15 gennaio 2024
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Biografia di Andrea Riccardi
Andrea Riccardi, nato a Roma il 16 gennaio 1950 (74 anni). Storico. Politico. Attivista. Fondatore della Comunità di Sant’Egidio, movimento ecclesiale oggi presente in oltre 70 Paesi • «Da sempre vicino alla Chiesa che conta, oggi vicino a papa Bergoglio» (Wanda Marra, Fatto 17/12/2023) • «Barba corta e brizzolata, occhialetti con la montatura d’argento, portamento elegante: le sembianze tipiche degli intellettuali liberal-chic» (Lucio Brunelli, Foglio 30/11/1999) • «Ottime entrature nei palazzi che contano, nelle stanze di chi comanda, nelle sagrestie più accreditate» (Stefano Zurlo, Giornale 30/12/2012) • «I fan lo considerano “profeta” e “santo”» (Giancarlo Perna, Giornale 5/11/2012) • Voce autorevole nel mondo diplomatico internazionale. Ha contribuito al raggiungimento della pace in molti Paesi, tra cui Mozambico, Guatemala, Guinea e Costa d’Avorio • Cinque lauree honoris causa • Per via del suo impegno sociale e politico ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui la Légion d’honneur (2002), il Premio Balzan per la pace e la fratellanza tra i popoli (2004) e il Premio Carlo Magno (2009) • «Parallelamente al lavoro con la Comunità, Riccardi ha portato avanti una carriera accademica come docente ordinario di Storia contemporanea nelle università di Bari, La Sapienza di Roma e Roma Tre, dove è professore emerito» (Treccani) • Specializzato in Storia della Chiesa, autore di numerose pubblicazioni tradotte in varie lingue • Biografo di Giovanni Paolo II, di cui era amico personale • Ha conosciuto George W. Bush, Angela Merkel e Fidel Castro • Il suo ultimo libro è sul comodino del presidente Mattarella • Editorialista di Famiglia Cristiana e del Corriere della Sera • Mario Monti lo volle nel suo governo come Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione (2011-2013). Lui, prima di accettare, chiese il permesso direttamente a monsignor Georg Gänswein • Già vicepresidente vicario di Scelta Civica (per un paio di mesi nel 2013, insieme a Ilaria Capua e Carlo Calenda) • Periodicamente si fa il suo nome per le cariche di sindaco di Roma, di presidente della regione Lazio e di presidente della Repubblica. Poi non se ne fa mai niente • Anni fa il suo amico Walter Veltroni gli propose di candidarsi con il Pd. Andrea, carezzandosi la barbetta da apostolo, replicò: «Sono abbastanza vecchio per decidere di non cominciare nuove avventure».
Titoli di testa «È vero che fra i prozii di Riccardi figura anche un monaco beatificato da Pio XII nel 1954: tale Placido Riccardi, religioso benedettino fra le cui virtù si ricorda l’eroica e cristiana pazienza con cui sopportò l’abate suo superiore, che lo spedì in esilio nella dimenticata abbazia di Farfa, causa problemi avuti con un novizio eccessivamente mistico e visionario. Ma il piccolo Andrea, il giorno della beatificazione, aveva appena quattro anni e di quella cerimonia ricorda solo l’acre odore dell’incenso. Di fatto la religione e la Chiesa non lo interessarono granché nella stagione dell’adolescenza» (Brunelli).
Vita Primo ricordo privato: «Le tonsille tolte senza anestesia». Primo ricordo pubblico: «Papa Pio XII. Mia nonna mi raccontava di lui, della tempesta che aveva attraversato. Morì che avevo otto anni, e parve la fine di un mondo» • La sua era una famiglia religiosa? «Mio padre Alberto era un laico, liberale. Frequentava il Mondo di Pannunzio». Cosa faceva? «Direttore di banca. Sono romano, ma lo seguii a Rimini e Forlì, dove presi l’accento romagnolo. Papà era stato partigiano in Albania, finì in un lager vicino a Colonia. Suo fratello Tommaso era fascista. La madre lo mandò nel campo nazista a riprendere l’altro figlio». Ci riuscì? «No. Per convincerlo lo portò al ristorante, seguito dal piantone tedesco. Mio padre fu irremovibile: aveva giurato fedeltà al re, non al Duce. Il fratello lo riportò al lager. Ma quando il cancello si chiuse ebbe un sussulto, si tolse il cappotto e glielo lasciò. Papà lo rivendette per comprare il cibo. “Il cappotto di Tommaso mi ha fatto passare l’inverno” diceva». Si riconciliarono? «Sì. Ma ogni volta riprendevano a litigare sul re e sul Duce» (Aldo Cazzullo, CdS 3/2/2018) • Infanzia in Romagna, dunque. Il trasloco all’età di sei anni: «Dovetti interrompere la prima elementare, e non volevo più tornare sui banchi. Dicevo che ormai sapevo leggere e che mi sarei fatto una cultura da solo» • Altro ricordo: Rachele Mussolini che fa la spesa in un negozio di alimentari a Forlì. «La padrona la lasciava passare davanti a tutti: “Donna Rachele, comandi”. Poi, quando usciva: “Oh, non pensate male, sono comunista anch’io; ma con tutto quello che le ha fatto il marito…”» • «Mia madre, quando avevo quattordici anni e come tutti gli adolescenti provai a farmi crescere la barba, tentò di impedirmelo. Io la porto da allora» • «Sulla riviera romagnola Andrea scopre la politica, incontra il mondo comunista. A quattordici anni la prima infatuazione, per la sinistra socialista. Lo attrae il Psiup, nato da una costola del Psi in opposizione alla politica di dialogo con la Dc. Ma ha personalità troppo forte per finire intruppato nella vecchia cultura marxista. Pur sentendosi “figlio del ‘68”, inizia a porsi domande che non trovano spazio nei collettivi politici. “Pensavo: bisogna cambiare l’uomo. Se cambiamo l’uomo, potremo fare la rivoluzione”. A quindici anni aveva acquistato la sua prima Bibbia. E aveva iniziato a leggere i Vangeli, “pur mantenendo un certo distacco dalla Chiesa”. Più si immerge nella lettura delle Sacre Scritture, più diventa critico verso le ideologie. E più sente il fascino della figura di Cristo. Entra in contatto con la galassia dei nuovi gruppi cattolici di Gioventù studentesca, il cui centro è a Milano e l’ispiratore don Giussani» (Brunelli) • Quando tornaste a Roma? «Nel 1966. Venivo da città leggere, piccole, carine, da girare in bicicletta; mi ritrovai in una megalopoli che aveva angoli da Terzo Mondo. Con i miei amici andammo nel quartiere di Ponte Marconi, al cinodromo, dove gli uomini vivevano davvero come cani. La prima scuola della pace nacque tra le baracche. Leggevamo il Vangelo, e insegnavamo a leggere ai bambini che non erano mai andati a scuola» (Cazzullo) • Andrea «conosce e frequenta giessini che saranno famosi, come Rocco Buttiglione, ma infine segue una propria strada. “La parrocchia non mi piaceva, nemmeno l’Azione cattolica, sentivo però l’esigenza di fare qualcosa nel mio liceo”. Il suo liceo è il Virgilio, uno dei più aristocratici di Roma. Nel febbraio 1968 riunisce per la prima volta alcuni compagni nel vicino oratorio della Chiesa Nuova in corso Vittorio. È l’atto ufficiale di nascita della comunità di Sant’Egidio. Anche se ancora non si chiama così. Il tema di quella prima riunione è la solitudine: “Come uscire dalla solitudine e aiutare gli altri”. Ragazzi della media e alta borghesia romana. Ben vestiti, ben educati. Esistenzialmente insoddisfatti. Sessantottini sui generis. Niente molotov, niente scontri con la polizia. Il Vangelo al posto del Capitale. Dio e i poveri» (Brunelli) • Sono gli anni della contestazione. Andrea coglie subito quel fermento: «C’era un clima d’attesa, tutto doveva cambiare come per magia». «Comunione e liberazione si collocò contro il ‘68. Noi invece vi nascemmo dentro» • Ormai ha diciotto anni. Gira per la capitale in Vespa. Ma invece di andare ai festini della Roma bene, esplora le baraccopoli sorte in periferia. Ponte Marconi. Le case popolari di Primavalle. La Roma di Pasolini. «“La Roma di periferia, da cui venivano le donne di servizio che lavoravano nei nostri quartieri”, confiderà più tardi Riccardi con apprezzabile sincerità» (Brunelli). Andrea e i suoi amici, tutti figli di papà, nel pomeriggio sciamano verso i quartieri malfamati a dare ripetizioni gratuite ai figli di immigrati meridionali. «Il parroco di Primavalle alza le mani al cielo, fra il divertito e lo sconsolato: “Nella mia parrocchia li ho tutti: gli extraparlamentari di destra, gli extraparlamentari di sinistra e gli extraparlamentari di Chiesa”» (Brunelli) • «Abbiamo già accennato alle precoci tendenze autodidatte di Riccardi. Alla fine degli anni Sessanta, si iscrive a Giurisprudenza; una scelta fatta senza convinzione, forse per non dare un’altra delusione al padre, già perplesso di fronte alla vistosa svolta religiosa del figlio. Ma fra un esame di Diritto e l’altro, Andrea si dedica alla materia che, ora, lo interessa di più: la teologia. Recupera e legge i testi dei grandi teologi francesi del rinnovamento conciliare, Congar e Chenu, si appassiona anche alla teologia protestante in compagnia di Bonhoeffer e Barth. “Dovevo guidare delle riunioni, parlare agli altri, pensare a un futuro”, spiega come fosse la cosa più ovvia del mondo, “mi sentivo come chi ha una responsabilità e, per farvi fronte, è tenuto a essere autodidatta”. Intellettuale ma anche organizzatore» (Brunelli) • La Comunità si allarga. Servono spazi. Nel 1973 Riccardi e i suoi prendono possesso di un ex convento abbandonato dalle Carmelitane in piazza Sant’Egidio, nel cuore di Trastevere. «Cercavamo una sede. C’era questo convento vuoto, di proprietà dello Stato. Lo occupammo. Incontrammo un giovane prete, un basettone: era don Vincenzo Paglia. Allora Trastevere era un quartiere popolare: le case non costavano 12 mila euro al metro quadro, i malavitosi che entravano e uscivano da Regina Coeli. Il primo giorno ci rubarono i motorini». E voi? «Per riaverli dovemmo ricorrere per la prima volta alla diplomazia. Trovammo il ragazzo giusto: “Me lo potevate di’ che erano vostri!”» (Cazzullo). «L’edificio fu ceduto per quattro soldi dal ministero dell’Interno, che ne aveva la proprietà e si accollò la ristrutturazione. Dietro tanta munificenza c’era lo zampino del cardinale Poletti, vicario di Roma e primo protettore di Riccardi, porta d’ingresso della comunità in Vaticano» (Giancarlo Perna, Giornale 5/11/2012). «I due primi grandi promotori della comunità sono stati due ecclesiastici di non poco conto. Il primo fu il cardinale Carlo Maria Martini. Li conobbe per caso nei primi anni 70, quando era solo un eminente studioso dei testi sacri all’Istituto Biblicum di Roma. Aveva il problema intellettuale di come coniugare preghiera e impegno sociale, spiritualità e azione. Non amava infatti né le forme estreme, politiche, della teologia della liberazione, né le evasioni intimistiche o addirittura miracolistiche dei gruppi carismatici. In quei ragazzi che meditavano la Bibbia e assistevano i poveri vide la soluzione pratica del suo problema. Andrea e i suoi amici gli diedero da assistere (nei ritagli di tempo) un vecchio solo e malandato che abitava nel rione di Trastevere. Per Martini, studioso gesuita abituato a frequentare solo asettiche biblioteche, fu una esperienza indimenticabile. L’altro grande padrino ecclesiastico fu un vescovo in apparenza agli antipodi di Martini: si chiamava Karol Wojtyla e nel 1978 divenne vescovo di Roma. Due mesi dopo l’elezione pontificia, Giovanni Paolo II visitò la sua prima parrocchia romana, alla Garbatella, dove i discepoli di Riccardi gestivano un asilo nido per famiglie bisognose. Quando la macchina del Papa passò lì davanti, i santegidini lo acclamarono e lui incuriosito volle fermarsi e vedere» (Brunelli). «Il Papa si fece fotografare seduto tra i banchi, con il mantello rosso, circondato dai piccoli. Poi venne a trovarci a Trastevere. E ci invitò in Vaticano. E a Castelgandolfo». Com’era in privato? «Pieno di passione. Passserà alla storia come l’ultimo Papa uscito vincitore. Si alleò con Reagan, liberò i polacchi quasi come un Mosè che aveva liberato gli ebrei. Il primo viaggio lo fece ad Assisi. Un fedele gli gridò: viva la Chiesa del silenzio! E lui, prontissimo: “Non c’è più la Chiesa del silenzio. Ora è qui; e parla”. Un gigante. Era convinto che l’Italia avesse una missione nel mondo». Quale? «Preservare la sede di Pietro. Conciliare la cristianità e l’umanesimo» (Cazzullo). «Con simili sponsor il piccolo nucleo di Sant’Egidio si diffonde anche all’estero: fino a vantare, oggi, 50 mila aderenti sparsi in 70 nazioni. S’allarga anche l’area degli interventi: l’impegno diplomatico […] ma anche il dialogo interreligioso. Il Papa affida loro in custodia lo “spirito di Assisi”. Iniziano a organizzare ogni anno, a partire dal 1987, incontri di dialogo fra esponenti di tutte le religioni. Lo scontro di civiltà è lo spettro da evitare» (Brunelli) • Voi faceste la pace in Mozambico. «Là vidi per la prima volta le persone morire di fame, i bambini con le pance gonfie, le donne assediare lo spaccio e contendersi un’arancia o una mela gettata per tenerle a bada; e le assicuro che è una cosa orrenda. Andammo per aiutare i poveri; capimmo che è la guerra a creare i poveri. Con Matteo Zuppi […] ci dicemmo che l’unico modo era costruire la pace». Il Mozambico era lacerato dalla guerra civile: il governo filosovietico contro la guerriglia armata dal Sud Africa. «Anche i bianchi erano poveri: non avevo mai visto in Africa un mercato ambulante con un banco tenuto da una donna bianca […] Trovammo la figura chiave nel vescovo Gonçalves, che era cugino di Dhlakama, il capo dei ribelli. Portammo il vescovo a Roma, da Berlinguer». Perché Berlinguer? «Il Pci nel mondo marxista contava. Lui si indignò: “Davvero siete perseguitati? Davvero non vi lasciano suonare le campane?”. Così mandò a Maputo suo fratello Giovanni. Poi portammo il capo del governo, Samora Machel, da Wojtyla. All’inizio non voleva saperne: era convinto di doversi inginocchiare davanti a lui. Alla fine Wojtyla disse: “Papa non crede che è un comunista. Papa di comunisti si intende. Questo è un nazionalista”. La pace si poteva fare» (Cazzullo). Per Riccardi è la consacrazione definitiva. «[…] un autorevole comitato la candida (per ora senza successo) al premio Nobel per la pace, mentre un coro di lodi accompagna ogni suo passo. “Wonderful people”, commenta l’ex segretario di Stato americano Magdalene Albright che sente la necessità, a Roma, di rendere omaggio all’“Onu di Trastevere”. Anche l’ex segretario di Stato Colin Powell lo scorso mese riempì di complimenti Riccardi, in occasione dell’ennesimo premio conferitogli, stavolta dalla Georgetown University […] Hanno sempre goduto di buona stampa ma non è più raro, da un po’ di tempo, leggere sui giornali anche critiche a Riccardi e ai suoi amici. L’Espresso, qualche anno fa, ha pubblicato una velenosa inchiesta sulla comunità, dipinta quasi come una setta. Cristianisti e “teo-con” nostrani vedono nell’ecumenismo dei santegidini un cedimento inammissibile nei confronti dell’islam. Per Libero e la Padania, dire santegidini o amici degli islamici invasori fa tutt’uno. “Dialoghisti” a oltranza e troppo ingenui anche per il loro vecchio amico Francesco Cossiga. All’estero dicono che Sant’Egidio sia una specie di braccio diplomatico del Vaticano per le questioni scottanti (il che forse spiega il fatto che il mondo nordeuropeo non ha dato il Nobel alla comunità, troppo cattolica). I francesi, guardando con la loro famosa lente “laica”, non si spiegano come facciano a essere così cattolici e così presenti sul terreno internazionale. Eppure Riccardi è molto tradotto in francese. Forse a Sant’Egidio non dispiacerebbe essere il braccio diplomatico della Santa Sede, ma nessuno dai Sacri palazzi glielo ha chiesto. In Vaticano non tutti li amano. Soprattutto gli uomini della segreteria di Stato hanno mal sopportato, a volte, il protagonismo della “diplomazia parallela”» (Brunelli) • Scrive il Giornale: «Pauperismo e marketing. Terzomondismo, ma senza perdere la consuetudine con il potere […] Sant’Egidio, una comunità che mette le proprie energie al servizio dei poveri. È un po’ la loro chiave di violino: il cristianesimo viene a liberare gli ultimi. E i poveri, per loro, sono soprattutto quelli che non ce la fanno, che non arrivano alla fine del mese, che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. Intendiamoci: non c’è niente di più cristiano, ma l’enfasi è tutta in quella direzione perché Nostro Signore è venuto a salvare tutti, chi sta bene e chi se la passa male. Insomma, la realtà viene letta con il cannocchiale della tradizione cattolica democratica. Un menù perfetto per la sinistra, anche se la comunità sa essere trasversale […] come una lobby superaddestrata, Sant’Egidio batte cassa con tutti i governi. Ma il cuore sta a sinistra, nella cornice di quel pauperismo che privilegia chi si dibatte in fondo alla scala sociale. Dove il povero non è il povero di spirito ma quello cui manca tutto. A Sant’Egidio invece non manca nulla: finanziamenti, consenso, sostegno dei grandi giornali. Se Cl e l’Opus Dei sono sempre state nel mirino dei quotidiani progressisti, con accuse talvolta al limite della fantascienza, Sant’Egidio e i suoi capitani sono sempre stati portati in palmo di mano […] Si sanno vendere bene, benissimo, gli apostoli della pace universale» (Zurlo) • Ancora il Giornale: «Monti ha pensato di cooptarlo per dare una nota di spiritualità al suo ragionieristico governo. Riccardi avrebbe desiderato il ministero degli Esteri - chi migliore di me, si è detto, che ho negoziato nei punti caldi del globo? - ma essendo troppo di chiesa per mandarlo in giro in nome dello stato laico gli è stato confezionato su misura un ministero inventato di sana pianta» (Perna) • Appena insediato, lo si vide sorseggiare un caffè alla buvette del Senato. Tutti era colpiti dallo stile marmoreo di Mario Monti, così diverso da quello del suo predecessore. Lui: «Siamo passati dal carnevale alla quaresima».
Amori Non le manca un figlio? «No. Ho avuto una vita molto piena, non ho rimpianti». Ha avuto i suoi amori? «Chi non li ha avuti?» (Cazzullo).
Politica Cosa pensa di Giorgia Meloni? «Ha vinto le elezioni; la giudicheremo dai fatti. Il passato ci insegna che l’Italia si governa dal centro. Allargando e coinvolgendo. E puntando sulla priorità assoluta: la scuola. Non funziona più» (Cazzullo).
Curiosità Ha due fratelli: Luca e Fabio • Non porta simboli, croci o catenine al collo. «Mi sembra di non averne bisogno» (Barbara Palombelli) • Già compagno di scuola del rabbino Di Segni • Perché su Monti è scesa la damnatio memoriae? «Perché si dimenticano le condizioni drammatiche in cui si insediò. La gente ci fermava per strada, ci incoraggiava. Ma gli italiani dopo un anno si stufano di qualsiasi governo» (Cazzullo) • Dal 2015 è presidente della Società Dante Alighieri, riconfermato nel 2019 e nel 2023 • Secondo Francesco Verderami nel 2022 l’idea di candidarlo alla presidenza della Repubblica rientrò perché «avrebbe scatenato i franchi tiratori di 5 Stelle e Pd, con il risultato di affondare immediatamente candidato e coalizione» • Secondo Luigi Bisignani sarebbe stato lui, allo scoppio della guerra in Ucraina, a suggerire a papa Francesco la visita sine notitia all’ambasciatore russo in Vaticano (il segretario di Stato cardinale Parolin ne fu informato solo quando la Fiat 500 papale aveva già lasciato il cortile di San Damaso, la diplomazia pontificia non gradì) • Francesco ha compiuto dieci anni di pontificato. Qual è il bilancio? «Ha trovato una situazione difficilissima, una depressione generale. Il formidabile inizio fece pensare che i mali della Chiesa fossero guariti d’incanto. Non poteva essere così». Non teme che il Papa, schierandosi con i migranti, abbia un po’ perso la sintonia con l’opinione pubblica, che ha paura? «La gente non ha veramente paura dei migranti. Ha paura della solitudine, dell’insicurezza, di un mondo globale che la sorvola, che toglie valore al lavoro» (Cazzullo) • Dice che alle mense di Sant’Egidio oggi vanno sempre meno stranieri e sempre più italani • «La Chiesa europea è in decadenza, le cattedrali sono vuote, sembra che il prete sia un mestiere che gli europei non vogliono più fare. Eppure…» Eppure? «…eppure questo è in potenza il tempo della Chiesa. La Chiesa è cultura e sentimento: dona la fede alle persone e ha una visione globale. È la sola a dare speranze per questa vita e per la vita futura» (Cazzullo) • Come immagina l’Aldilà? «Finalmente una grande pace. Il Signore ci ha seguiti per tutta la vita; non ci abbandonerà proprio nel momento supremo» (ibid.).
Titoli di coda Sua mamma morì il 5 aprile 2023 all’età di 97 anni. Fino alla fine ha provato a convincere il figlio a tagliarsi la barba.