (il 15 e il 16), Pesaro (il 20 aprile), Messina (il 23) e Milano (il 28).
Di nuovo in tour, stavolta nei teatri: che concerto sarà?
«Non ho voluto un concerto classico, il nostro palco diventerà una sala prove, che per me è un luogo sacro. Staremo tra divani, tavoli e io sarò in mezzo ai musicisti a creare musica. La gente si troverà dentro le nostre prove. Nessuna finzione, ogni sera inventerò un brano nuovo e i musicisti mi verranno dietro. Vorrei riuscire a creare una vera empatia col pubblico».
Continua a regalare al pubblico i vecchi successi, stavolta ripesca brani meno conosciuti del suo repertorio come “Palla di cannone”, una cover di Damien Rice e “Mi sto preparando” di Michael Kiwanuka. Ha mai incontrato questi due artisti?
«Purtroppo no, o soltanto di sfuggita. Però Damien Rice mi piace da sempre, nel 2013 volevo fare un album di cover di giovani autori compresi loro due e ho fatto un disco che non ha comprato nessuno. Ma mi sono divertito come un pazzo».
Inevitabile parlare di Lucio Dalla: la mancanza si sente tanto?
«Difficile dimenticarlo. Era una persona talmente completa, sapeva scrivere, inventare, arrangiare...
Non lo ricordo con malinconia, semmai con tenerezza. E poi è sempre lì che ci guarda».
Di rado ha parlato della sua famiglia nelle canzoni. Però nel 2022 ha pubblicato “Sono un figlio”, in cui racconta suo padre.
«Andai a Sanremo a 16 anni, mia madre era preoccupata. Quando siamo giovani non riusciamo a capire tutto dei nostri genitori, e anche loro non riescono a metterci a fuoco. Da ragazzo li ho massacrati, volevo cantare, alla fine hanno accettato, raccomandandomi solo di non fare fesserie. Dopo un po’ ho capito cos’era la mia famiglia, con l’età ho realizzato che senza di loro non sarei mai diventato quello che sono. Ho voluto rendergli omaggio».
A proposito di omaggi, “Una città per cantare” è un omaggio permanente alla sua carriera.
«Non mi stanco di cantarla, anzi ogni volta mi commuove. Io sono ancora quella persona lì. Posso dire che è la canzone che mi rappresenta di più».
Tra le novità c’è la cover di “Lontano lontano” di Tenco.
«È un brano che mi ha sempre commosso. Amavo Tenco, nel tempo ho capito che mi ha aiutato tantissimo, e poi non è una canzone triste, fa parte anche del mio vissuto. Ho pensato a un arrangiamento un po’ più elettronico rispetto all’originale, ma c’è dentro tanto cuore».
Aveva presentato per la prima volta questa cover in occasione del Premio Tenco, dove aveva ricevuto il riconoscimento alla carriera.
«Quelli del Tenco non mi avevano mai chiamato e forse c’è stato qualcosa di recente che li ha riavvicinati a me. Sono felice di questo premio perché quella non è una giuria che guarda al mainstream, ci avranno ragionato e questo mi inorgoglisce».
Ha visto Sanremo? Lei arrivò al Festival giovanissimo: di recente Sangiovanni ha confessato il suo disagio. Quanto è cambiato il suo mestiere negli anni?
«Negli anni dei miei esordi dominava la musica, esplodevano i cantautori, c’erano idee che hanno cambiato tutto e tutti. I miei discografici, quando ascoltarono Una città per cantare, mi mandarono tre mesi in America, “quel mondo ti piace troppo, vai lì e incontra gli artisti che ami, magari torni con qualche duetto”. Oggi ci sono i talent, la tv, tutto è tanto veloce, all’epoca si accompagnava la crescita degli artisti, era un grande laboratorio. Sangiovanni mi piace, mi sembra una persona semplice, timida. Ha bisogno di aria, di respirare. Ma non deve smettere, perché butterebbe via tutto».