la Repubblica, 28 febbraio 2024
Il lato oscuro che contagiò l’antimafia
«Peppe, mi raccomando, passa dalla dottoressa Guccione, in farmacia, a prendere le medicine. Non facciamo che te lo scordi, poi a mio padre che gli do, l’aspirina? Ah, ci sarebbe pure la giacca della prefetta da portare in tintoria, ce la fate?». «Achille, c’è Gigi, quello del ristorante in centro, che ha preparato le arancinette per la cena. Avete deciso di farmele fredde questa sera?». «Achille, senti un po’, dopo vai in profumeria che hanno portato quel flacone che vendono solo a Catania. Lo hanno preso per me, digli che poi passa mio marito a pagare con la carta di credito. Già che ci sei, prendi pure i dischetti leva trucco, quelli grandi. E se ce l’hanno, il filo interdentale che mio figlio ormai lo spazzolino non lo vuole più. E niente, lo sai com’è fatto. È viziato, tutta colpa mia. Ma come si dice: i figli so’ pezzi ‘e core. E al cuore, tu mi insegni, non si comanda. Oh, non te lo scordare, che poi mi fa passare una mala serata». Una signora annoiata impartisce istruzioni ai suoi sottoposti: va’ di qua, prendi questo, porta quello. Autoritaria, come si conviene a chi comanda, insistente, vagamente querula. Dialoghi per una classica commedia all’italiana: li mandi giù col pilota automatico, per così dire. Non fosse che lei è un’alta magistrata, il capo della sezione del Tribunale che si occupa di misure di prevenzione antimafia in terra di mafia. E loro gli agenti di scorta: quelli che rischiano la pelle per proteggere la “persona di interesse”. Messa in questi termini, la “situazione” diventa un caso clamoroso. E dal caso si passa rapidamente allo scandalo quando emerge che la “persona d’interesse” ha impiantato un vero e proprio sistema di potere all’ombra dell’Antimafia: l’uso disinvolto del personale di polizia è una delle tante distorsioni che pochi mesi di intercettazioni portano alla luce, rivelando una realtà che sgomenta e fa riflettere.Al centro di tutto, la normativa che prevede il sequestro dei beni di imprenditori organici con la mafia, collusi con essa, o sospetti di esserlo. Un complesso legislativo fortemente voluto, fra gli altri, da Pio La Torre, assassinato nel 1982. L’idea, cruciale, addirittura essenziale, nelle intenzioni, di colpire i mafiosi in quanto hanno di più caro al mondo: non la famiglia, che sono disposti a non vedere per lunghi anni, non la libertà, che sono disposti a perdere in una cella da ergastolani. Niente di tutto questo: i soldi. I “piccioli”. Levagli i soldi, e quelli escono pazzi.Perciò le misure di prevenzione sono tanto temute. Ma che cosa accade se un potere così radicale, come quello di ridurre sul lastrico una famiglia, finisce nelle mani sbagliate? Può accadere, ad esempio, che un innocente sia rovinato e, sebbene assolto in ogni possibile sededall’infamante accusa di collusione, mai adeguatamente risarcito.Ispirato alla storia drammaticamente reale dell’inchiesta palermitana sulle misure di prevenzione, La notte dell’antimafia è un romanzo che sta tra fiction e cronaca. Lucio Luca, con la consueta robusta vena dello scrittore che è anche giornalista, e viceversa, affida il dipanarsi della trama alle voci di Silvana, magistrata di grande prestigio che a un certo punto imbocca il sentiero sbagliato, e di Gianfranco, figlio di un industriale “mascariato”, dunque calunniato, e testardamente impegnato a riscattare, contro tutto e contro tutti, i beni e l’onore. A un certo punto, il “proposto”, cioè colui del quale si vogliono confiscare i beni, risulta in affari con il boss Salvatore Lo Piccolo.Peccato che si tratti di un omonimo quasi centenario. È scritto lì, nero su bianco: possibile che nessuno se ne sia accorto, in anni di indagini? L’immagine dell’antimafia va in frantumi. Norme sacrosante rischiano di diventare impopolari non agli occhi dei destinatari – i mafiosi da stroncare – ma di chi va a sbatterci contro da innocente. La confisca dei beni diventa occasione di arricchimento.L’autore si riserva qualche incursione fra il dolente e il sarcastico, e l’effetto complessivo è drammaticamente grottesco. Nelle epopee classiche di mafia carnefici e vittime erano avvinti da un’aura di grandezza tragica, e padrini ed eroici giudici stavano fra Sofocle e Shakespeare.E invece questa non è la storia di una discesa agli inferi scandita da epiche tensioni e atroci “notti dell’Innominato”, ma, appunto, una commedia nera in cui abbondano trolley gonfi di piccioli, conti in sospeso per migliaia di euro dal pizzicagnolo, cene eleganti, una tesi di laurea scritta in quattro giorni da mano amica, «pesche tabacchiere, pomodori di Balestrate, cantalupi e meloni gialli, pere cilene… dai, faccio un paio di cassette grosse e te le faccio recapitare. Magari non a casa, da qualche parte, così evitiamo i pettegolezzi. Ché i portieri non se li fanno mai i c… loro».La confisca dei beni diventa occasione di arricchimento E norme sacrosante diventano impopolari se applicate agli innocenti