La Stampa, 27 febbraio 2024
Sul ritorno di Giletti
Le uscite di Massimo Giletti prima dalla Rai e poi da La7, non sono mai state pacifiche. Dietro uno strascico di polemiche, ci sono state lacrime, rapporti umani spezzati, molto dolore e, nell’ultimo caso, persino un alone di mistero. Ora che il suo contratto con la tv di Urbano Cairo è scaduto, Giletti è potuto tornare in quella che considera casa, dopo trent’anni di lavoro, la Rai. Che però, come da tradizione, prima di riaccoglierlo, ha chiesto al figliol prodigo di pagare dazio, un periodo di purgatoriato con l’ideazione e la conduzione di un solo programma e a maggio si vedrà. Non una trasmissione qualunque, ma iconica, un «unicum» emozionale domani sera su Rai1 ma dalla durata di una finale di Sanremo, con la partecipazione di gran parte di coloro che hanno fatto la storia del piccolo schermo, dunque, d’Italia: La tv fa 70 con Pippo Baudo e Renzo Arbore come padri costituenti e il gotha dell’intrattenimento di ieri e di oggi. Ora è lo stesso giornalista a definirsi «in prova», una condizione che non lo offende, anzi gli permette di tenere aperte molte altre porte.Giletti via dalla Rai perché?«Fui gentilmente ma senza complimenti accompagnato all’uscita. E quando Cairo mi ha accolto gli fui molto grato. Ma lo strappo fu enorme. Piansi alla prima conferenza stampa de La7 perché sentivo quell’addio».Strappo uno e poi strappo due.«Non ne posso parlare, un dolore umano fortissimo. Con il presidente Cairo ho avuto un rapporto speciale. Mai avrei immaginato si potesse arrivare a quel punto, fuori da ogni logica televisiva e personale. Ho sempre saputo che i programmi non si chiudono quando vanno bene».Però il presidente Cairo ha più volte sostenuto il contrario, troppe perdite per andare avanti.«Ha detto la sua verità. Ma é la storia della tv che lo contraddice. Io ho preferito il silenzio e mi sono mosso per via giudiziaria. Un giorno Cairo mi spiegherà perché l’ad Marco Ghigliani, il 10 marzo, solo un mese prima che lui spegnesse il programma, mi avvisò per sms che il mio contratto sarebbe stato rinnovato per altri due anni. La verità verrà fuori e forse andrà a finire che lo dovrò pure ringraziare».In che senso?«Magari scopriremo che chiudendo il programma mi ha salvato la vita. Non dimentichiamo che sono costretto a vivere sotto scorta».Com’è la vita da scortato?«Le rimando la domanda: perché chi fa il giornalista d’inchiesta in Italia finisce sotto scorta?»Me lo dica lei.«Perché il potere non vuole che esistano diverse visioni di un solo fatto. Durante la guerra Russia-Ucraina, sono stato attaccato perché sono andato in Russia. In quel periodo esisteva solo il “ministero della verità” e le posizioni critiche non erano ammesse. Oggi in un mondo che ha sostituito il fuori onda all’onda, bisogna avere il coraggio di raccontare, anche a costo di disturbare il manovratore. Ma vorrei essere chiaro, io ho lavorato bene La7, mi sono preso anche delle belle soddisfazioni come battere Fabio Fazio su Rai1».A proposito di Fazio, lei ha detto di averlo invitato a La tv fa 70 e che lui neppure le ha risposto. Vero?«Certo. Ci sono rimasto male, lui ha dato tanto alla Rai, mi sarebbe piaciuto raccontarlo. Ma si vede che l’antica rivalità professionale ha pesato di più».Lei dei suoi nuovi e tanti progetti ha già parlato con la dirigenza Rai?«Ho un bellissimo rapporto sia con l’ad Roberto Sergio, sia con il dg Gianpaolo Rossi, mi sono stati vicini, molto. Ma valuterò anche fuori dalla Rai. Ho avuto proposte lusinghiere, in fondo sono sul mercato».Da Mediaset o da Discovery? Forse sul Nove dove troneggia Fazio non va bene. Potreste incrociarvi nei corridoi.«Al contrario, potremmo rafforzare una rete in crescita».Lei parla di tv con un piglio da manager, le piacerebbe ricoprire quel ruolo? Come vorrebbe la tv giusta per lei?«Ognuno faccia il suo. Quando Franca Ciampi invitò i telespettatori a non guardare la tv deficiente, si capì perfettamente cosa intendeva. La volgarità non sta nella battuta spinta bensì nell’ansia da audience che porta assenza di alternative. Al centro ci deve essere il prodotto competitivo. Ora assistiamo al controllo del prodotto».Si è reso conto che oggi in Rai si cercano appunto programmi e conduttori che piacciano agli attuali politici? Molti sono andati via proprio per questo. Come si troverà in TeleMeloni?«Ricordiamoci anche che, quando Meloni era all’opposizione, non le fu dato neppure un consigliere d’amministrazione come le spettava».Allora Meloni si sta vendicando?«Non credo che vendetta sia la parola giusta. Io mi auguro che abbia saputo e sappia scegliere adottando un criterio meritocratico senza guardare all’appartenenza politica. Io ho passato trent’anni in Rai e questi ribaltoni ci sono sempre stati. La tv di Bernabei era “politica” ma sapeva scegliere le persone. Meloni deve capire che se fa scelte giuste vince la battaglia in Rai e vince anche quella del Paese. Ripensiamo a quel che accadde a Berlusconi. Aveva contro un Santoro che settimanalmente faceva trasmissioni con ascolti record tutte contro di lui. Eppure Berlusconi vinceva».I suoi detrattori dicono che il ritorno in Rai sia frutto dell’amicizia con il vicepremier Salvini. È vero?«Se avessero pesato le amicizie, forse avrei avuto un contratto a settembre. Questa cattiveria cade nel vuoto nell’evidenza dei fatti. Io sono fuori ad aspettare, invece di essere già accomodato da mesi. Non ho amici politici in questo senso. Però chi mi ha difeso lo ricordo. E chi se ne é stato in silenzio lo ricordo allo stesso modo».Ha detto che non ama la tv ideologica, però lei fa una tv populista.«La interpreto nell’accezione positiva del termine. Lavorare dalla parte della gente. Io non sono un uomo di Palazzo. Sono un uomo libero». —