Domenicale, 28 febbraio 2024
Biografia di Ghitta Carell
Ghitta Carell (1899-1972) è la fotografa ritrattista più celebre dell’Italia tra le due guerre. Vittorio Emanuele III e la regina Elena, Umberto e Maria José di Savoia, Benito Mussolini, Cesare Pavese, Neville Chamberlain, la regina madre d’Inghilterra Elizabeth con la figlia Margaret, le famiglie Mondadori e Pirelli, Walt Disney, Pio XII e Giovanni XXIII: tutti sono stati in posa davanti al suo obiettivo nell’arco di quarant’anni. Eppure l’interpretazione della sua opera è spesso deformata da filtri ideologici o stereotipata da giudizi encomiastici quanto superficiali.
Ghitta Klein, ungherese, ebrea, in visita a Firenze nel 1924, decide di fermarsi in Italia e intraprendere la professione di fotografa. Ribattezzatasi Carell per l’occasione, costruisce una propria indulgente biografia e inizia a utilizzare un apparecchio con lastre di grande formato che proietta il suo indubbio talento nel mondo del ritratto, con il quale sintetizza le esperienze sia della fotografia che della pittura rinascimentale.
Sulla lastra sono fissate quelle sembianze che pazientemente la fotografa ritoccherà al tavolino, con una serie di strumenti che faranno sembrare il suo atelier più simile a quello di un pittore che di un fotografo. La frequentazione della principessa Maria José è simultanea a quella di altre due note personalità femminili, anticonvenzionali emancipate, dai caratteri e dalle ideologie del tutto in contrasto, ma con alcuni tratti che li accomunano a quelli della stessa Carell: Margherita Sarfatti ed Edda Ciano Mussolini. La nota critica d’arte, teorizzatrice del Novecento, ebrea come la Carell, dal grande ascendente su Mussolini e quindi sulla politica culturale del Fascismo, e la figlia primogenita e prediletta dello stesso Duce, rivestiranno alla metà degli anni 30 un ruolo fondamentale per l’attività della Carell.
I ritratti di Mussolini consacrano la sua fama, il suo stile è riconoscibilissimo. Il suo lavoro leviga una sintesi espressiva, in accattivante dialettica, tra avanguardie e tradizione che segnano il dibattito artistico dell’epoca fascista. Le personalità italiane più note – o aspiranti alla notorietà – degli anni 30 si susseguono nello studio di piazza del Popolo a Roma, dove Ghitta Carell si è ormai trasferita dopo l’esordio fiorentino. Elena Canino dal 1930 lavora come assistente nello studio della fotografa; nel suo volume autobiografico Clotilde tra due guerre (1956), la Carell – mai citata espressamente ma chiamata “la signora” – diventa protagonista di alcune vicende della narrazione. «È la cameriera Maria che apre la porta ai clienti, sono io che li ricevo in salotto. Devo dire invariabilmente: La signora è in camera oscura. Viene subito (e invece l’attesa deve essere lunga). (…) Naturalmente questo incide sulle tariffe. Devo esser precisa, al riguardo. Esporre i prezzi, avvertire che il pagamento è anticipato, la consegna a seconda delle difficoltà tecniche. A questo punto arriva la signora, tailleur nero, piccolo gioiello antico, l’aria sempre un po’ stupita: Ma davvero, c’è qualcuno che vuole farsi un ritratto? Come mai? Un momento! Prima parliamo! E mentre le persone parlano, lei le depreda: quando entra sotto il panno nero nel suo studio, il ritratto è già fatto. (…) Duemila lire a posa, tre copie. Spedizione tra quindici giorni. Indirizzo?».
La promulgazione delle leggi razziali nel 1938 sconvolge la vita degli ebrei italiani e anche quella di Ghitta Carell. Non sarà perseguitata ma il suo ruolo e il suo nome inizieranno a essere censurati e omessi. Trascorrerà in Italia gli anni della guerra, nascosta tra Roma e Milano. Nel dopoguerra continuerà la sua attività su cui aleggia il ricordo – drammaticamente espiato – del fascismo. Nel 1969 la Carell si trasferisce ad Haifa, dove vivono la sorella e la nipote, e dove morirà nel 1972. Quella che Susan Sontag in On Photograpy (1977) definisce «l’innocente complicità di Ghitta Carell» rivelatrice di «una verità cruda e precisa», risulta così efficace che sembrerebbe lecito metterne in dubbio il carattere di innocenza. «Ciascuno di noi si crede uno ma non è vero», scrive Luigi Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore (1921).