il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2024
La Lucarelli parla di una Ferragni poco chiara
Si sono sbagliati tutti: l’Antitrust, le aziende che collaboravano con lei, il Fatto, i follower, i giornalisti, la politica e pure il marito: Chiara Ferragni è sempre stata corretta e in buona fede e noi siamo tutti vittime o creatori di fake news. Alla fine confezioneremo tutti noi un video di scuse collettive in pigiama grigio destinato a lei, la piccola Chiara che ieri, dopo due mesi di silenzio stampa, ha deciso di rilasciare un’intervista fiume a Candida Morvillo e Giuseppe Guastella per il Corriere della Sera. In pratica ci sono voluti ben due giornalisti per intervistare Chiara Ferragni, uno di costume e uno di giudiziaria, manco fosse Julian Assange. Intervista che esce astutamente durante la settimana della moda, in modo che Chiara Ferragni, la grande neo-emarginata della moda milanese, possa avere il suo riscatto mediatico tra un party e una sfilata. Nel “publireputazionale” a doppia firma non manca nulla, dalla foto di Chiaretta da bambina per suscitare tenerezza alla frase jolly “sono imperfetta” nel titolo (ma non risulta che sia stata multata per perfezione ingannevole) a “la priorità è difendere la famiglia. Giusto tenere i problemi dentro le mura domestiche”. Che fa il pari con il “devo tutelare i figli” di Fedez ai microfoni di Pomeriggio 5. Dichiarazioni credibilissime, dopo che hanno fatto terapia di coppia davanti alle telecamere, dopo che hanno mostrato immagini delle telecamere a circuito chiuso nella camera dei figli. Insomma il solito scudo elastico dei figli e della privacy, perché ci sono difficoltà monetizzabili e altre no.
Comunque passiamo al cuore dell’intervista che dovrebbe convincerci della sua buona fede. Confesso che mi ricordavo una Chiara con un lessico da millennial basica tra “sono super contenta” e “Hey guys!”. E invece la sorprendo a dire “la mia ratio” e “avremmo scritto sul cartiglio”, a riprova della genuinità dell’intervista.
Il vero problema però è l’imbarazzante assenza di repliche puntuali ad affermazioni discutibili ed evasive. Ferragni dice che, “se fai beneficenza e ne parli, crei un effetto emulativo”. Bizzarro, perché nel provvedimento dell’Antitrust emerge come la sua società Fenice avesse fatto inserire nel contratto per il Pandoro l’obbligo da parte di Balocco di non comunicare in alcun modo all’esterno la notizia relativa alla donazione.
Insomma, voleva l’effetto virale, ma temeva che si sapesse a quanto ammontava la cifra donata e, soprattutto, che a donarla era Balocco e non lei. Ferragni aggiunge poi che nei suoi contratti commerciali “pareva una buona idea provare ad aggiungere una parte di beneficenza anche piccola rispetto al contratto” e che pure se a fare la donazione era Balocco (e Dolci Preziosi, ricordiamolo) e non lei che invece guadagnava 1 milione di euro, be’ però “l’idea di far inserire la donazione a Balocco era nostra”. Qui nessuno dei due giornalisti replica: “Bella idea in effetti far fare beneficenza a un’azienda, guadagnarci 1 milione di euro facendo però credere che tu e Balocco sosteniate un progetto benefico tramite la vendita del Pandoro. Oltre all’idea, non ci potevi mettere anche i soldi?”. Ancora Ferragni: “Nel cartiglio e nei miei post non abbiamo mai detto che una percentuale delle vendite sarebbe andata in beneficenza”. No, infatti si è sempre giocato sull’ambiguità della dicitura “Chiara Ferragni e Balocco sostengono”. Ma soprattutto Ferragni dimentica che il comunicato stampa del 2 novembre recitava: “Il pandoro Chiara Ferragni le cui vendite serviranno a finanziare un percorso di ricerca dell’ospedale”.
Gli intervistatori Morvillo e Guastella potevano replicare: “Se era tutto così chiaro, come mai il nostro giornale, quello a cui stai rilasciando l’intervista, per esempio il 2 novembre 2022 aveva promosso il tuo pandoro dicendo che ‘l’incasso dei Pandori servirà a finanziare il percorso di ricerca promosso dall’Ospedale’? E così quasi tutte le altre testate? Come mai non hai chiesto rettifica o fatto un comunicato? Oggi ci rilasci un’intervista lamentandoti delle fake news su di te, ma le fake news sulla donazione proporzionale alla vendita di pandori, uova e altro ti andavano bene, giusto?”. I due giornalisti le fanno poi notare la sproporzione tra il suo cachet (1 milione) e la donazione di Balocco. E lei replica che quei soldi sono andati alla sua società, mica a lei. Insomma, è nullatenente come il marito.
Ma ecco la parte più spassosa. Secondo Ferragni, se lei non si fosse beccata una multa per pubblicità ingannevole, non avremmo un ddl Beneficenza. La legge non è dunque il frutto di un lavoro di inchiesta, ma della sua violazione delle normative contro la pubblicità ingannevole (un ego così neanche Fedez nei suoi giorni migliori). Normative che – tocca ricordarlo a Chiara – esistevano già. Quindi che lei dica “Per fortuna ora sarà tutto molto più chiaro” fa sorridere. Era chiarissimo, altrimenti non sarebbe stata sanzionata. Ora ci sono semplicemente delle norme in più. Sorvolo sul resto dell’intervista, sulla Chiara che ha inseguito i suoi sogni da bambina, perché si rischia il diabete più che a ingozzarsi di pandori invenduti. E chiudo ponendo alcuni quesiti agli abili intervistatori: come mai nessuna domanda sulle uova Dolci Preziosi vendute per due anni con lo stesso schema? Come mai non le è stato chiesto, vista la buona fede, perché sono stati cancellati i post sulle uova benefiche dalla sua pagina proprio mentre sul Fatto usciva la parte dell’inchiesta relativa alle uova? Infine la domanda più semplice: come mai, se lo scopo finale era fare del bene tramite i soldi di Balocco o di Dolci Preziosi e non lucrare un ritorno d’immagine, Ferragni non ha ringraziato Balocco per la generosità, anziché fingere che quella generosità fosse anche la sua? Sarebbero bastate queste domandine per non sembrare Mara Venier che legge il comunicato di Roberto Sergio senza neppure l’alibi della diretta.
Nel frattempo Ferragni si rallegra per le visualizzazioni dell’intervista, come se i click rappresentassero il consenso: è la tragica prova del fatto che sa ingannare se stessa almeno quanto sapeva ingannare i consumatori.