il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2024
Opere proibite in mostra
Irriverenti, trasgressive, politicamente scorrette, erotiche, dissacranti o addirittura blasfeme. Non lasciano certo indifferenti le 88 opere esposte al Museu de l’Art Prohibit di Barcellona, di recente apertura nella Capitale catalana. Sono incappate, ognuna con la propria storia, nelle maglie della censura; denunciate, rimosse dagli organizzatori delle mostre o ritirate dagli stessi autori, in seguito alle reazioni e alle polemiche che hanno suscitato, da Francisco de Goya a Bansky.
L’inedita esperienza culturale può rivelarsi al contempo scioccante ed esaltante. Scioccante per l’impatto emozionale che le opere proibite inevitabilmente provocano nei visitatori. Esaltante per l’effetto razionale, positivo o negativo, che sono in grado di innescare sulla concezione della libertà di pensiero e di opinione. “La visita a questo museo – scrive nel catalogo il curatore della mostra Tatxo Benet – può essere anche un esercizio di tolleranza e di rispetto per ciascuno: probabilmente incontreremo opere che non ci piacciono, che sono contrarie ai nostri valori, che non capiamo, i cui aspetti o contenuti risultano repellenti. In breve, possiamo trovarle perfino volgari e inaccettabili. Ma dobbiamo ricordare che i valori artistici sono personali e che i nostri non sono più elevati o più nobili di quelli altrui. L’umana diversità culturale è individuale. Altrimenti, può diventare uniformità oppressiva”.
Naturalmente, è innanzitutto la politica a tenere banco. A cominciare dal ritratto firmato da Illma Gore che mette letteralmente a nudo l’ex presidente Trump, con un micropene in bella mostra, sotto il titolo provocatorio Make America great again, lo slogan della sua prima campagna elettorale. Facebook accusò l’artista di aver violato la policy aziendale in materia di riservatezza e la escluse dalla piattaforma. Diverse gallerie americane si rifiutarono di esporre l’opera. Alla fine, il pastello su carta fu ospitato in Gran Bretagna dalla London’s Maddox Gallery e molti supporter di Trump attaccarono l’autrice che fu poi candidata alle primarie democratiche in Florida. Per restare negli Stati Uniti, segue Untitled (Flag 2) di Josephine Meckseper. L’opera accolta nel museo di Barcellona mostra la bandiera americana imbrattata da macchie d’inchiostro che coprono una parte delle cinquanta stelle e dall’immagine di un calzino a strisce bianche e nere sovrapposta a quelle bianche e rosse del vessillo nazionale. Esposta nel campus dell’Università del Kansas, fu contestata dagli studenti repubblicani e i rappresentanti del loro partito ne pretesero la rimozione.
In un Paese come la Spagna, che non dimentica gli orrori del regime instaurato da Franco, colpisce in modo particolare l’ironica scultura dell’ex dittatore realizzata a grandezza naturale in silicone e resina da Eugenio Merino, collocata all’interno di un frigorifero della Coca-Cola: titolo Always Franco. Fu presentata nel 2012 all’ArcoMadrid, in un’esposizione organizzata dagli Artisti antifascisti. La Procura della Capitale ritenne che non costituisse offesa all’onore del Caudillo, chiedendo al magistrato Rocìo Nieto di archiviare la denuncia per diffamazione presentata dalla Fondazione nazionale intitolata al dittatore. Per analogia, nella stessa sala del museo compare un’altra statua in resina di Saddam Hussein, “incaprettato” mani e piedi in un acquario riempito di formaldeide, firmata dall’artista cecoslovacco David Cerný e intitolata Shark, “squalo”. Presentata alla Biennale di Praga nel 2005, l’opera fu bandita dal sindaco della città che ne proibì l’esposizione in un luogo pubblico per “non causare offesa ai passanti”. L’anno successivo venne censurata “per precauzione” dalle autorità in Belgio, Polonia e Germania.
Un altro ricco filone della mostra è dedicato alla religione, sia quella musulmana sia quella cattolica. Due sale attigue ospitano, la prima, una provocatoria esposizione di 30 paia di scarpe femminili da sera disposte su altrettanti tappetini da preghiera in uso nelle moschee, dove le donne sono separate dagli uomini, intitolata Silenzio rosso e blu e firmata da Zoulikha Bouabdellah; l’altra, un Crocifisso con la figura di Ronald McDonald, il personaggio immaginario abbigliato da clown che è la mascotte dell’omonima catena di fast food (McJesus di Jani Leinon). Ma il povero Cristo è messo in croce anche dall’argentino León Ferrari, sulle ali di un jet americano da combattimento, per denunciare le atrocità della guerra in Vietnam: l’opera, sotto il titolo La civilizzazione occidentale cristiana, fu accusata di offendere i simboli e le credenze della religione cattolica.
Una sala ad hoc, la seconda del percorso espositivo, è riservata infine ai lavori di Andy Warhol (Mao con le labbra carnose colorate di rosso); di Juan Francisco Casas (L’estasi di Santa Teresa del Bernini, nell’atto di masturbarsi); di Gustav Klimt (un’altra figura femminile con il sesso in primo piano, disegnata a pennarello e biro) e di Pablo Picasso (una serie di incisioni e litografie erotiche).