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 2024  febbraio 28 Mercoledì calendario

Il carteggio tra Croce e Gentile

Benedetto Croce e Giovanni Gentile, con Antonio Gramsci, sono le figure più importanti della cultura, e della filosofia, italiane della prima metà del Novecento. E per tutti e tre vale quello che una volta Palmiro Togliatti ebbe a dire a proposito di Gramsci: non appartengono a una sola parte, tanto meno a un partito: sono protagonisti della storia della nazione italiana, naturalmente ognuno con la propria autonomia e specificità, e così vanno considerati senza spingerli nella notte in cui tutte le vacche sono nere.
Con la nuova edizione del Carteggio di Croce e Gentile si conclude il lavoro di Cecilia Castellani e Cinzia Cassani per Aragno e bisogna essere loro grati, oltre che all’editore che li stampa.
Non che prima il carteggio non fosse disponibile, ma era pubblicato in due sedi diverse: nel volume delle lettere di Croce a Gentile pubblicate da Alda Croce e nel volume delle lettere di Gentile a Croce a cura di Simona Giannantoni. Ora, grazie alla lungimiranza di Natalino Irti, il carteggio è stato pubblicato nella sua unità, e il lettore ha la possibilità di assistere al dialogo fra Croce e Gentile in presa diretta, seguendo i momenti principali di una lunga amicizia nella quale ognuno cerca di dare il meglio di sé segnando, volta per volta, i punti di reciproco consenso o di dissenso, che poi appariranno, adeguatamente filtrati, nei testi pubblici. Rispetto alle vecchie edizioni questo ultimo volume presenta poi importanti novità, pubblicando testi sconosciuti, integrando lettere prima in parte tagliate, mettendo a disposizione del lettore un prezioso commento e informazioni precise su ogni lettera.
Talvolta ci si è chiesto chi dei due abbia maggiormente influenzato l’altro, se Croce oppure Gentile; ma proprio questo carteggio dimostra che si è trattato di una domanda inutile: le differenze tra i due amici sono chiare fin dall’inizio, ed entrambi ne sono consapevoli. Anzi, è proprio questo che dà forza e significato a un dialogo nel quale ognuno discute rimanendo sé stesso, ma sapendo anche di trovare nell’altro il migliore interlocutore possibile nello sforzo che viene facendo per elaborare in piena autonomia ed originalità il proprio punto di vista. È un colloquio intenso proprio per questo: nessuno dei due cerca di convincere l’altro ad aderire al proprio pensiero; ognuno si misura con l’altro per comprendere, attraverso la distanza, come procedere, prendendo maggiore consapevolezza di sé attraverso il dialogo. Del resto, è questa l’importanza e il valore dell’amicizia: discutere con l’altro per capire meglio sé stessi.
Va sottolineata un’altra cosa: riguardando i momenti e gli eventi principali della nostra vicenda nazionale, questo carteggio contribuisce a una nuova considerazione della storia italiana nella sua complessità, e non solo di quella della filosofia o della cultura filosofica. E questo conferma l’importanza nella ricerca storica dei materiali “privati”: delle lettere, dei diari, in genere delle scritture di carattere autobiografico di cui Benedetto Croce ci ha lasciato insigni esempi, sia nei testi pubblici che nei suoi Taccuini di lavoro, pubblicati anch’essi da Alda Croce.
Scritti pubblici e privati che dovrebbero consentire a tutti di guardare a Croce, ma anche a Gentile, da una diversa distanza, andando al di là delle prospettive critiche elaborate da grandi studiosi come Garin e Bobbio in opere che sono state punti di riferimento per generazioni di studiosi, ma che ora appaiono più utili come fonti che come testi critici. Oggi occorre percorrere nuove vie guardando alla sostanza della esperienza umana e intellettuale di Croce e di Gentile, comprendendo caratteri e importanza di una amicizia che fu per entrambi un evento straordinario per la sua intensità e anche per la durezza della rottura con cui si conclude, aprendo ferite mai rimarginate.
La due lettere con cui il carteggio si chiude sono in ogni senso un testo drammatico: Gentile chiede se davvero Croce avesse espresso critiche su di lui di carattere morale, e cerca in tutti i modi di mantenere ancora vivo un rapporto che continuava a essere grande parte della sua vita, nonostante ogni differenza – qualunque ne fosse l’entità – filosofica o politica: «Malgrado tutto, gli scrive chiudendo la lettera, io sarò sempre il tuo Giovanni».
Croce risponde con una lettera dai toni pacati ma intransigenti, dietro cui non è però difficile intuire il sentimento di una perdita tanto profonda quanto irrevocabile. Dietro le battute sulla logica delle situazioni che deve svolgersi «attraverso gli individui e malgrado gl’individui» si avverte il turbamento profondo che Croce cerca di contenere, operando – l’aveva già fatto in momenti di analoghe, profonde sofferenze – un taglio netto con il passato, persuaso che fosse meglio chiudere che tenere aperto un rapporto che ormai gli procurava solo amarezza, e turbava gli strati più profondi del suo essere. Sono parole drammatiche, quelle che gli scrive, pensate una per una – e venivano proprio «dal fondo del suo cuore» – come gli aveva chiesto Gentile, ma suonano una musica senza più speranze.
A differenza del suo vecchio amico Croce si era però preparato da tempo a quel distacco. Il contrasto filosofico risaliva a molti anni prima, era diventato pubblico nel 1913 con la discussione tra «filosofi amici», ma ora il dissenso non riguardava più l’unità o la distinzione; toccava la politica, e con la politica il destino dell’Italia, e anche la sostanza più profonda dell’essere di Croce. E non erano più possibili mediazioni come sperava Gentile.
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Benedetto Croce,
Giovanni Gentile
Carteggio (1915-1919
e 1920- 1924).
Volume V in II tomi
A cura di Cinzia Cassani
e Cecilia Castellani

Nino Aragno, pagg. 500