Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 26 Lunedì calendario

Chiesa. I tre dossier sui cardinali massoni: come Wojtyla

Il secondo Conclave del 1978, l’anno dei tre papi, si aprì il 14 ottobre e il 16 elesse il primo pontefice non italiano dopo quattro secoli, oggi santo: il polacco Karol Wojtyla, che prese il nome del suo predecessore, Giovanni Paolo II. Anche stavolta il cardinale Giovanni Benelli, arcivescovo di Firenze, era tra i favoriti. Ma il muro contro muro tutto italico tra il blocco centrista-progressista e quello conservatore, sempre unito sul nome di Giuseppe Siri, come era accaduto ad agosto, favorì la scelta dell’arcivescovo di Cracovia.
Già uomo di fiducia di Paolo VI, Benelli a metà degli anni Settanta aveva convinto papa Montini a fare un’inchiesta (Visita Apostolica) sulle infiltrazioni della massoneria nella Curia romana (“il fumo di Satana”). Due gli alti prelati accusati di essere massoni: il cardinale Sebastiano Baggio, capo della Congregazione per i vescovi, e monsignor Annibale Bugnini, l’uomo delle riforme liturgiche post-conciliari. Quest’ultimo, in realtà, venne già rimosso ed esiliato in Iran, come pronunzio, nel 1975.
Ma il potere di Baggio e del suo protettore francese, il Segretario di Stato Jean-Maria Villot, erano tali da imporre un’indagine vera e propria. Come abbiamo raccontato nelle prime due puntate (12 e 19 febbraio) dedicate a Massoneria Vaticana (Edizioni Fede & Cultura), Paolo VI affidò la Visita Apostolica all’arcivescovo canadese Édouard Joseph Gagnon, che in tre anni raccolse accuse e riscontri in tre volumi ancora oggi tenuti segreti dal Vaticano. Gagnon condivise le tappe della sua lunga e complessa inchiesta con don Mario Marini, già collaboratore di Benelli e poi cacciato da Villot, e don Charles Theodore Murr, sacerdote americano in servizio all’Ufficio Informazioni Vaticano e che ha scritto Massoneria Vaticana a distanza di oltre quattro decenni dai fatti. I tre abitavano insieme nella Residenza Libanese al Gianicolo, a Roma. Laddove viveva l’arcivescovo siriano melchita Hilarian Capucci, legato all’Olp, arrestato dagli israeliani e infine liberato a condizione che andasse via dal Medio Oriente. Una storia nella storia.
Torniamo alla Visita di Gagnon. Dopo aver incontrato invano Paolo VI, che ormai malato rinviò la questione al suo successore, e Giovanni Paolo I, che morì quattro giorni dopo aver parlato con l’arcivescovo canadese, il papa polacco vide Gagnon il 6 febbraio 1979. Un appuntamento fissato in ritardo e in un contesto che non dava tante speranze: Wojtyla aveva riconfermato Villot e Baggio e sul tesoro dello Ior regnava Paul Marcinkus, il monsignore dell’intreccio mafia, andreottismo e P2.
L’incontro infatti andò male e all’uscita queste furono le parole di Gagnon a Murr, che gli faceva da autista: “Lascio Roma, lascio il Vaticano. Che continuino a sguazzare nella loro corruzione se è questo che desiderano”. Secondo Roberto de Mattei, che firma la prefazione al libro di Murr, Gagnon “commise un errore che gli fu fatale. (…) Non riuscì a trattenere le lacrime, confermando così l’immagine che la Segreteria di Stato aveva dato di lui al Papa: un uomo in crisi, depresso, squilibrato”. Giovanni Paolo II insabbiò tutto e da allora quei tre volumi sui massoni in Vaticano sono rimasti segreti.
(3. fine)