La Stampa, 26 febbraio 2024
Mezzo secolo di Kiss
«Da un sogno nei club di New York agli stadi di tutto il mondo, il viaggio è stato incredibile!» ha assicurato su Instagram Paul Stanley, chitarrista e cantante dei Kiss, mentre commentava orgoglioso l’addio alle scene della band di Detroit dopo i due concerti finali tenutisi lo scorso dicembre al Madison Square Garden. Ace Frehley, il leggendario chitarrista solista, ha usato toni del tutto simili. «Abbiamo condiviso momenti indimenticabili e creato musica che resterà in eterno – ha scritto su Facebook -. Grazie ai fan, siete la ragione per cui abbiamo suonato ogni nota». È stato un commiato corale e senza rimpianti. Anche un altro membro storico, il batterista Peter Criss, ha pubblicato un commovente video su YouTube, ricordando gli anni trascorsi e ringraziando i fan per il loro costante sostegno. Stavolta non tornano. Forse. In qualche modo sono destinati a restare. Perché lo scioglimento dei Kiss è più di un addio, è la chiusura di un capitolo epico nella storia del rock. Come ogni grande storia, il loro lascito continuerà tuttavia a ispirare e a influenzare le generazioni future. Dai palchi agli stadi, dai vinili alle piattaforme digitali, i Kiss rimarranno un simbolo immortale del potere del rock’n’roll.Torniamo indietro di cinquant’anni e al primo album. Riavvolgiamo il nastro sino a trovare Paul Stanley e il bassista Gene Simmons che formano i Wicked Lester e cercano di affermarsi all’interno dell’industria musicale. Peccato che la Epic Records decida di mettere da parte l’album della band, ritenuto scarsamente a fuoco a livello commerciale. Ma Simmons e Stanley non demordono e decidono di reinventarsi. A cambiare volto, anche se non anima. Mano al trucco – ispirato al teatro giapponese Kabuki – e via a un’entità musicale unica, audace e teatrale dal look immediatamente riconoscibile. Uniscono le forze con Ace Frehley, chitarrista dal talento straordinario, e Peter Criss, batterista dall’anima blues. Da qui alle pirotecniche esibizioni teatral-musicali il passo è breve.Un nuovo contratto discografico non fatica ad arrivare. È la Casablanca Records ad aggiudicarsi i neonati Kiss che si riuniscono negli studi Bell Sound di New York scegliendo nove delle loro migliori composizioni e dedicandosi al compito di registrarle. In poche settimane si ritrovano tra le mani un album, il primo della loro lunga storia. Il debutto omonimo dei Kiss del 1974 è semplice e diretto. Nessuna ballata, nessun fronzolo, pochissimi riempitivi e tanto rock, con canzoni che andranno a costituire la spina dorsale del set live per decenni. Peter Criss ha l’onore di aprire il disco con una rullata di batteria utile a presentare Strutter di Paul Stanley. Le chitarre ritmiche di Paul e Ace sono intrecciate per creare il riff in una celebrazione del rock. Quando Frehley piazza il suo assolo di chitarra, risulta chiaro che si tratta di un vero talento, capace di improvvisazioni fluide e precise. «Quella è stata la prima canzone che abbia mai scritto per i Kiss – ricorda Paul -, composta in circa mezz’ora copiando una frase da Bitch dei Rolling Stones».Un’altra delle particolarità dei Kiss è il fatto di avere tre cantanti solisti: Gene, Peter e Paul che si alternano su Nothin’ to Lose, semplice rock’n’roll reso perfetto dallo scat rauco di Peter Criss. Paul Stanley si cimenta poi con Firehouse, brano eccellente in versione live che però su disco perde un po’ del suo mordente. Molto più robusta è Cold Gin di Frehley, cantata da Gene Simmons, un classico che perdurerà nella setlist anche dopo che Ace lascerà la band. Let Me Know, una delle prime canzoni scritte da Paul Stanley, chiude il lato A con un memorabile momento chitarristico. Deuce di Simmons è destinato invece a diventare uno dei brani più celebrati, immancabili in ogni tour. Dice Stanley: «Tutto cominciò con una vecchia progressione di accordi che Gene aveva scritto. Li abbiamo accelerati e ancora una volta gli abbiamo dato un incedere stile Rolling Stones».I Kiss dimostrano anche di saperci fare con gli strumentali, vedi la successiva Love Theme From Kiss, dotata di un ritmo cadenzato e diversi stacchi che fungono da momento più rilassato, prima che 100,000 Years esploda guidata da un malvagio giro di basso di Simmons e dal lamento vocale di Stanley. Un brano tra i più amati dal vivo, spesso esteso con un lungo rap di Paul e un assolo di batteria. Infine arriva Black Diamond, dotata di una dolce intro acustica, prima di trasformarsi completamente in scheggia elettrica.Stanley:«Black Diamond è stata una delle prime canzoni che Gene e io abbiamo scritto insieme, con riminiscenze del primo Neil Young e Stairway to Heaven». Alla sua uscita purtroppo l’album non sfonda e nemmeno Paul Stanley, col senno di poi, si reputa soddisfatto.«Penso che suoni piuttosto scadente. – ha detto – Non sono mai stato un fan del nostro primo album, dal punto di vista sonoro. Dal vivo eravamo esplosivi, dei fulmini. In quel disco però la nostra potenza non si manifestava a sufficienza».A seguito dell’insuccesso Neil Bogart, capo della Casablanca, spinge i Kiss di nuovo in studio affinché registrino un singolo di successo. La canzone prescelta è una cover di Kissin’ Time, brano del cantante Bobby Rydell pubblicato nel 1959. Il singolo (che sarà contenuto nelle successive ristampe del primo album) riesce a fare un timido ingresso nelle classifiche facendo sì che i fari dell’attenzione vengano puntati sul gruppo. Da lì sarà tutta un’escalation, un fenomeno a tutto campo che si spingerà, di apice in apice, fino ai giorni nostri, con punte di vero fanatismo da parte dei milioni di fan in tutto il mondo. È l’inizio di una cavalcata straordinaria. 50 anni dopo Gene Simmons dichiara: «L’amore dei fan è ciò che ha alimentato i Kiss per tutti questi anni. Abbiamo condiviso più di quanto avremmo mai immaginato, e siamo loro eternamente grati».Sipario chiuso quindi? In realtà è qualche anno che la band annuncia l’abbandono delle scene, sempre posticipato grazie a nuovi eventi. Anche in questo caso c’è chi rumoreggia circa un ulteriore appuntamento (o una serie di appuntamenti) allo Sphere di Las Vegas. Al momento però nulla è trapelato. Sembra che i Kiss abbiano intenzione di portare sui palchi di tutto il mondo il proprio show con quattro avatar computerizzati, in guisa dei musicisti in carne e ossa. Avatar o meno, è comunque la fine di un’epoca. Lasciamo quindi che il trucco si sciolga, alla musica e ai ricordi indelebili dei Kiss il compito di vivere per sempre nei cuori di coloro che li hanno amati.