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 2024  gennaio 31 Mercoledì calendario

Biografia di Matilde Bernabei

Matilde Bernabei, nata a Roma il 1° febbraio 1954 (70 anni). Produttrice televisiva. Cofondatrice e presidente di Lux Vide.
Vita «È la regina della fiction. Con suo padre Ettore ha fondato la Lux più di 30 anni fa. Oggi è un’azienda di sei piani al quartiere Prati, con una sessantina di dipendenti, sceneggiatori e centinaia di professionisti che gravitano intorno ai cinque teatri di posa di Formello. La sua vita è un quartetto d’archi: lei, suo padre Ettore, suo marito Giovanni Minoli e sua figlia Giulia Minoli. Famiglia di potere, di battaglie vinte e perse e di ideali attorno alla tv. Matilde si ostina a girare per Roma su uno scooter scassato anche quando piove. Nel ’68 aveva 14 anni. Come l’ha vissuto? “Ero una ragazzina che si riteneva bruttina, animata da un forte spirito sociale che si incarnava in cose operative. Mi piaceva occuparmi degli altri. Il quartiere Fleming, dove abitavamo, accanto ai palazzi borghesi aveva una baraccopoli. Io organizzavo il doposcuola per i ragazzi più poveri. Feci nascere un Centro sociale che si occupava anche degli anziani”. Un movimento cattolico? “Sì, nell’ispirazione. Mi definisco un’aspirante cristiana. Ma non ho mai votato Dc. E non per reazione a mio padre. Mi sembrava poco al passo con i tempi. Sbagliavo. Mio padre si ricorda sempre come il potente direttore generale della Rai, dal 1960 al ’74. Però ha fatto tante altre cose, come lavorare alla realizzazione del Piano Casa insieme con Fanfani e La Pira, cioè rendere operativo il diritto dei meno fortunati ad avere una casa. Un progetto politico e sociale innovativo”. Suo padre, uomo di polso. Lei avrà avuto un’educazione severa e molto cattolica. “Il babbo non ci ha mai chiesto di credere in Dio. Poi certo, fino a 18 anni non si poteva uscire di sera. Mia madre soffriva di depressione, il babbo dalla Rai tornava a casa alle dieci di sera. Otto figli, io sono la terza, la prima femmina. Lo aiutavo, se c’era da comprare una lavatrice veniva da me, insomma, un po’ una vice mamma”. […] Lei è una Lady di ferro che ha bruciato le tappe? “Lady di ferro, no. Papà mi diceva: se credi nella Provvidenza non avrai mai paura. Sì, rispondevo io, ma a volte la Provvidenza va aiutata. Avevo l’anima dell’imprenditrice” […] A 26 anni in Montedison. “Ero la più giovane donna dirigente in un’industria italiana. Mario Schimberni che aveva il compito di chiudere quel colosso indebitato, lo rilanciò. A 33 anni ero amministratore delegato al Messaggero, appena entrai ci fu uno sciopero. È spesso così con un nuovo management, non lo sapevo, ho vissuto la sindrome dell’impostore. Ai sindacati aggressivi apparivo tosta ma non lo ero. Giovannini, presidente degli editori, disse: vediamo cosa sa fare col suo bel culetto. Oggi lo lincerebbero. A 19 anni lavorai all’agenzia che si occupava della cooperazione per i paesi in via di sviluppo. Erano nuove imprese in Africa, formavamo il personale locale per renderlo autonomo. Volevo migliorare il mondo. È un po’ la filosofia della Lux Vide”» (a Valerio Cappelli) • «Tutto inizia perché suo padre Ettore, che era stato uno storico direttore generale della Rai, poi mancato nel 2016, sognava di trasformare in fiction l’intera Bibbia, ma non trovava un produttore. Era un progetto ambizioso. Troppo. “All’ennesimo rifiuto, ci siamo detti: facciamo noi una società”, ricorda ora Matilde, “lui era in pensione e oggi devo ringraziare quel signore che, a 70 anni, decise di farsi imprenditore con la figlia”. Dopo il Progetto Bibbia (undici miniserie vendute in 144 Paesi, un Emmy Award vinto), sono arrivate altre 126 produzioni di successo. Oggi la Lux Vide ha quattro teatri di posa, 50 dipendenti e arriva a impiegare sui set cinquemila persone all’anno. In principio, Matilde si era laureata in Filosofia, voleva fare la giornalista, a 18 anni scriveva per Panorama e studiava. Racconta: “Poi, fra i 20 e i 25, ho lavorato in una Ong che aiutava gli africani a creare piccole imprese, a 33 ero amministratore delegato del Messaggero. Ripensandoci, mi accorgo che tutti i lavori li ho fatti con lo spirito di migliorare un po’ il mondo. Anche le serie della Lux hanno sempre protagonisti capaci di portare una speranza”. Che bambina è stata? “Una bimba con molto senso del dovere, perché mia madre aveva problemi di salute, io ero la prima femmina dopo due maschi, eravamo in otto, e sentivo una grande responsabilità verso i miei fratelli e mio padre. Già a 10 anni, se il babbo doveva comprare la lavatrice, si faceva accompagnare da me. E da ragazzina tenevo il doposcuola nelle baraccopoli del quartiere Fleming, a Roma”. C’entrava l’educazione cattolica, essendo suo padre notoriamente democristiano, descritto come difensore della fede, celebre per aver messo i mutandoni alle gemelle Kessler? “Il babbo ci ha lasciati liberi sia rispetto alla fede che alla politica. Per esempio, io non ho mai votato Dc. Negli anni, tanti si sono rimangiati le cose dette su di lui, che ormai è invece ricordato per avere creato, fra il ’61 e il ’74, una Rai leader in Europa, ricca a livello culturale, che aveva dai teleromanzi, a Tv Sette, a Studio Uno e tantissimi show su cui ancora vive Techetechetè”. Le serie della Lux parlano spesso di santi ed eroi positivi. In questo, quanto conta l’ispirazione cristiana? “Aiuta a dare un senso al lavoro che faccio. Mi considero un’aspirante cristiana perché l’errore è sempre in agguato, ma sono anche laica. Nei Medici, c’erano Papi terribili e li abbiamo raccontati e, ora, lavoriamo a una serie per Sky, Diavoli, che definisco trasgressiva, perché fa capire come la finanza, ormai, sia sopra ogni cosa: sopra la politica, sopra l’informazione. I nuovi committenti richiedono progetti più scapigliati, devi fare prodotti che funzionino per domani e dopodomani […] Il prodotto di cui va più fiera? “Sono stata io a volere fiction con storie contemporanee ed eroi del quotidiano, come Don Matteo con Terence Hill, che si sono rivelate leader negli ascolti e attrattive anche per i giovani. Mi piace portare protagonisti impegnati a fare del bene sul loro territorio, ognuno nel suo piccolo”. Quale intuizione si riconosce? “Sono stata precursore dell’internazionalità e della lunga serialità, solo ora consacrate da piattaforme come Netflix e Amazon, mentre molti produttori di cinema adesso vogliono fare le serie, che quando ho iniziato io non faceva nessuno. Ai tempi, convincere un grande attore a girare per la tv era un’impresa” […] Il cognome l’ha aiutata o ostacolata? “All’inizio, ostacolata. Quando presentammo il Progetto Bibbia al Dg Rai di allora, lui rispose ‘ma vi rendete conto del putiferio se facessi una serie con i Bernabei? Andate all’estero, poi si vedrà’. Fu così che i primi finanziamenti li avemmo dagli americani e non dalla Rai. Iniziò un’avventura imprenditoriale che è sempre stata da Davide contro Golia. Con Luca abbiamo sempre combattuto con grandi produzioni americane che ai broadcaster presentano già la puntata pilota girata. Noi abbiamo puntato sulla squadra, che ha un’età media di 30 anni, molte sono donne. Con i successi avuti abbiamo incrementato significativamente il fatturato. Ma da quando faccio l’imprenditrice, sono tornate le notti insonni”. Quando erano cominciate? “Quando, a 33 anni, fui nominata da Montedison amministratore delegato del Messaggero. Il sindacato fece subito uno sciopero, tanto per dare una prova di forza, io non dormii per notti e notti, mi chiedevo “ce la farò o no?”. Spesso Giovanni (Minoli, ndr) mi ha aiutato a vedere in me la forza di resistere che in certi momenti non vedevo. Fra i 20 e i 30 avevo vissuto tutto come un gioco, lì iniziò il senso di paura e di incertezza su di me, che mi è tornato davanti alla responsabilità di produzioni, come i Medici, che possono costare 25 milioni di euro. Però io, di carattere, lancio sempre il cuore oltre l’ostacolo e poi, piena di paura, me lo vado a riprendere”. Il cuore l’aveva lanciato in avanti anche a vent’anni, quando si era sposata, continuando a studiare e lavorare. “Frequentavamo, in un garage sull’Ostiense, le messe di don Franzoni, che era di sinistra e fu sospeso a divinis. Scoprimmo un patrimonio di interessi e di valori comuni e nacque la scintilla. Poi, l’amore è l’amore e funziona nel riconoscere uno nell’altro il compagno della vita”» (a Candida Morvillo) • Nel 2022 ha venduto il 70% di Lux Vide a Fremantle • Nel 2019 è stata nominata Cavaliere del lavoro.
Amori Sposata da 48 anni con Giovanni Minoli. Vivono in due appartamenti separati con porte comunicanti. «Le case sono sempre state due o lo diventano a un certo punto? Giovanni: “Prima, era una. Quando nostra figlia Giulia si è sposata, io sono andato a vivere per un po’ da solo in via di Monserrato, poi, abbiamo diviso quest’appartamento e sono tornato. Abbiamo scoperto che stare in due case vicine è il modo sicuro per mantenere un rapporto”. Perché se n’era andato? “Avevo bisogno di vivere senza dire alcuna bugia. Mi è capitato di dirne e, dentro di me, mi sono costate carissime. Dopo, quando ho conosciuto la libertà della verità, non l’ho più lasciata. Io amo Matilde, ma tutti gli altri ammennicoli sulla coppia non so cosa sono”. […] E ora il vostro è un matrimonio senza ipocrisia, senza bugie? “Io so che mi sono messo con Matilde perché sono stato rapito dalla sua anima e avevo bisogno della sua anima per vivere. Non sono mai riuscito a togliermela di dosso neanche quando ci ho provato. Era il senso e la linfa della mia vita. Non mi sembra pochissimo. Poi, che cosa c’è in mezzo lo sa Dio. Io sono passionale, tutto quello che ho inventato l’ho fatto sotto emozione, lavorando con persone con cui c’erano stima e amicizia ma, piano piano, amicizia e amore possono diventare una cosa sola, un motore della vita con tutte le sue varianti, casini, complicazioni e, in questa dinamica, mi è capitato di innamorarmi di altre donne”. Anche a lei, Matilde è successo di innamorarsi di qualcun altro? Giovanni: “Ti ha chiesto se ti è capitato non solo di essere amata, ma d’innamorarti. Rispondi, perché la giri sempre che sei stata tanto corteggiata”. Matilde: “Io partirei dagli inizi”. Giovanni: “Ottimo: eravamo sposati da quattro giorni, sei andata a un convegno, sei tornata a casa con un francese. Ma dico! Mi fa: ti dispiace? E io: ma no”. Matilde: “Ma io col francese non ho fatto niente”. Giovanni: “Che c’entra?”. Scusate, chi è il francese? Matilde: “Ma nessuno. Le spiego dall’inizio: incontro Giovanni sapendo già da suo fratello che, della loro grande famiglia, lui era il più intelligente, creativo e straordinario e che non si sarebbe mai sposato e non avrebbe mai avuto figli. L’ho visto ed era anche molto figo, speciale – vogliamo usare un’espressione desueta? – ho visto il principe azzurro. Ho pensato: potrà essere solo un’avventura, pazienza. Ho poi verificato la sua intelligenza, Giovanni capisce la realtà e perciò prevede il futuro, non ci stanchiamo mai di parlare”. Giovanni: “Noi non ci siamo mai stufati di parlare anche quando le cose andavano malissimo”. Matilde: “Comunque, lui aveva 29 anni e io venti, era tanta differenza”. Giovanni: “Ti ha chiesto se sei stata innamorata di altri, non hai risposto”. Vuole partire dall’inizio. Matilde, lei credeva nel matrimonio? “Io sì. Avevo 14 anni nel 1968 e questo lega noi due nell’essere aspiranti cristiani di sinistra. La nostra prima uscita l’abbiamo fatta a messa da Don Franzoni, in un garage sull’Ostiense, era un abate sospeso a divinis. Avevamo entrambi l’idea che un pizzico volevamo cambiare il mondo. Da sposati, la nostra casa è diventata un centro di pensiero, musica, parole, progettazione del futuro. Io lavoravo con una Ong, facevo l’università e cucinavo per tutti”. Se lui non si voleva sposare, come siete finiti all’altare in pochi mesi? Matilde: “Mio padre dice: so che vedi Giovanni Minoli, che è molto più grande di te, quindi non starete a parlare di Napoleone; o lo sposi o non lo vedi più. Io pensai: faremo solo finta di non vederci”. Giovanni: “Invece, le ho detto: sposiamoci. Conoscendo suo padre, sapevo che il ‘vediamoci di nascosto’ sarebbe stato impossibile”. Guarda la moglie: “Io avevo già sentito l’importanza di te nella mia vita, ma non ti avrei sposato mai. Forse adesso, sì, adesso, ti sposerei. Una dichiarazione così buttala via”. Matilde: “Tu sei quello delle uscite inattese. Quel giorno, fu una gioia immensa”. Giovanni. “Io non ero felice di sposarmi però ero felice che fosse con te”. Matilde: “Proprio in virtù del suo punto di partenza, del suo “non mi sposerò mai”, un giorno, sulla spiaggia di Punta Ala, gli ho detto: tu mi hai amato più di quanto ti ho amato io” […] Matilde: “Vivevi l’impossibilità di lasciarti andare all’amore, eppure l’hai fatto. Perciò ti ho detto così, pur amandoti tantissimo. Tuttavia, mi è successo di innamorarmi di altri. Incredibilmente, ho avuto molti corteggiatori”. Giovanni: “‘Molti corteggiatori’ è vago. Dilla tutta”. Matilde: “Fra questi corteggiatori, qualcuno particolarmente straordinario, ma non ho mai smesso di amare Giovanni e quindi lo ho sempre riscelto”. Giovanni, bofonchia: è geloso? “Io sono arrivato a difendere Matilde da suo padre, perché era fuggita per una vacanza nei fiordi con un suo fidanzato. L’ho difesa perché l’ho capita. L’ho capita perché volevo essere capito anche io. E non volevo una libertà che lei non poteva avere. Io la libertà gliel’ho sempre riconosciuta, mentre lei a me meno”. Lei ha mai avuto paura che Matilde se ne andasse? “Sì e soffrivo. Ho avuto anche reazioni forti. Un rivale l’ho affrontato”. E lei Matilde, ha avuto paura? “Ricordo una sera che non tornava e ho pensato: non tornerà. Ero disperata”. Quando arrivava un altro o un’altra, ve lo raccontavate? Giovanni: “Mica tanto. Lo intuivamo. Poi, ci riscoprivamo sempre. Nostra figlia Giulia ha avuto un ruolo fondamentale: nei momenti di vera distanza, era una cucitrice di amore spaventosa”. Matilde: “Da quando lui è tornato e abbiamo diviso gli appartamenti, ridiamo moltissimo insieme, più di prima”» (a Candida Morvillo) • Una figlia, Giulia, che il 4 settembre 2010 ha sposato a Filicudi Salvo Nastasi, all’epoca capo di gabinetto del ministro per i Beni culturali Sandro Bondi • Tre nipoti, la prima della quali si chiama Matilde: «Mia figlia e mio genero Salvo mi hanno detto “ci piace il nome e ci piacerebbe che ti assomigliasse”».