Corriere della Sera, 26 febbraio 2024
Due Olindo ma una sola verità
Un uomo racconta davanti alla telecamera di uno psichiatra come e perché assieme a sua moglie ha ucciso tre donne e un bimbo. Risponde alle domande e dice anche di aver ferito un uomo lasciato a terra fra fumo e fiamme perché creduto morto. Eccolo. «La cosa che mi ha dato più fastidio... la Raffaella ha detto: adesso che andiamo in tribunale con i soldi che prendiamo alla faccia loro ci compriamo il furgone nuovo noi...Lì non ci abbiamo più visto. (...) Io avevo la spranga, mia moglie il coltello. (...) Abbiamo aspettato qualche occasione... (...) Una sera l’aspettavamo sul pianerottolo di sopra, lei è arrivata, ha chiuso la porta e siamo rimasti lì come due scemi (...) Un’altra sera è arrivata con sua mamma e qualcuno e ci è andata male. Quella sera lì ci è andata bene. Non sto qui a giustificarmi, quel che abbiamo fatto è lì da vedere (...) Non abbiamo fatto un piano preciso per andar su e ammazzarli, volevamo solo dargli una fila di botte (...) Quando siamo arrivati su sono entrato prima io, la prima che mi è venuta davanti è stata la Raffaella due colpi, è caduta per terra secca. Dietro c’era la madre, idem. Mia moglie non ho visto cosa ha fatto ma sicuramente è andata là e ha sgozzato il bambino». Il racconto si sposta alla signora dell’ultimo piano che scende con il marito a vedere cosa sta succedendo: «A quel punto (...) ci siamo ritrovati lì e abbiamo fatto la strage (...) non provo nessun rimorso di coscienza. Io la notte dormo tranquillamente.(...) Noi eravamo convinti di aver ucciso tutti e basta. Eravamo a posto. Dopo abbiamo saputo che ce n’era uno ferito gravemente, e io ho detto a mia moglie: speriamo che muoia anche questo. Invece non è morto e siamo qua». Lo stesso uomo di questo racconto, oggi ergastolano come sua moglie, ora dice che «le confessioni ci furono estorte, ritrattammo ma non ci ascoltarono. Provate a mettervi al nostro posto, due persone semplici (...) Soli e spaventati, chiusi in cella per due giorni, senza capire cosa stava succedendo. Poi arrivano quei due carabinieri a dirmi che era meglio confessare perché avremmo avuto un forte sconto di pena...». Ecco. Chi parla è Olindo Romano, l’uomo della strage di Erba, 11 dicembre 2006. Venerdì, a Brescia, si riapre il processo. In aula ci sarà l’Olindo di allora e quello di oggi. Ma la verità è una sola. Speriamo ci sia anche lei, in aula.