10 gennaio 2024
Tags : Roberto Andò
Biografia di Roberto Andò
Roberto Andò, nato a Palermo l’11 gennaio 1959 (65 anni). Regista. Di cinema, teatro, opera. Scrittore. Tra i suoi film Il manoscritto del Principe (2000), Sotto falso nome (2004), Viva la libertà (2013, dal suo romanzo Il trono vuoto, con cui nel 2012 ha vinto il Campiello opera prima), Le confessioni (2016). Da ultimo con La stranezza (2022) ha vinto quattro David di Donatello (scenografia, costumi, sceneggiatura originale e produzione). «Noi siciliani viviamo una dialettica tra l’apparire e lo sparire. Un’incertezza eterna».
Vita «“Mio padre era primario ortopedico. Avrebbe voluto fare altro nella vita. Ma seguì le orme di mio nonno, anche lui medico e figura di spicco del partito comunista siciliano. Morì giovane, beatamente, ascoltando l’Offerta musicale di Bach. Mia madre invece è morta a 95 anni. Fino all’ultimo si è presa cura di mia sorella. La tormentava il dopo, cosa sarebbe accaduto quando non ci fosse stata più. Si è presa il dolore su di sé e l’ha sopportato con forza e dignità. Quando morì il fratello, Franco Indovina, nell’incidente aereo di Punta Raisi, dove perirono 115 persone, mia madre cadde in una depressione profonda”. Era il 1972 mi pare. “Avevo 13 anni ed ebbi la netta sensazione, nonché il terrore di perderla. La vedevo lontana da me. Assente. E fu così per mesi. Spesso riversa nel letto con sul comodino, inspiegabilmente, un libro del teologo Karl Rahner. Non so cosa trovasse in quelle pagine di meditazione. Forse un appiglio spirituale. Una ragione per vivere. Quello che ricordo, quando un giorno aprii il libro, fu scorgere impresse sulle pagine le sue lacrime. Immaginai il suo dolore. Fu da quel momento, credo, che lo fece suo” […]”. “Nella Palermo dove ho vissuto a lungo ero molto solo. E quando ho sentito tutta la precarietà della solitudine sono andato a cercare dei maestri. Il più importante è stato Leonardo Sciascia. Una delle prime cose che mi disse fu: dobbiamo sempre tenere delle candele accese, rischiarare quella vasta frangia di oscurità del non detto […] I film insieme ai libri erano i miei oggetti del desiderio. Ho cominciato a fare cinema con Francesco Rosi. Ero assistente per il suo Cristo si è fermato a Eboli. Ero abbastanza spaesato sul set. E fu dura. L’ultimo giorno delle riprese Rosi mi disse: ora sei uno di noi. Da quel momento è partita la mia vicenda con il cinema. Assistente di Federico Fellini e poi di Francis Ford Coppola e di Michael Cimino. Ho fatto regie teatrali, scritto testi, sono tornato al cinema con film miei e poi ho raccontato storie. Ho fatto convivere cinema, teatro, letteratura. In quegli anni, il mio sembrava l’atteggiamento di un indeciso. Fu Sciascia a togliermi dal dubbio”. Come ti convinse? “Disse: perché devi scegliere? Fai cose diverse purché siano cose in cui credi. Mi sentii rassicurato, legittimato. Aveva il mito del dilettante e lui è stato un meraviglioso dilettante”» (ad Antonio Gnoli) • «Roberto Andò era poco più di un ragazzino, ma già appassionato di cinema, quando riuscì, grazie a conoscenze familiari, a introdursi nel set de Il viaggio, l’ultimo film firmato da De Sica e tratto dall’omonima novella di Luigi Pirandello, di cui era protagonista la coppia Burton-Sophia Loren.
“Quella fu la mia iniziazione. Ero protetto dalla meravigliosa Sophia e anche De Sica, in là con l’età, mi aveva preso a ben volere. Tutte le mattine, durante le pause, mi faceva cenno di avvicinarmi a lui, per chiedermi se conoscevo il barone Caio, la principessa Sempronio o il conte Tizio che lo avevano invitato a cena per poi fare una partita a carte al Circoletto, un circolo nobiliare...”. E lei conosceva tutti questi blasonati? “Beh... diciamo che, quando potevo, cercavo di rendermi utile chiedendo informazioni ai miei genitori... non volevo deludere il regista... ci tenevo tanto a frequentare il set e scoprirne i meccanismi”. Però il battesimo in letteratura lo ha avuto con Leonardo Sciascia. “In quel caso fui aiutato da Elvira Sellerio, molto generosa con me. Voleva aiutarmi e mi introdusse nella sua casa editrice per presentarmelo, mentre il grande scrittore stava correggendo le bozze di un suo romanzo e io aspiravo a scrivere il mio primo testo letterario. Fu un incontro decisivo della mia vita. Nacque tra noi una speciale amicizia e la mia incondizionata ammirazione nei suoi confronti: è stato il primo autore siciliano che ha affrontato nelle sue opere il problema della mafia. All’epoca, in una estesa zona grigia, tutti erano eccessivamente tolleranti verso ciò che stava avvenendo, cioè l’offensiva delle cosche nella vita civile e la loro penetrazione nel ceto politico. Negavano questo “cancro”, questa criminalità endemica della nostra terra che veniva sempre descritta come l’isola della luce, dei colori, degli odori... E invece Sciascia introduce la mafia pre-droga nei suoi testi, cercando di capirne la filosofia”. […] nel suo romanzo Il bambino nascosto, diventato anche film, lei racconta la camorra... “A Palermo, come a Napoli, l’arruolamento nella criminalità organizzata è ancora una piaga sociale. Ragazzini di 9-10 anni vengono coinvolti nella delinquenza che appare come unica prospettiva, altrimenti sei un nulla: nuddu mischiato col nuddu. Spesso sono i pentiti a raccontare tale condizione psicologica, che non riguarda solo il Sud d’Italia: ormai una mafia dissimulata ha interessi anche al Nord e ovunque. Occorre averne consapevolezza e, in certi casi, molto coraggio per vincerla” […] Scrittore, regista di cinema, teatro, televisione, opera... Non sarà troppo? “Me lo chiedo anch’io e una volta me lo chiese pure Nanni Moretti! Ma questa scissione tra la letteratura e il cinema non l’ho mai curata, anzi direi che semmai l’ho alimentata allargandola poi al teatro e alla lirica. Da giovane, questa mia natura da poligrafo era vista con sospetto, oggi direi che è accettata. Poter passare da un set cinematografico alle prove in un teatro d’opera lo considero un privilegio: c’è in me un ritmo che è un flusso sanguigno, l’urgenza di fare si moltiplica”» (a Emilia Costantini) • «Esponente significativo della generazione di registi affermatisi negli anni Novanta il cui profilo creativo si è espresso tanto nel cinema quanto nel teatro e nella letteratura. La riflessione intellettuale, la tensione civile, la predilezione per le atmosfere ambigue, metafisiche da un lato e dai risvolti noir e psicanalitici, dall’altro, hanno caratterizzato il suo lavoro cinematografico. Abile costruttore di climi rarefatti, ma solidamente inscritti nell’intrigo narrativo e nella suspense psicologica, con i suoi film è riuscito a esprimere in uno stile elegante e colto, interrogativi esistenziali, politici, filosofici. Molto di ciò gli deriva da una formazione sia letteraria sia cinematografica in cui ha maturato e messo a frutto la lezione di alcuni maestri incontrati agli inizi della sua carriera» (Bruno Roberti) • «Come si passa dalla letteratura al cinema, e viceversa? “Non so. Scrivo da sempre, mi sveglio presto al mattino per scrivere, perché conduco molte vite... Racconto in un modo in cui non potrei con il cinema e il teatro, linguaggi diversi, che amo altrettanto; ma la letteratura ha una responsabilità unica, quella di raccontare il pensiero, i tratti che non possiamo ricucire, e questo mi serve, e mi piace”» (a Eleonora Barbieri) • Nel 2023 ha pubblicato il libro Il piacere di essere un altro (edito da La nave di Teseo) in cui racconta anche della sua famiglia: «“Nel pudore di raccontarmi ho sempre cercato di tenere fuori le sofferenze della vita. Farne la lingua muta della mia reticenza. E ora so che dovrei tentare di parlarti del dolore che mi provoca una persona che mi è vicina, una sorella che vive nella bipolarità e nella depressione. E non è facile perché non si vuole scadere nel patetico, perché il privato è quell’area dove pochi sono ammessi. Credo che mi faccia bene e faccia bene sapere cosa passa una famiglia di fronte a certe forme diciamo di fragilità mentale, il contagio che subisce, il dramma di certe situazioni, la pena infinita. Per lungo tempo ho ritenuto che fosse una stonatura parlarne. Sapendo, oltretutto, che una delle ragioni per cui sono rimasto a lungo a Palermo è stata quella di essere vicino alla mia famiglia. E tutto quello che ho fatto nella scrittura come nel cinema era anche per schermare il dolore […] So di essere entrato in una stagione diversa della vita. È da un po’ che avvertivo questa urgenza. Il mio primo filtro è stato il libro. Ho cominciato a leggere prestissimo. E so che attraverso quel gesto del leggere sublimavo il mondo. E ora sento che di quella vita vissuta indirettamente, che mi è stata a lungo congeniale, c’è molto meno. Sono approdato a una leggerezza che è come una patria nuova, con nuovi desideri e nuove conquiste […] In fondo il mio ultimo film, La stranezza, dedicato a Luigi Pirandello, dà conto di questa maniera più leggera di guardare le cose” […] Sei andato via da Palermo agli inizi del Duemila. Perché? “Forse per non essere travolto o contagiato da quel dolore familiare così acuto da essere a volte lancinante. Ho lasciato Palermo insieme a mia moglie Lia e a mia figlia Giulia” Una fuga? “No, ma la necessaria distanza da un luogo certamente straordinario ma anche difficile”» (a Gnoli).