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 2024  febbraio 28 Mercoledì calendario

Parigi 1909-1925

così parigi divenne base della modernitàAnni d’oro. La mostra al Petit Palais spiega che le avanguardie scelsero la città come teatro delle proprie manifestazioni: tra Cubismo e Déco, ecco gioielli, vestiti, automobili e lampadineLuca ScarliniIl Petit Palais dopo la grande mostra dedicata nell’anno scorso a Sarah Bernhardt, continua a esplorare le radici parigine del Novecento. Va ora in scena una sontuosa esposizione dedicata al periodo 1905-1925, «Le Paris de la modernité», a cura di Annick Lemoine e Juliette Singer, che chiude una trilogia inaugurata da «Paris Romantique» e proseguita con «Paris 1900, la ville spectacle».
Il filo qui è lo choc delle avanguardie, che scelsero la città come teatro delle proprie manifestazioni, attirando persone da tutto il mondo, che qui ritenevano di potersi esprimere liberamente. L’epoca precedente al conflitto è quella in cui Montmartre (luogo del Lapin Agile in cui suonava Erik Satie e il fulgente Bateau Lavoir, dove operava Picasso con la sua “bande” e dove soggiornò anche Giuseppe Ungaretti) e Montparnasse erano vivai e laboratori della produzione artistica. Quest’ultimo quartiere, dopo che il primo turismo degli americani li caccia dalla collina, diventa centrale con l’arrivo della metropolitana Nord-Sud, che collega la zona con il centro. Fioriscono i caffè, i luoghi di ritrovo, come il Bal Bullier, dipinto da tutti gli artisti del periodo. Mentre la cultura ufficiale è in ritardo rispetto alle innovazioni, trionfa il Salon des Indépendants, che apre nel 1884, per prendere le distanze dall’ufficialità. Qui trionfa il doganiere Rousseau, di cui l’esposizione presenta il mirabile L’incantatrice di serpenti, nelle collezioni del Musée d’Orsay. L’edizione del 1905 lancia i Fauves e fa scandalo, al punto che il presidente dell’epoca, Émile Loubet, si rifiuta di intervenire all’inaugurazione.
Notevolissima è la sezione della mostra sulla prima comparsa del Cubismo nel 1911, quando al Salon si misero in luce Henri Le Fauconnier e l’elegantissimo Roger de la Fresnaye. Marcel Duchamp elaborava i suoi dispositivi di revisione del senso dell’arte, mentre curava l’eredità scultorea del fratello Raymond Duchamp-Villon, scomparso troppo giovane.
Dal 1905 in poi la densità dei nomi è incredibile, da Mondrian a Severini (ai Futuristi a Parigi è dedicata una sezione) tutti sono in azione per scomporre la realtà e riproporla nel proprio sguardo. La modernità, come aveva insegnato Marinetti, è in primo luogo velocità: Parigi diventa la capitale mondiale delle grandi esposizioni tecniche. Furoreggiano l’automobile e soprattutto l’aeroplano, a cui si dedicano con passione artisti e grafici, in una vera e propria esplosione di immagini pubblicitarie. Parigi, capitale della moda dal Secondo Impero, trova il suo massimo poeta, Paul Poiret, detto “le magnifique” che inventa tutto: i profumi e i gioielli coordinati agli abiti, le sfilate di moda-spettacolo, i libri-souvenir affidati ad artisti del calibro di Paul Iribe e Georges Lepape. L’ispirazione dei suoi abiti è l’Oriente della féerie, per cui fu a lungo il creatore prediletto della clamorosa Marchesa Casati Stampa, che indossava i suoi completi alla persiana, come racconta Gabriele D’Annunzio nel suo stregonesco testo La figure de cire. La liberazione dal busto, la determinazione di forme che si ispiravano agli eccessi settecenteschi di Rose Bertin per Marie Antoinette, che la nominò “ministro della couture”. Poiret ebbe legami intensi con la Wiener Werkstätte, e a Vienna colse i propri maggiori successi fuori da Parigi, presentando le sue opere in allestimenti di un fasto incredibile, come racconta nella sua autobiografia Vestendo la Belle Époque, prima di perdere tutto e dover cedere lo scettro a Coco Chanel.
In quest’epoca di lusso sfrenato, in cui Cartier realizza oggetti lussuosissimi, il luogo dell’elaborazione alchemica delle forme è senza dubbio il teatro. La mostra punta giustamente l’attenzione sulla nascita del Théâtre des Champs-Elysées, inaugurato clamorosamente nel 1913. La costruzione di cemento di Auguste e Gustave Perret, vertice della modernità, aveva magnifiche sculture di Antoine Bourdelle ispirate alle danze di Isadora Duncan, con opere di Maurice Denis, Édouard Vuillard e Jacqueline Marval, meno nota in Italia, incantevole ritrattista dei ballerini del momento. Les Ballets Russes di Diaghilev sono centrali in questo nuovo spazio, immortalato dallo scandalo il 29 maggio 1913 de La sagra della primavera di Igor Stravinskij.
In tutto questo fulgore, il passo cambia con la tragica Grande Guerra, in cui il governo francese arruola nel reparto propaganda molti artisti assai poco interessati al sociale, come il maestro simbolista Felix Valloton, che realizza immagini di chiese distrutte e di esotici soldati senegalesi sopra la neve. Eppure, anche nel momento massimo dell’impegno bellico e delle restrizioni, già cova il fuoco degli anni folli. Kees van Dongen dipinge le sue eroticissime signore, Jean Cocteau e Pablo Picasso, con Erik Satie sconvolgono Parigi nel 1917 con Parade, proponendo un immaginario ispirato al circo e al varietà, che fa infuriare i benpensanti. Gli anni seguenti sono quelli frenetici di dada, del surrealismo, e dell’Art Déco, che esplode con l’Esposizione del 1925, a cui è dedicata trionfalmente la sezione finale della mostra. Tamara de Lempicka dipinge donne che si amano, Cocteau crea con il gruppo dei Sei l’incantevole locale Boeuf sur le toit, i Ballets Suédoises portano Dada a teatro con Relâche, ordito da Jean Börlin, Francis Picabia, Erik Satie, con, per la prima volta, il cinema in scena, con una creazione mirabile, Entr’acte di René Clair. Josephine Baker ha una sezione importante, degna della sua importanza di icona dell’epoca.
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Le Paris de la modernité.
1905-1925
Parigi, Petit Palais
Fino al 14 aprile
Catalogo Paris Musées,
pagg. 320, € 49