La Stampa, 28 febbraio 2024
Intervista a Cristiana Capotondi
«Ogni volta che una persona esce da certi schemi replicabili, succede subito che venga definita pazza, strana, bizzarra. Succede a tutti, non solo alle donne, ma quando accade a un uomo gli aggettivi cambiano, la connotazione è diversa. Si dice che uno è istrionico, che è “figo"». In poche parole Cristiana Capotondi ha centrato l’obiettivo, una pratica cui è ampiamente allenata, un po’ come quando gioca a calciotto, riuscendo a mettere insieme le tante attività della sua vita: «Viviamo tutti a ritmi forsennati, non so se ci fa bene, ma sono convinta che nutrirsi delle proprie ambizioni sia una scelta giusta. Almeno, nel mio caso, è così».
Nel film tv di Giulio Base Margherita delle stelle (su Rai1 il 5 marzo) interpreta la celebre astrofisica. Che cosa le piace del personaggio?
«La Hack mi è sempre stata simpatica, per il suo spirito di scienziata e divulgatrice, spontanea, senza sovrastrutture, un po’ alla toscana. L’idea di raccontarla mi ha subito attirata, potevo descrivere il percorso di una donna capace di ispirare altre giovani donne, mostrare come sia possibile realizzarsi seguendo le proprie passioni. E poi mi faceva piacere tornare, attraverso il ruolo, su temi che mi interessano».
Quali?
«Per esempio il motivo per cui, come dimostrano le statistiche, le donne abbandonino molto presto l’idea di studiare materie scientifiche. Fino a 10 anni le bambine dichiarano che amerebbero fare le scienziate, poi nella maggior parte dei casi si perdono, cambiano direzione. Ma perché? I loro gusti cambiano? O pensano che una vita da scienziato non sia adatta a una donn? O sanno che, facendo certe scelte, bisogna per forza andare all’estero visto che il nostro non è un Paese per ricercatori?».
Come è andata con Giulio Base regista?
«È un attore, e quindi è andata benissimo, arrivavo sul set e lui aveva già fatto le prove, era tutto pronto. Ho faticato poco, anche se ero quasi sempre presente in scena».
È soddisfatta delle proposte di lavoro che riceve?
«Questo personaggio rientra nei miei interessi, ma mi capita di dire dei no. Mi guida una stella polare, il desiderio di affrontare certi personaggi, non ci riesco sempre, ma siccome ho tanti interessi promuovo i valori che mi stanno a cuore anche in altri modi».
Tra i suoi interessi c’è lo sport, a iniziare dai tornei di calciotto. Come è nata l’idea?
«Abbiamo creato negli anni, a Milano, l’abitudine della partita di calciotto giocata da squadre di amici, di età tra i 35 ai 65 anni, mischiando tutto, maschi e femmine, mariti e mogli. Seguiva cena sociale con pagelle riservate alle donne, alla fine dell’anno c’era il premio per la miglior giocatrice».
Qual era il momento più divertente di quelle serate?
«Era un cinema meraviglioso, soprattutto quando mariti e mogli litigavano per una palla, un fallo, un passaggio».
A proposito di uomini e donne, secondo lei il MeToo è servito davvero a qualcosa?
«L’aspetto del MeToo che mi ha più coinvolta è sempre stato quello di incidere sulle vite delle persone che fanno mestieri semplici. Non mi ha interessato, invece, quando ha riguardato il mondo dello spettacolo, cinematografico, artistico. Mi sono chiesta solo se noi artisti potessimo offrire un aiuto, sensibilizzando le coscienze, per migliorare la vita di categorie professionali diverse dalle nostre».
Di se stessa ha offerto molto presto l’immagine di un’attrice seria, impegnata. L’immagine corrisponde alla realtà?
«Sono seria, ma anche molto leggera, pronta a cogliere l’aspetto ironico, ridicolo, della vita. Forse ho fatto vincere sempre il lato “secchiona”, poi, figuriamoci, sono pure della Vergine... Mi definirei più che altro riservata».
Pensa che questo l’abbia in qualche modo penalizzata?
«Sì, può essere stato un limite. Mi dispiace che la mia serietà non sia stata accompagnata dalla leggerezza. Le due cose insieme sono più interessanti. La serietà da sola fa diventare un po’ antipatici, se sono apparsa così è perché non sono riuscita a raccontarmi bene».
In un’intervista ha detto che lei è sempre con le maniche rimboccate. È ancora così?
«Certo, sempre. Però per i miei 40 anni i miei amici più cari mi hanno regalato una collanina con un sorriso: un modo per augurarmi di riuscire a far conoscere l’aspetto allegro della mia personalità».
Ha una figlia. Che favole le farà vedere, quelle Disney, rivedute e corrette in nome del politically correct, oppure quelle tradizionali?
«Per il momento siamo alla Sirenetta, poi si vedrà. Comunque le favole sono importanti, servono a far capire da dove siamo partite. Mia figlia è una bambina del 2022, vedrà le favole nella luce di oggi».
È l’anno delle attrici passate dietro la macchina da presa. Lei ci sta pensando?
«Ho diretto un paio di documentari e dei cortometraggi, gli esordi delle colleghe attrici mi piacciono molto, le guardo con grande ammirazione, ora aspetto quello di Greta Scarano. Vorrei provare anche io, ma devo trovare la storia giusta che mi faccia innamorare».
L’incontro fondamentale della sua vita professionale?
«Ce ne sono stati tanti, ma certo l’arrivo del copione di Notte prima degli esami ha fatto da spartiacque. Mi ha consentito di compiere scelte, propormi, essere vista e considerata».
Il prossimo impegno?
«Sarò in teatro con La balia dei vinti di Marco Bonini sul bombardamento di Firenze, nel ’43. È un monologo, una madre racconta una fiaba alla figlia, nell’arco di quella giornata. È la mia prima volta in teatro, sono molto contenta, non mi sentivo pronta ad affrontarla, forse anche perché sono un animale diurno».