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 2024  gennaio 24 Mercoledì calendario

Biografia di Toni Servillo (Marco Antonio Servillo)

Toni Servillo (Marco Antonio Servillo), nato ad Afragola (Napoli) il 25 gennaio 1959 (65 anni). Attore. Regista teatrale. Tra i numerosi premi ricevuti: in ambito cinematografico, quattro David di Donatello al migliore attore protagonista (2005, Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino; 2008, La ragazza del lago di Andrea Molaioli; 2009, Il divo di Sorrentino; 2014, La grande bellezza di Sorrentino); in ambito teatrale, tre premi Ubu, di cui due al miglior spettacolo (2002, Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo; 2007, Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni) e uno alla miglior regia (2002, Sabato, domenica e lunedì). Sul New York Times del 25 novembre 2020 è stato incluso dai critici cinematografici Manohla Dargis e A.O. Scott nella classifica dei venticinque migliori attori del XXI secolo (unico italiano), venendo collocato al settimo posto. «A chi gli chiede di paragonare il proprio lavoro nel cinema con quello teatrale, risponde: “È impossibile una graduatoria. È un alternare fra due modi, due tecniche, due arti che consentono di ricavare vantaggi, di crescere, maturare, gioire. Diciamo che cerco di portare dal cinema al teatro i miei spettatori con lo stesso rigore, con la stessa coerenza”» (Antonio Monda) • Secondo di quattro fratelli (il terzo, nato nel 1960, è Giuseppe «Peppe» Servillo, celebre cantante, attore e compositore, membro fondatore degli Avion Travel). «Il suo primo nome, Marco Antonio, evoca eroi scespiriani. Quando nacque pesava 5 chili e mezzo, così la madre chiamò in aiuto Pina, una signora veneta, per la quale il bambinone fu subito e per sempre “Toni”» (Manuela Grassi). Per via del padre, all’epoca direttore della Cementir, «trascorse i primi quattro anni di vita ad Arquata Scrivia, nella provincia di Alessandria, per poi crescere prevalentemente a Caserta» (Eva Cabras). «Io sono cresciuto in mezzo agli altri, in una festa magari anche tragica. Sono nato ad Afragola, a cinque chilometri da Napoli, in un centro a vocazione rurale. Correvo scalzo. Nei viottoli, in mezzo al fango, c’erano gli animali. Io non ho la noia degli altri. L’uomo mi piace» (a Paolo Bricco). «Non viene da una famiglia di artisti, eppure lei e suo fratello Peppe con gli Avion Travel siete artisti. Come mai? “Mio padre, i miei zii, l’intera mia famiglia, lo spettacolo, lo adorava. Da Afragola, dove sono nato, se ne andavano a piedi per cinque chilometri pur di vedere cosa c’era in scena a Napoli. Abbiamo cominciato ad amare lo spettacolo dallo stupore che scorgevamo nei loro occhi”» (Simonetta Robiony). Nella sua prima formazione ebbe però un ruolo anche la televisione. «Eravamo tutti seduti a vederla. Io ero il più piccolo e stavo in prima fila. Guardavo la commedia e vedevo la famigliona rappresentata da Eduardo con il padre, la madre, i figli, la zia sciocca, lo zio scapolo, il cugino… Mi giravo a guardare la famiglia che avevo alle spalle. C’erano gli stessi personaggi, gli stessi caratteri descritti sullo schermo. Così capii che guardando il teatro si vedeva la vita» (ad Antonio D’Orrico). Frequentò dai salesiani «“la scuola tra le medie e il ginnasio. Più che le ore in aula furono importanti quelle in oratorio. Dalle 14 alle 19, ogni santo giorno. Praticamente vivevamo in un campo di calcio”. […] Il ruolo di Toni Servillo in maglietta e pantaloncini? “Terzino. Terzino destro. Facevamo i campionati. I salesiani avevano una forte impronta votata alla giustizia sociale e accoglievano i ragazzi più problematici. Nello spogliatoio incontravi il sottoproletario, quello con i seri guai in famiglia e chi veniva considerato un delinquente fatto e finito. Noi piccoli borghesi, nel contrasto, crescevamo. Ci nutrivamo. Capivamo che cosa volesse dire solidarietà anche attraverso il litigio. E poi conoscevamo il cinema. I sacerdoti, forse in continuità con le Edizioni Paoline, erano patiti del cineforum. I film di Bergman, Rossellini e Tarkovskij, li ho visti tutti nei cinema parrocchiali”. In aula, invece? “In aula era più dura. L’ambiente era semi-collegiale. Esistevano regole precise e un po’ opprimenti. Veniva voglia di romperle. Non credo sia un caso che molti nappisti e non pochi brigatisti avessero frequentato scuole a orientamento religioso”. […] A un certo punto dai salesiani andò via anche lei. “Non per motivazioni politiche – quelli che tentavano di diventare artisti erano incasellati come inguaribili anarchici che non prendevano mai posizione – ma perché, molto semplicemente, volevo conoscere la vita. […] Avevo un’insoddisfazione di fondo. Una mancanza. Napoli e il teatro seppero colmarla”» (Malcom Pagani). «Ai miei anni dai salesiani devo la dimensione della socialità appresa nel condividere un pallone. Al liceo statale devo l’incontro con un professore di filosofia che mi ha fatto capire come la vita possa essere orientata dai pensieri. […] Studiavo Psicologia anche con discreto profitto alla Sapienza di Roma, ma avevo già cominciato a recitare. Al secondo anno, mi presentai a un esame piuttosto stanco. Il professore, che era un sacerdote, se ne accorse e me ne chiese il motivo. Mi vergognavo a dire che avevo fatto le prove di uno spettacolo fino a tardi, ma alla fine confessai: “Faccio l’attore”. E lui: “Allora smetta con questi studi, perché le ingombrano lo spirito”. Era un buon consiglio: se avessi conosciuto a fondo i meccanismi psicologici, ne sarei diventato un portatore didascalico in scena» (a Stefania Rossini). Abbandonò allora l’università, dedicandosi interamente al teatro. «Mi sono formato nei gruppi di ricerca che nascevano spontaneamente a Napoli negli anni Settanta, come Falso Movimento di Mario Martone. Avevano limiti e pregi della forte ideologia: c’era il cemento di passioni forti, ci spostavamo tra musica e arti visive in una pluralità di interessi che ha dato nuove sollecitazioni al nostro mestiere» (a Valerio Cappelli). «Qualche anno dopo con Mario Martone abbiamo avuto l’idea di creare una compagnia indipendente, Teatri Uniti, e poi di fare un cinema altrettanto libero» (a Francesco D’Errico). Infatti «esordisce al cinema con Morte di un matematico napoletano (1992), inaugurando il sodalizio cinematografico con M. Martone, che lo dirigerà nei successivi Rasoi (1993) e I vesuviani (1997), mettendo in scena il primo di quei personaggi intrisi di cultura e umori partenopei che caratterizzano le sue […] interpretazioni per il grande schermo» (Gianni Canova). «Mi ricordo che un giorno alla fine degli anni Novanta mi arrivò il copione di un giovane regista, Paolo Sorrentino, che voleva girare il suo primo film, intitolato L’uomo in più. Avevo 40 anni, avevo già debuttato al cinema alcuni anni prima con Mario Martone in Morte di un matematico napoletano, pellicola nata con lo stesso spirito indipendente con cui tempo prima avevamo creato la compagnia Teatri Uniti. In quel periodo preparavo Il misantropo di Molière e mi vedevo ormai solo dentro la carriera teatrale. Così, considerando il cinema con lo snobismo tipico dei teatranti, per un po’ ho fatto penare Paolo prima di accettare il mio primo ruolo da protagonista». «È Franco Califano in L’uomo in più (2001) di P. Sorrentino, Amerigo, un esponente della famiglia camorrista dei Cammarano, in Luna rossa (2001) di A. Capuano e […] Titta Di Girolamo, malinconico killer in esilio in Svizzera, nell’acclamato Le conseguenze dell’amore (2004) di P. Sorrentino, per il quale vince David e Nastro d’argento come migliore attore. Cupo e arguto commissario di polizia in La ragazza del lago (2007) di A. Molaioli, gigioneggia nel ruolo del crooner malinconico e appiccicoso in Lascia perdere, Johnny! (2007) di F. Bentivoglio, interpreta uno spietato professionista dello smaltimento illegale dei rifiuti tossici in Gomorra (2008) di M. Garrone e ne Il divo (2008) di P. Sorrentino, lungi dal tentativo di pedissequa imitazione, affina voce, movenze e aspetto fisico per reinterpretare la maschera cinica e sibillina di Giulio Andreotti» (Canova). Il 2008 segnò la sua prima consacrazione internazionale, con la partecipazione al Festival di Cannes in quanto interprete di Gomorra e di Il divo, pellicole entrambe premiate, rispettivamente col Gran premio speciale della giuria e col Premio della giuria. «È probabile che questo doppio riconoscimento abbia finito per penalizzare Toni Servillo: tre premi all’Italia sarebbero sembrati eccessivi» (Paolo Mereghetti). Indefesso, nel frattempo, il suo impegno sui palcoscenici di tutta Italia e di gran parte del mondo, in veste tanto di interprete quanto di regista. «La storia di Servillo ha alcuni passaggi fondamentali in L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, Il misantropo e Il Tartufo di Molière, la Trilogia della villeggiatura di Goldoni. E, naturalmente, Sabato, domenica e lunedì di Eduardo. “Eduardo, per me, è il massimo connubio fra popolo e sofisticatezza”, dice con un lampo negli occhi» (Bricco). Dal gennaio 2023 è in scena con Tre modi per non morire. Baudelaire, Dante, i Greci di Giuseppe Montesano, «un esempio di teatro semplice, profondo, intenso e radicale nel senso etimologico della parola. Perché torna indietro nel tempo, a tre esperienze del passato in cui si sono raggiunti i vertici della creazione poetica e la vita è stata reinventata: Baudelaire, Dante, i Greci» (Egle Santolini). Sempre più frequenti negli ultimi anni le sue partecipazioni cinematografiche (Noi credevamo e Qui rido io di Mario Martone, È stato il figlio di Daniele Ciprì, Bella addormentata e Esterno notte di Marco Bellocchio, Viva la libertà, Le confessioni e La stranezza di Roberto Andò, La grande bellezza, Loro e È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese, Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores, Adagio di Stefano Sollima), con cui ha ulteriormente arricchito la sua galleria di personaggi celebri, interpretando, tra gli altri, Giuseppe Mazzini (Noi credevamo), Eduardo Scarpetta (Qui rido io), papa Paolo VI (Esterno notte), Luigi Pirandello (La stranezza) e Silvio Berlusconi (Loro). La sua interpretazione più acclamata a livello internazionale è stata però quella del giornalista protagonista di La grande bellezza, pellicola che nel 2014 conquistò il premio Oscar per il miglior film straniero. In quell’occasione l’attore «salì sul palco insieme a Paolo Sorrentino e Nicola Giuliano: […] è merito del talento del regista se il personaggio di Jep Gambardella è indimenticabile, ma si deve certamente a Toni se ha trovato sullo schermo la propria compiutezza, grazie al modo in cui è riuscito a immortalare ancora una volta sfumature diverse di un carattere contraddistinto questa volta anche dal disincanto e da un anelito di grazia e bellezza» (Monda). Prossimamente Servillo tornerà sul grande schermo in Caracas di Marco D’Amore, tratto dal romanzo Napoli ferrovia di Ermanno Rea • «Servillo ha firmato sette regie liriche, avendo alle spalle Beaumarchais, Da Ponte, Hofmannsthal. […] Gli impegni a teatro e cinema l’hanno portato altrove. Ma non rinuncia alle sue incursioni musicali» (Cappelli). «Ha una grande passione per la musica. Suo fratello Peppe fa parte degli Avion Travel: loro due e il Solis String Quartet hanno realizzato lo spettacolo La parola canta, dedicato ai classici e ai contemporanei della cultura scenica napoletana» (Bricco) • Tra i vari riconoscimenti ricevuti, la laurea magistrale honoris causa in Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo assegnatagli dall’Università di Bologna nel 2015. «Me la sono meritata sul campo da adulto, io che da ragazzo ho lasciato l’università senza laurearmi» • Due figli, Eduardo e Tommaso, dal matrimonio (1990) con l’insegnante e attrice Manuela Lamanna. «È una star, ma allo stesso tempo una persona molto riservata, che si è protetta con attenzione dalla curiosità dei media. Perché? […] “Siamo in un’epoca corrotta, molti para-attori improvvisati legati al fenomeno del reality credono che mettere in scena la propria vita, le proprie miserie significhi recitare. E invece è esattamente il contrario. Le proprie miserie vanno nascoste e poi utilizzate regalandole ai personaggi: è questo il trucco dei grandi interpreti. Come diceva Petrolini, il vero trucco non è quello che hai sulla faccia, ma quello che ti fai sull’anima”» (Fulvia Caprara) • Vive tuttora a Caserta. «Mi sono formato negli anni ’60, quando tra le cose che contestavamo c’era anche che solo Roma, in quanto capitale, poteva esser destinata a produrre cultura. E in questa idea continuo a credere, anche come testimonianza personale. Non è facile, ma voglio vivere nella mia terra, farmi vedere mentre passeggio, crescere i miei figli insieme a loro. Non dobbiamo continuare a fuggire: possiamo pensare di restare. Anche se siamo artisti: l’artista è un uomo come gli altri» • «Napoli è una città con un’infinità di problemi e contraddizioni, che però alimentano una creatività che non si ferma mai. E una tradizione enorme nelle arti sceniche, ma anche in letteratura, musica e poesia. Per un artista là dove il conflitto è acuto e la vita pulsa c’è più nutrimento rispetto a dove tutto scorre noiosamente» (ad Arianna Finos) • «Simpatizzo per il Napoli» • «Ho sempre votato a sinistra» • «“Fumavo 50 sigarette al giorno: ho smesso […] grazie a un raffreddore”. […] Da sempre dorme male: “Poco e male. Mi sveglio, mi rigiro, leggo. […] Ma non è che dorma male per chissà quale tormento. Dormo male perché mi piace vivere e a letto mi sembra di perdere tempo”» (Pagani) • «Uomo cordiale e spiritoso, colto ed elegante come pochi, lettore e spettatore appassionato» (Maurizio Porro) • «Dotato di straordinarie capacità mimetiche, ma immune dalle tentazioni istrioniche di altri interpreti del panorama nazionale, capace di lavorare per sottrazione nella creazione di personaggi sempre complessi e sfaccettati, è uno dei volti più maturi, intensi e affascinanti del cinema italiano» (Canova). «Ha cominciato nelle cantine dell’avanguardia e […] è arrivato a riempire i teatri di tutta Italia grazie soltanto al passaparola. Perché, qualsiasi cosa Servillo porti in scena, un’opera lirica o Eduardo, un Molière o uno sconosciuto, il pubblico è sicuro di partecipare a una festa» (Curzio Maltese). «Senza tema di rivali, Toni Servillo è oggi l’attore totale del nostro spettacolo» (Rossini). «Toni è una persona nevrotica. Come Woody Allen. È il contrario di Gassman, che faceva ridere al cinema e piangere a teatro. Servillo fa ridere a teatro e piangere al cinema» (Angelo Curti). «I film della coppia Servillo-Sorrentino […] sono un regalo al cinema italiano, un modo diverso di entrare nelle pieghe della società, di far denuncia fuori dal realismo, approfondendo psicologia, antropologia e contesto con un piglio visivo di massima originalità» (Porro). «Servillo è un intellettuale prestato alla recitazione» (Cappelli). «Il segreto di Toni? È molto semplice e insieme molto profondo come attore e anche come regista: sembra facile, ma sono invece due qualità rare» (Mariangela Melato) • «Io mi ritengo un interprete nella misura in cui cerco di risollecitare i valori emotivi e intellettuali di un testo per restituirli vivi in quel magnifico triangolo che si crea ogni volta tra l’attore, il testo e il pubblico. […] La mia compagnia condivide con me la consapevolezza che il teatro è rimasto il solo luogo, insieme alla poesia, che ha al centro la parola come necessità. […] Ritengo le repliche più importanti delle prove. Più si replica, più il teatro diventa un percorso di conoscenza» • «Servillo è un uomo del Novecento. Ma, rispetto alle derive della cultura italiana di sinistra degli anni Settanta in cui si è formata la sua generazione di uomini e di donne di teatro, lui ha compiuto un passaggio evolutivo: “Insomma, il messaggio… La pesantezza ideologica ha tolto la felicità dei sensi a teatro e la felicità dell’interpretazione”» (Bricco). «Da uomo di teatro non disdegno affatto le risate del pubblico. Molière era un formidabile comico eppure Il Tartufo è una grande tragedia. Non penso che ci sia nulla di innovativo nel censurare la comicità nei classici. Una commedia di Eduardo o di Goldoni, un’opera di Rossini e secondo me anche i drammi di Čechov devono farti ridere e piangere» • «Il cinema per me è un lavoro di fiancheggiamento alle sfide di autori importanti» (ad Anna Bandettini) • «Da anni Roberto Andò e io accarezziamo l’idea di portare sullo schermo, e chissà se riusciremo, Il cavaliere e la morte di Leonardo Sciascia. Lì il protagonista è un affascinantissimo commissario che si chiama Vice (nome suggestivo), malato di tumore, il quale a un certo punto abbandona quasi l’indagine. È un libro di complessissima architettura, pieno di digressioni. È come una malia» • «Firmerà mai un film come regista? “Non ci penso neanche”. Perché? “Non è il mio mestiere. A teatro amo dirigere, al cinema amo chi mi dirige”» (Claudia Catalli) • «La cultura resta il nostro miglior biglietto da visita all’estero. Un credito illimitato, pari solo all’incredulità degli stranieri per la nostra incapacità di valorizzare tale patrimonio» (a Giuseppina Manin) • «L’arte è nutrimento, ne abbiamo bisogno come il pane. Oggi troppo spesso la cultura è solo informazione o passatempo. Ma non bisogna cedere al pessimismo. E scavare sotto la cenere, perché la brace è ancora accesa» • «Forse poco romanticamente, non credo all’eroismo della vocazione teatrale. Una vocazione, puoi leggerla soltanto quando arriva il momento dei bilanci. Da una parte metti sul tavolo tutto quello che hai fatto nella vita per dedicarti totalmente a una passione divorante. Dall’altra, l’elenco delle ipotesi di esistenza a cui hai rinunciato, in termini pubblici e soprattutto privati. Il risultato è quello che sei. E non sono previste seconde mani».