Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 27 Martedì calendario

Tra “soldi pronti, galline” e truffe l’editoria è lo specchio dell’Italia

Inflessibile con gli scrittori che chiedevano anticipi: “Manoscritto da una parte, soldi pronti dall’altra” e insinuante con i critici: “Ricordati che ti farò pagare tutti questi libri se tu non me li paghi in tanti articoli belli e buoni”. Ecco l’impronta del triestino Emilio Treves – fondatore nel 1861 a Milano dell’omonima casa editrice – come emerge dalle pagine di Tommaso Munari. Nel suo L’Italia dei libri, uscito per Einaudi, l’autore attinge a una nutrita aneddotica per ribadire come l’industria editoriale sia sempre stata al rimorchio della storia nazionale. Nell’Italia post-unitaria, pur minata da un diffuso analfabetismo, Treves è l’editore che invera l’imperativo “fare gli italiani” con la pubblicazione nel 1886 di Cuore di Edmondo De Amicis. Un successo tanto clamoroso che “a vent’anni dalla prima edizione era stato ristampato 363 volte”.
Treves era un editore atipico rispetto ai suoi colleghi dell’epoca. Non vantava un passato né da libraio né da tipografo: “Cominciano spesso così le storie delle case editrici italiane… Prima di potersi sedere a una scrivania d’ufficio, occorreva aver trascorso un certo tempo dietro un bancone di libreria”. Fu lo stesso Treves nel 1878 a riunire in un convegno quasi tutti gli editori più importanti (tra gli altri Zanichelli, Paravia, Loescher, Sonzogno) per affrontare l’annosa questione del diritto d’autore. Anche in virtù, come ricorda Munari, della “vertenza giudiziaria più celebre della letteratura italiana”. Ovverosia la controversia, conclusasi in favore dello scrittore, tra Alessandro Manzoni e Felice Le Monnier. L’editore fiorentino nel 1845 aveva dato alle stampe senza consenso la versione ventisettana dei Promessi sposi fingendo di ignorare che nel frattempo nel 1840 era stata pubblicata a Milano l’edizione definitiva del capolavoro.
Treves, che ebbe anche l’intuizione di valorizzare e pubblicare Giovanni Verga, non fu il solo editore a macinare successi nella seconda metà dell’Ottocento. Se il fiorentino Adriano Salani pubblicò i quasi cento romanzi dell’allora popolarissima Carolina Invernizio, un altro concittadino come Enrico Bemporad plasmò l’immaginario collettivo grazie al Pinocchio di Collodi (ereditato dalla precedente Editrice Paggi), al Giornalino di Gian Burrasca di Vamba e ai libri di avventura di Emilio Salgari.
A traghettare nel Novecento gli italiani scolarizzati sono da menzionare i diffusissimi “Manuali Hoepli”: centinaia di volumi ciascuno dedicato a una branca del sapere o della tecnica. Lo svizzero Ulrico Hoepli, sulla scorta dell’esperienza nella sua libreria milanese a pochi passi dal Duomo, seppe individuare la necessità degli italiani di restare sempre aggiornati. Pirandello in una sua novella per ridicolizzare la decisione del protagonista di arruolarsi in fanteria lo immagina cavalcare proprio grazie alla lettura di un manuale Hoepli sull’equitazione.
Nel primo Novecento a intercettare il favore dei lettori è senz’altro Arnoldo Mondadori. Nel 1929 debutta la sua “gallina dalle uova d’oro”, la collana “Libri gialli”. Durante il ventennio fascista bisogna edulcorare a colpi di forbici secondo le norme prescritte dal Minculpop. Un classico come Dieci piccoli indiani di Agatha Christie viene bocciato perché conteneva “almeno due suicidi non eliminabili”. La censura, forse per inerzia, prosegue anche nell’immediato dopoguerra. La traduzione del Grande sonno di Chandler nel 1948 è adulterata per smussare certe dissolutezze del genere hard-boiled. Con Troppo tardi del 1950 l’autore americano si accorge delle manomissioni e intima di ritirare il romanzo dal mercato.
Il saggio di Munari si sofferma sulle diverse realtà editoriali nate dapprima attorno a un autore feticcio. Laterza con Benedetto Croce, Adelphi con Nietzsche, Boringhieri con Freud. Nel rievocare la nascita della palermitana Sellerio e il ruolo che vi svolse Leonardo Sciascia viene illustrata la figura del letterato-redattore. Capostipite Carducci con una collana diretta per Sansoni nel 1889. Tra i tanti: Bertolucci per la Fenice di Guanda, Vittorini per i Gettoni Einaudi, Bassani per la Biblioteca di letteratura di Feltrinelli.
Proprio di Giangiacomo Feltrinelli, che indovinò successi clamorosi sfidando il Pci come Il dottor Zivago e Il Gattopardo, Munari restituisce il genio professionale. A cominciare dalla sua catena di librerie dove per la prima volta i volumi sono a portata di mano, all’insegna di un self-service sanzionato altrove con severe occhiatacce. Feltrinelli i libri sapeva come lanciarli. Si prenda To Kill a Mockingbird di Harper Lee, 1960. Nonostante il libro fosse pronto, ritardò l’uscita di quattro mesi per ripensare la fascetta, concordare servizi sui giornali, preparare un nuovo bollettino per i librai e una copertina più seduttiva, ma soprattutto un titolo migliore di Non sparate ai passeri. Fu scelto Il buio oltre la siepe.