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 2024  febbraio 25 Domenica calendario

Da Suez al Bosforo così i venti di guerra stanno colpendo l’economia dei mari


Tre guerre, due armate e una in pericolo permanente di scoppiare, con l’aggiunta di una lunga serie di dispute minori ma non meno insidiose, tengono in scacco i commerci marittimi nel pianeta. Il conflitto in Ucraina blocca la via del Mar Nero fra Europa e Asia centrale. Gli attacchi dei guerriglieri Houti dello Yemen, armati dall’Iran, strozzano l’ingresso del Mar Rosso e mandano in crisi il Canale di Suez. Le rivendicazioni di Pechino sul Mar Cinese Meridionale, che risalgono alla nine-dash linepresentata dalla Cina decenni fa e assertivamente riesumata, pongono un’ipoteca di tensione su un’ampia fascia dell’Oceano Pacifico occidentale su cui insistono Indonesia, Vietnam, Thailandia, Cambogia: tutti sistematicamente si rivolgono agli Stati Uniti per veder riconosciuta la libertà di navigazione.
Zone di guerra
Che la a fluidità nei commerci marittimi sia il fattore determinante per l’inflazione e lo sviluppo mondiale, è emerso chiaramente nel 2021, quando l’uscita ritardata dal Covid della Cina provocò strozzature nella catena mondiale dell’offerta tali da far impennare i prezzi in tutto il mondo. Solo successivamente si è inserita la crisi energetica causata dall’attacco all’Ucraina. L’intera economia globale si regge sull’interscambio marittimo, pari all’80% di tutti i commerci mondiali come ha confermato il Wto (World Trade Organization) e come prova quello che sta succedendo con i noli marittimi in occasione della crisi di Suez, provocata dall’Iran tramite gli Houti: spedire un container da 40 piedi (12,1 metri) da Shanghai a Genova costava in media nello scorso novembre 1400 dollari, stando agli analisti di Drewry: oggi il prezzo del “biglietto” è di 5042 dollari, dopo aver toccato i 6365 dollari il 25 gennaio. «Si è cronicizzato spiega Matteo Villa, analista dell’Ispi – su livelli altissimi». Livelli tali che le conseguenze in termini di prezzi finali dei prodotti trasportati, i più vari dai pezzi di ricambio elettronici al tessile, «saranno inevitabili insieme ai ritardi nelle consegne», conferma Francesco Isola, managing director dell’azienda di logistica RifLine. Non èvalso a fermare i guerriglieri il dispiegamento della flotta internazionale coordinata dalla portaerei Eisenhower, di cui fa parte anche l’Italia. Il Mar Rosso è diventato off-limits: portacontainer e petroliere scelgono l’antica circumnavigazione dell’Africa a costo di allungare i tempi dalla Cina al Mediterraneo da 35-40 a 55-60 giorni e di aumentare di almeno un milioneil costo del carburante.
Le assicurazioni
Spiega Giorgio Beretti, specialty director del broker Marine Howden: «Le quotazioni internazionali delle polizze per avventurarsi nel Mar Rosso sono lievitate di sei-sette volte. È il fattore che induce le compagnie a scegliere la strada più lunga ma più sicura: cosìi costi tornano sui livelli abituali».
I colli di bottiglia.
Il traffico nel Canale di Suez, il 22% del movimento mercantile mondiale è crollato da novembre, secondo gli ultimissimi calcoli dell’Ispi (aggiornati a venerdì scorso) del 59,3%, in ulteriore brusca impennata. In febbraio, si legge sul sito della Suez Authority, non si sono superate le 23 navi al giorno. Nel frattempo è andato in crisi il Canale di Panama per la concomitanza fra siccità ed El Niño: la portata si è così ridotta da impedire il passaggio alle navi maggiori. Secondo l’United Nations Conference on Trade and Development, il traffico è ridotto del 49% rispetto ai picchi di attività. Quanto al Bosforo, porta del Mar Nero, il porto di Odessa, stando a Port Watch (partnership fra l’Oxford University e il Fondo Monetario), “viaggia” al 14% delle potenzialità. La spedizione alternativa del grano via treno verso l’Europa continentale provoca le proteste degli agricoltori che si vedono insidiati.
Le conseguenze per l’Italia
Il molo proteso sul Mediterraneo è la prima vittima della crisi di Suez. Le portacontainer che fanno scalo nel Tirreno potrebbero, una volta circumnavigata l’Africa, non rientrare più nello stretto di Gibilterra bensì puntare sulla destinazione finale approdando a Rotterdam, Le Havre, Amburgo. «Sembra che il pericolo sia posticipato ma resta la paura che con il protrarsi della tensione la “deviazione” verso nord diventi realtà», azzarda il presidente del Porto di Civitavecchia, Pino Musolino. «I danni per l’economia italiana sarebbero esponenziali per la perdita della logistica a terra, il trasporto finale via camion o treno verso le destinazioni del nord», obietta Raffaele Sempieri, capo delle vendite dello spedizioniere Lesam. Rovinose le conseguenze sull’export. Per Coldiretti, l’ortofrutta è il settore più esposto con 500 milioni di esportazioni che attraversano Suez. Ma in tutto per Confagricoltura sono in ballo 4 miliardi di esportazioni. Dal consorzio trentino Melinda, che ha nell’India il maggior mercato, aggiungono che «non si può garantire la tenuta delle mele in un viaggio che si allunga di due settimane»