9 gennaio 2024
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Biografia di Maurizio Sarri
Maurizio Sarri, nato a Napoli il 10 gennaio 1959 (65 anni). Allenatore di calcio. Attualmente, tecnico della Lazio (dalla stagione 2021/2022; già Juventus, Chelsea, Napoli, Empoli). Ex calciatore (Stia, Castelnuovese, Grassina, Figline). Tra le principali vittorie conseguite da allenatore, un campionato italiano (Juventus, 2019/2020) e un’Europa League (Chelsea, 2018/2019). «Io m’arrapo pure per un’amichevole» • Il nonno paterno «si chiamava Goffredo. Era molto fiero di un riconoscimento su carta intestata della Casa Bianca: da partigiano recuperò i piloti di un aereo Usa abbattuto in Val d’Arno, li nascose – e a quei tempi ti fucilavano per meno – e li consegnò agli inglesi quando passarono il fronte. Uno si chiamava John Lanza: lo so perché figlia e nipote ci hanno scritto un libro» (a Gianni Mura). Figlio di due operai: «Amerigo nell’edilizia, Clementina in una ditta di cornici. Mio padre, da ciclista, ha vinto 37 corse fra i dilettanti. Un paio di stagioni fra i “pro” e ha smesso. Sono nato a Napoli, lavorava lì, ma siamo di Figline Valdarno. Non mi sento toscano: lo sono. Siamo schietti, polemici, ma veri» (a Francesco Saverio Intorcia). «“Mio padre Amerigo […] mi ha insegnato ad amare tutti gli sport”. Ha provato con la bici? “Sì, sui 12 anni ho pure vinto un paio di corse, ma non mi divertivo. La bici mi pesava mentalmente, e poi tutti i miei amici giocavano a pallone”. […] Da piccolo per chi tifava? “Per il Napoli. A Figline ero l’unico: tutti gli altri tenevano al Milan, all’Inter, alla Juve, alla Fiorentina. Mi sembrava naturale tifare per la squadra della città dov’ero nato”» (Mura). «Alto, magro, guance incavate, sguardo torvo. Maurizio Sarri per gli amici è “il Secco”. Lo è da sempre, fin dai primi calci dati all’oratorio Don Bosco, con don Aldo Bellugi, zio del calciatore della nazionale anni ’70 Mauro, a sorvegliare tutta quella gioventù. Da ragazzo giocava stopper nei gironi danteschi dei dilettanti» (Furio Zara). «Perché non ha fatto carriera come calciatore? “Ero un difensore roccioso e di carattere, ma con poco talento. Giocavo nel Figline. A 19 anni mi voleva il Montevarchi, ma il Figline chiese 50 milioni: troppi. Arrivò il Pontedera, mi piccai e rifiutai: uno sbaglio, perché loro salirono in C1. Rimasi a Figline e mi spaccai tutto: addio carriera, ma non sarei andato lontano comunque. Non ho rimpianti, e in fondo ero già allenatore a 16 anni”. Addirittura. “Giocavo negli Allievi. Il nostro allenatore, il giorno della partita, non si presenta perché in rotta con la società. Io dico ai compagni che si gioca comunque: scrivo le liste, metto l’autista come dirigente accompagnatore, faccio l’allenatore-giocatore e vinciamo in trasferta. Il giorno dopo, l’allenatore tornò: ‘Non mi dimetto più, resto per voi’”» (Andrea Scanzi). Per lungo tempo tuttavia Sarri lavorò come agente dell’ufficio cambi del Monte dei Paschi di Siena, dedicandosi nel tempo libero all’allenamento: primo banco di prova, nel 1990/1991, lo Stia, squadra di Seconda categoria della provincia di Arezzo. «Da lì, la scalata a mani nude: Faellese, Cavriglia, Antella, Valdema, Tegoleto e Sansovino, la squadra con cui si è arrampicato al professionismo con tanto di vittoria della Coppa Italia di D nel 2003. Lo ricordano come un miracolo, ma è stato solo “lavoro e determinazione”» (Filippo Conticello). Fu allora che decise di abbandonare l’impiego bancario per dedicarsi interamente al calcio. «Con l’euro lavorare nei cambi rendeva meno. Da allenatore, salendo di categoria, capivo che sarei riuscito a campare ugualmente, ma soprattutto non ne potevo più, di andare in ufficio e di aspettare con impazienza di staccare alle 17 per andare sul campo. Quindi, stop». «Ecco la C2, ci arriva a 44 anni: Sangiovannese, Pescara, Arezzo, Avellino, Verona, Perugia, Grosseto, Alessandria, Sorrento, Empoli che porta in A, Napoli» (Mura). «C’era una volta il sarrismo, movimento calcistico capace di farsi neologismo e ritagliarsi il suo spazio sulla Treccani: “Concezione del gioco del calcio fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri”. Correva l’anno 2018, il Napoli si era appena illuso di poter salire sul tetto d’Italia grazie a un modo di intendere il gioco lontanissimo dai canoni della nostra tradizione. Maurizio Sarri era diventato emblema della gavetta e artefice di un laboratorio calcistico di livello altissimo, mantenendo i crismi del rivoluzionario. Partito incendiario e fiero, però, si era ritrovato in fretta nei panni del pompiere, come da massima di Rino Gaetano: l’approdo alla Juventus, via Chelsea, l’aveva reso inviso alla piazza, che l’aveva amato in maniera viscerale, sentitasi tradita dall’uomo del popolo andato a cena col nemico, l’abiura inaccettabile di Masaniello» (Marco Gaetani). Nel frattempo, durante la sua esperienza all’estero, Sarri aveva conquistato l’Europa League: il 29 maggio 2019, la «notte di Baku, prima coppa europea vinta con un Chelsea stellare e capace di annichilire l’Arsenal» (Guglielmo Buccheri). «Io […] fa arrivo al Napoli e do tutto me stesso: sono andato lì perché li tifavo da piccolo e avevo la sensazione potessimo diventare competitivi. Negli ultimi mesi a Napoli mi vengono dubbi sull’affetto della situazione, e mi sono detto che era nato un problema, che il Napoli mi ha tolto presentando Ancelotti. A quel punto preferisco prima passare per l’estero, faccio un’esperienza bellissima ma nella seconda parte sento il bisogno di tornare in Italia, possibilità offerta dalla Juventus, la migliore società in Italia. È il coronamento di una lunga e difficile carriera. Ho rispettato tutti, compreso me stesso» (Sarri nel giugno 2019, alla sua prima conferenza stampa in qualità di nuovo tecnico juventino). «Quell’utopia partenopea […] è una rincorsa che il tecnico stesso ha smesso di affrontare, consapevole che certi picchi di bellezza sono impossibili da replicare. Ci ha provato a Torino, invano, piegandosi al peso di un organico fuori scala per la Serie A dell’epoca e conducendo comunque la nave in porto per il traguardo tricolore, senza però riuscire a fare altrettanto in Europa. […] La Juve scelse Sarri per portare i bianconeri verso una nuova direzione: doveva essere l’uomo in grado di trascinare la Vecchia Signora nella modernità, era stato invece l’ultimo a vincere lo scudetto con un calcio così diverso da quello al quale aveva abituato tutti da venire rigettato dalla Juventus stessa: espulso come un corpo estraneo per regalarsi il brivido della scommessa Pirlo, salvo poi tornare allo status quo allegriano» (Gaetani). Alla Juventus «Sarri pensa di avere fatto un capolavoro […] in una situazione che aveva fatto emergere mille problemi. […] Quando disse “abbiamo vinto il campionato più difficile della storia”, lo avevano preso per matto, invece c’era un fondo di verità» (Alfredo Pedullà). «Rimasto fermo per un anno, Sarri ha avuto tempo di metabolizzare e ha scelto una sfida apparentemente impossibile: troppo forte il lascito di Simone Inzaghi, allenatore nato e cresciuto nella Lazio lotitiana, abituato a fare di necessità virtù e a rintracciare risorse occulte in organici sempre drammaticamente troppo corti. […] Il primo è stato un anno di inevitabile transizione, di una Lazio che continuava a fornire recite di livello soprattutto quando assecondava la precedente versione di sé. Il secondo anno, quello che a Torino non gli è stato concesso, ha dato vita a qualcosa di totalmente diverso. […] La lezione appresa da Sarri al Chelsea e alla Juventus è che la rivoluzione deve passare inevitabilmente dalle risorse che si hanno a disposizione: snaturare le caratteristiche degli uomini d’attacco della Lazio sarebbe controproducente per il reparto difensivo. […] Nella stagione biancoceleste rimane un grosso neo, impossibile da trascurare: la gestione delle coppe europee» (Gaetani). «Perché ha detto che quando ha vinto non si è divertito, mentre alla Lazio ha riscoperto il piacere di allenare? “Alla Juve tutto era dovuto e dovevamo solo vincere la Champions, ma era un messaggio inquinato. Ho vinto lo scudetto con un gruppo a fine ciclo e una società che ha preso me perché aveva la voglia ma non la convinzione di cambiare stile. Nel Chelsea ho fatto fatica io a calarmi in un club atipico, senza ds, dove nessun allenatore riusciva a resistere due anni. Però poi negli ultimi mesi mi sono divertito e ho sbagliato a voler venire via, non tanto dal Chelsea, che mi avrebbe anche tenuto, ma dalla Premier, un contesto di bellezza unica. Tornare in Italia è stato un errore”. Insomma, alla Lazio si diverte o no? “Qui ti fanno sentire neanche parte integrante, ma addirittura fondamentale: così è la figura dell’allenatore, per Lotito”. Eppure avete passato un’estate turbolenta. “Io avevo delle idee, poteva esser l’anno in cui alzare l’asticella, ma le mie sono proposte tecniche e basta: la realizzazione economica spetta alla società”. Fatto sta che siete indietro di molti passi. “L’anno scorso le coppe hanno tolto punti alle nostre concorrenti, consentendoci di realizzare un miracolo, che rimane ma che non può cambiare le aspettative su di noi. Al ritorno in Champions la squadra ha reagito bene, […] ma non ci aspettavamo certe difficoltà nella normalità del campionato”» (Giulio Cardone ed Emanuele Gamba) • Sposato da oltre trent’anni con Marina Pazzaglia, cofondatrice e presidente di Iride Italia, società di articoli per ufficio; un figlio, Nicolè, così chiamato in onore di un calciatore con cui Sarri giocava da ragazzo, Nicolè Pratesi, che al riguardo ha raccontato: «Giocavamo da avversari. Entrambi eravamo difensori centrali, e durante una partita mi si avvicinò Maurizio, chiedendomi: “Nicolè, quando nascerà mio figlio posso chiamarlo come te? Tu sei un gran giocatore e io spero che lui diventi un giorno calciatore”. Io risposi che non doveva chiedere il permesso a me, ma a sua moglie! Peccato che poi suo figlio col calcio non è che se la sia cavata molto…» • «Al centro c’è Matassino, piccola frazione. Un raggio porta a Figline Valdarno, l’altro verso Vaggio: il mondo, quello più autentico, di Maurizio Sarri è racchiuso qua dentro. Matassino è il luogo delle chiacchiere, davanti al bancone del bar nella Casa del Popolo. […] “A Maurizio piace parlare di calcio. Lo fa come lo faceva tanti anni fa…”: così Enzo, memoria storica della Casa del Popolo e amico da una vita dell’allenatore toscano di adozione. […] Qua Sarri torna perché le chiacchiere con gli amici sono il sale della sua professione. E perché la famiglia è il suo rifugio. “Le vacanze? Le fa a San Benedetto. Non cambia mai se le cose in stagione sono andate come voleva…”, sorride Simone» (Buccheri) • Di sinistra. «“Renzi mi pare uno che fa le stesse cose di Berlusconi, o quasi. Mio nonno era partigiano e mio padre operaio: come faccio a votare Renzi? Però neanche voto 5 stelle: non ce la faccio”. Magari aspetta Landini. “Diciamo che, se facesse politica, lo ascolterei con attenzione. Una volta ero in volo con una mia squadra. Vedo Franceschini. Mi alzo e gli siedo accanto. Gli chiedo: ‘Senta, mi spieghi una cosa. Com’è che in Italia la sinistra non fa mai una cosa normale?’”. E Franceschini? “Mi ha detto che, in effetti, avevo ragione”» (Scanzi) • «Tifoso del Napoli dichiarato, ma un suo amico d’infanzia, Aurelio Virgili (figlio di Giuseppe Virgili, detto Pecos Bill, attaccante viola anni ’50), rivelò che quando si faceva la barba cantava l’inno Oh Fiorentina di Narciso Parigi: “Garrisca al vento il labaro viola…”» (Fabrizio Bocca) • «Lei legge molto: Bukowski, Fante, Vargas Llosa. “Mi piace andare per biblioteche, annusare la carta, guardare le quarte di copertina. La musica, non riesco ad amarla, ma senza libri non saprei stare”» (Scanzi) • «Sarri fuma Merit. Sempre quelle. Media da tabagista incallito: una stecca ogni due giorni» (Zara). «Per dire della dipendenza di Sarri dalle sigarette, quando doveva prendere l’aereo, fumava l’ultima sigaretta con la testa fuori del portellone, mentre il personale di bordo lo chiudeva» (Bocca) • «Sarri è un integralista, maniaco degli schemi fin da quando ha cominciato ad allenare. Al Sansovino un suo giocatore raccontò che avevano provato addirittura 33 schemi su calcio di punizione. Lui con ironia rispose: “Ha esagerato: non sono 33, ma sono sicuramente più di 30”» (Zara) • «È molto scaramantico. Il nero è il suo colore preferito: dice che gli porta fortuna. […] Negli anni ’90, quando allenava tra i dilettanti, obbligava i giocatori a calzare scarpe nere e si arrabbiava se qualcuno disobbediva. Una volta un suo amico gli disse: “Mauri, mi sembri Diabolik…”. E anche questo soprannome gli rimase addosso» (Zara). «Quando cominci a vincere, le scaramanzie finiscono» (ad Angelo Carotenuto) • «Oltre che “quello della banca” e “quello dei 33 schemi”, lei è anche “quello della tuta”. Cos’ha da dire? “Che non sono l’unico, che in tuta sto comodo e comunque faccio l’allenatore, non l’indossatore”» (Mura) • «Fra le sue mani il calcio sembra sempre una cosa seria, qualcosa tra il filosofico e il popolare ma sempre molto pensata, arrivata da lontano» (Mario Sconcerti) • «Sarri predilige il 4-3-3, in ogni caso punti fermi sono la difesa a 4 e il centrocampo a 3. Poi si può vedere se giocare o meno col trequartista. […] Grande attenzione al possesso palla e particolarmente al gioco difensivo, interi allenamenti dedicati esclusivamente alla difesa e ai difensori. […] Sarri è stato uno dei primi a fare ampio uso di riprese degli allenamenti col drone per analizzare via video dall’alto i movimenti tattici dei giocatori» (Bocca). «La difesa, per come la intendo io, è a 4. La mentalità è indispensabile. Voglio una squadra con la faccia tosta, che se la gioca con tutti. Non sono uno che controlla i giocatori: il tempo libero è loro. Ma sanno fin dal primo giorno che con me o si va a mille all’ora o si sta fuori» • «“Sono un autodidatta che ha imparato a furia di schiaffi sul viso e di lezioni prese. Il sarrismo, fatico a comprendere cosa sia, ma tanto è un mondo di slogan, di etichette e luoghi comuni, e allora teniamoci il sarrismo”. Ma esiste o no ’sto sarrismo? “Se ci riferiamo agli anni di Napoli, io non posso e non devo fare quel calcio lì per forza, anche se la gente pretende da me sempre la stessa maniera di giocare. Avere dei palleggiatori non è come avere dei contropiedisti: mi devo adattare, la Lazio non potrà mai essere come il Napoli”» (Cardone e Gamba) • «Io mi sono innamorato del calcio vedendo le squadre di Sacchi, per il senso di ordine che mi davano e che prima non avevo mai visto. Arrigo, l’ho conosciuto molto dopo, ma è stato lui a ispirarmi» • «“L’unico calcio sostenibile è quello inglese, il più tradizionalista, dove il sabato pomeriggio non c’è nessuna partita in tv perché la gente affolla gli stadi delle categorie minori. La finale di FA Cup è il match più visto al mondo dopo quella di Champions, eppure da cent’anni ha sempre gli stessi riti, e si gioca a Wembley, mica in Arabia. Vorrà dire qualcosa?”. Cosa? “Lì c’è il tentativo di non fare cadere il movimento nella globalità. Così loro sono tutti ricchi, mentre i nostri ricchi sono i poveri d’Europa. Il calcio è uno sport emozionale: se gli togli l’emozione, a livello televisivo non è certo il migliore spettacolo del mondo. L’emozione, la tiene viva il bambino che va allo stadio, ma non c’è futuro se si mira al pubblico degli highlights. […] Si cerca di aumentare il fatturato diminuendo la qualità del prodotto, ma quale azienda ragiona così?”. […] Perché non va bene giocare ogni tre giorni? “Perché se non ti alleni subentrano il decadimento tecnico e fisico e la stanchezza mentale, quindi lo spettacolo peggiora. […] Ormai si ci allena solo al video”. Quante partite un calciatore dovrebbe fare, in un anno? “Al massimo 50. Si potrebbe almeno cominciare dalle piccole cose, tipo rinunciare alle tournée estive e riportare la Coppa Italia ad agosto anche per le grandi, facendole giocare sui campi delle squadre di Serie C, che così farebbero incassi per campare tutto l’anno. Ma di sicuro ci direbbero che c’è un problema di ordine pubblico per cui la Juve non può andare a Campobasso. La Coppa Italia è un evento clandestino cucito su misura per l’audience televisiva degli ultimi turni. Ma il calcio non è questo: è il Bayern che perde con una squadra di C”» (Cardone e Gamba) • «Perché l’hanno esonerata un sacco di volte? “Primo, perché ho fatto un calcio che era troppo avanti. Secondo, perché non sono di facile gestione, anche se in parte mi sono smussato. Ma io sono questo: il giorno in cui diventassi facile da gestire, sarà meglio smettere”» (Cardone e Gamba) • «Prima lo insultò così: “Finocchio!”. Poi, se mai non si fosse capito, sottolineò l’argomentazione: “Frocio!”. Gennaio 2016, si giocava Napoli-Inter. Sarri contro Mancini, che a fine partita denunciò pubblicamente il comportamento del collega bollandolo come “una vergogna per il calcio”. Poi Sarri chiese scusa. Mancini incassò le scuse. Ma i due non sono amici, proprio no. Non le manda a dire. Spesso Sarri, in un mondo che tende al compromesso, è una voce fuori dal coro» (Zara) • «Le spiace se la paragono a un cinghiale? “Neanche un po’”» (Mura) • «Questo è un lavoro che avrei fatto anche gratis dopocena. Per me è una passione» • «Quando vado a fare allenamento, non dico mai ai miei “Esco a lavorare”. Provengo da una famiglia di operai, e se sento parlare di “sacrifici” nel calcio mi infiammo…» (a Massimiliano Castellani) • «Conferma che allenerà la Lazio e poi basta? “Mi piacerebbe che fosse così”. Quindi lascia nel 2025? “Non metto limiti temporali, perciò non dipende solo da me”. Finirà per andare anche lei in Arabia? “Si può fumare in Arabia?”. Sì, sì. “Allora vedremo”. […] Lei, alla fine, è felice di quello che ha combinato? “Sono parecchio contento, perché vengo da parecchio lontano. Il Napoli di Sarri sarà ricordato per trent’anni”» (Cardone e Gamba).