il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2024
Che Chiari di luna, Walter
Anticipiamo uno stralcio di “100% Walter”, la biografia di Chiari scritta da suo figlio Simone Annichiarico con Michele Sancisi, in libreria da oggi per Baldini+Castoldi.
Colleghi di mio padre ne ho conosciuti a bizzeffe e gli aneddoti si affollano nella memoria: io e il babbo e un viaggio in macchina con Adolfo Celi vestito da cardinale; io e il babbo in panne con la dune buggy in Sardegna negli anni 70, passa per caso Johnny Dorelli e ci carica su, mi lasciano a casa e il babbo lo rivedo una settimana dopo; le assurde partite di tennis con Andrea Barbato; Alighiero Noschese che trascorre tutto il pomeriggio a casa nostra per imitare il babbo, ma non ci riesce… Non potrò mai dimenticare quando mi portò a Fiumicino dove doveva incontrare “un agente segreto” e mi trovai davanti uno dei miei più grandi idoli: James Bond, alias Roger Moore! Non so che faccia avessi in quel momento, ma mio padre e Moore scoppiarono a ridere, indicandomi. Ridevo anch’io. Anche quella volta mi riaccompagnano a casa, poi James e il Walter se ne vanno chissà dove. Fine della storia. Breve ma intensa.
Ciò che mi univa a Ugo Tognazzi invece era il calcio. Ugo e il babbo erano amici da tempo immemorabile, poco più che ventenni girarono il primo film insieme, I cadetti di Guascogna, e rimasero legati per la vita… Quando il babbo morì, e io finalmente mi feci coraggio ed entrai nella sua stanza, trovai nella sua giacca un biglietto (di quelli col logo del residence che ti lasciano nella casella dei messaggi) che diceva “È MORTO UGO TOGNAZZI”. Non so perché lo conservasse nella sua giacca preferita; eppure era lì, nonostante Tognazzi fosse morto da più di un anno. Penso di essere andato con Ugo almeno quattro o cinque volte allo stadio, io, lui e il babbo, tutti e tre innamorati persi del Diavolo rossonero. Credo di ricordare anche una fugace apparizione al Villaggio Tognazzi di Torvajanica, dove Ugo organizzava improbabili tornei di tennis tra celebrità.
Altro amico del babbo di cui conservo un bel ricordo, oltre all’immenso Carlo Campanini, è il grande Gino Bramieri. Con Gino ho preso il taxi di ritorno dal funerale di mio padre. Era lì che piangeva stretto a Tony Renis mentre portavano via la bara, il carro funebre parte e rimaniamo sul marciapiede di piazza Wagner a guardarci sconsolati… Gino è l’ultima persona che ha visto mio padre prima che morisse. Mio padre era andato a vederlo a teatro la sera stessa del suo “trapasso” e avevano progettato lavori insieme per il futuro…
Il fatto che mio padre in quasi cinquant’anni di professione avesse toccato tutti i continenti lavorando con registi come Orson Welles, Michael Powell, Otto Preminger, amando donne bellissime, recitando in inglese a Broadway, lo metteva in una posizione singolare nel mondo della settima arte e quindi non era strano ritrovarsi a mangiare insieme a Gene Hackman. Il babbo aveva una casettina a Fregene, al villaggio dei pescatori, proprio sulla spiaggia. Accanto a noi c’era una famiglia molto simpatica, e una volta avevano ospite Hackman. Ora, come tutti sanno, lui è il grande attore de Il braccio violento della legge, ma a quei tempi per me era solo Lex Luthor, il nemico numero uno di Superman. Era molto simpatico e affabile, entro nelle sue simpatie: non lo dimenticherò mai dentro casa mia che segue con estrema attenzione mio padre mentre prepara una “lozione solare casalinga”. Il babbo era un convinto salutista, appena vede Gene spalmarsi una classica crema commerciale sul corpo lo ferma: “È robaccia chimica! Dove pensi che finisca tutta quella sbobba? Entra nei pori della pelle e finisce dritta in circolo”. Gene si fa convincere e passa alla mistura “Walter Chiari”. Potevi persino berla, tanto era naturale, e aveva un odore buonissimo: il babbo la usava da anni e la sponsorizzava a chiunque. Dopo una bella mattinata di sole, mare e pallavolo ci facciamo un’enorme mangiata. Verso le tre e mezzo scatta una leggera siesta… Vedo Hackman beato e pacifico che legge il giornale sull’amaca: “C’mon kid, claim aboard”, facendomi cenno che c’era posto anche per me. Un sogno. Passano pochi minuti e, complici una lieve brezza e soprattutto i vagoni di pesce che il buon Gene si era mangiato, crolliamo in un sonno. E… booooom! Non so come, l’amaca cede di schianto. Hackman cade di schiena; io – fortunatamente – casco aggrappato a lui, con la sua pancia che mi fa da airbag. Non posso riportare gli improperi che Hackman lanciò alle divinità: era a terra che si teneva la testa e la schiena, perché si era fatto davvero male. Finì al pronto soccorso…
Il ricordo più folle è legato ad Anthony Quinn, che il babbo conosceva fin dagli anni 50 (probabilmente dai tempi di La strada di Federico Fellini), una volta che eravamo a Rodi dove lui abitava in una villa con giardino, Walter volle fargli un’improvvisata. Avevo sei o sette anni e mi fece scavalcare il cancello della residenza per arrivare di soppiatto insieme a me davanti alla porta. Senonché il buon Anthony era dotato di regolari cani da guardia e personale di sorveglianza. Ce ne accorgemmo a metà del percorso tra il cancello e la villa, quando ci rimase appena il tempo per battere in ritirata prima di essere simpaticamente sbranati o uccisi a fucilate.