Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 25 Domenica calendario

Intervista a Caterina Murino

Caterina Murino è un’attrice irredentista che parla in modo chiaro e forte. Le sfumature bisogna andarsele a cercare, guadagnarsele sul campo. Nata in Sardegna, da 23 anni vive a Parigi, «a Montmartre che è un villaggio. Mi chiedo che carriera avrei fatto se fossi rimasta in Italia».
Dov’è cresciuta?
«Prima a Sant’Antioco, un isolotto che è una specie di micro perla in mezzo a un mare meraviglioso dove giocavo per strada a pallone con mio fratello e avevo sempre le ginocchia insanguinate».
Suo padre cosa faceva?
«Lavorava nella sede dell’Enel lì vicino. Aveva terre e frantoio, che dava l’olio. Alla mia seconda elementare ci siamo trasferiti a Cagliari. Ho avuto una bella infanzia, fino al passaggio ingrato alla prima adolescenza».
Perché
«Ero parecchio cicciotella, ballavo, mi chiamavano l’ippopotamino rosa col tutù. Quella fragilità lì, anche dopo che il corpo si era trasformato e gli uomini mi guardavano, ti resta dentro. Ho cominciato a lavorare presto».
Con i concorsi di bellezza.
«A 17 anni sono diventata Miss Sardegna, ma alle selezioni nazionali vinse Alessandra Meloni, altra ragazza sarda. Lo presi come un gioco. Tre anni dopo, nel ’97, ho ripartecipato e sono arrivata quinta. Ricordo Silvia Toffanin, Christiane Filangieri, Annalisa Minetti, Mara Carfagna che si comportò da amica vera. Più tardi mi aiutò ospitandomi a casa a Roma, ma non ci vedevamo mai perché lei iniziava a fare tv. Facevo la spola con Milano, dove ho vissuto per un anno da un’anziana vedova che mi dava in affitto una stanza. Era fissata che asciugassi i vetri della doccia ogni volta che la facevo, mangiavamo minestrone ogni sera. Cominciai a fare una marea di pubblicità, caffé, carte di credito...».
Primo amore?
«Un coetaneo alle medie, ci lasciavamo, ci ritrovavamo, ci inseguivamo. Il primo amore vero con un ragazzo che ora è felicemente sposato e vive a Bruxelles, lo invitai all’anteprima belga del mio 007».
«Casino Royale», il primo James Bond per Daniel Craig.
«Beh, i giornali anglosassoni lo avevano seppellito di critiche: cosa c’entra 007 biondo, e con quella faccia anonima. A una conferenza stampa li affrontai: vi rimangerete i vostri articoli».
Lei come si sentì sul set?
«Ero come narcotizzata. L’ho vissuto come un sogno, ovvio. Alla prima a Leicester Square, a Londra, invitai mia madre, Anna Maria, donna divertente. Mi disse: tu non puoi andare alla proiezione davanti a Elisabetta II con la tiara di diamanti in testa: tu avresti la corona e lei, la regina, no. Naturalmente vinse mia madre».
Ma come andò il provino come Bond Girl?
«Stavo girando un film su Eleonora d’Arborea, regina sarda del 1300, dovevo cavalcare e alle prove all’ippodromo delle Capannelle fui disarcionata. Il giorno dopo avevo a Roma il provino per 007. Dovettero chiamare l’ambulanza, mi fecero iniezioni di Toradoll e morfina per alleviarmi il dolore. Andai al provino camminando come una tartaruga».
Chi va piano va sano e...
«Lei scherza ma dicevo le battute col minimo di gestualità, mi limitavo a muovere gli occhi. Congedandomi mi chiedono: sai andare a cavallo, vero? Dopo venti Bond Girl, sono l’unica che doveva montare a cavallo, da cui ero appena franata a terra. Tornai sul set di Eleonora e la sera trovai 80 chiamate a vuoto della mia agente: ero stata scelta in Casino Royale».
Sicura che non ci siamo persi per strada alcune tappe giovanili?
«Mah, in televisione la letterina a Passaparola con Gerry Scotti non fu un’esperienza felice, eravamo delle ragazze messe lì un po’ per caso, non mi sentivo a mio agio. Molto bella invece fu l’esperienza del 2002 con Claudio Baglioni, danzatrice al suo concerto allo stadio San Siro. Si ammalò la coreografa e venni promossa sul campo prima ballerina. Conosco tutte le sue canzoni a memoria, alle prove cantò solo per noi, il corpo di ballo, Avrai, ma era inavvicinabile, nemmeno l’autografo riuscii a chiedergli. Ho sempre amato ballare, ho smesso a malincuore la danza del ventre perché non ho tempo».
Parliamo della danza del ventre.
«La praticavo in palestra, non mi sono mai esibita. È legata alla mia giovinezza, quando per un fidanzato andai a vivere in Libano, per tre anni, dal 2000 al 2003. Era il periodo d’oro di Beirut, ho conosciuto la ricostruzione, la voglia di vivere di quel meraviglioso Paese, oggi ahimé completamente distrutto».
Perché è andata a vivere in Francia?
«Ci vivo dal 2003. In passato il ministero della Cultura in Italia dava fondi soprattutto ai registi che avevano vinto il David di Donatello. Per lavorare dovevi fare punti, tipo Mulino Bianco. Era un cerchio magico. Se non capitavi lì dentro, eri un outsider. Oggi per fortuna la situazione è diversa, alla Mostra di Venezia ho avuto l’onore di fare la madrina. La mia fortuna fu un provino che fallii».
Cioè?
«Stavano cercando un’attrice italiana per un film con Jean Reno su Dalida, la cantante. Presero Sabrina Ferilli. Delle quattro attrici italiane all’audizione ero l’unica che non parlasse francese. Ma giravano un film in Corsica ed essere 
sarda mi aiutò. Da lì è cominciato tutto».
È diventata mezza parigina?
«Per niente, sono italiana al cento percento, per come vesto, parlo, mangio, mi arrabbio. Me lo dice sempre il mio compagno, avvocato francese. Ma l’Italia rispetto alla Francia è ferma all’età della pietra su tante cose, penso al diritto all’aborto che Macron inserirà nella Costituzione, penso ai poliziotti che vigilano per le strade contro i maltrattamenti agli animali. Rovescio della medaglia, le piste ciclabili che hanno distrutto architettonicamente mezza Parigi. Per fortuna i monopattini elettrici presi in affitto sono stato aboliti, restano quelli di proprietà».
Frequenta le altre attrici italiani che vivono lì?
«Claudia Cardinale, gentile, l’ho incrociata a Mosca e all’Unesco. Monica Bellucci l’ho vista a una sfilata, tanto di cappello per come ha saputo costruire la carriera, Carla Bruni l’ho vista alla Mostra di Venezia, sul tappeto rosso con le scarpe in mano si lamentava della scomodità delle scarpe italiane».
Ha vissuto un periodo in Cina.
«Nel 2008 fui invitata ai festival di Pechino e Shangai. Feci un cortometraggio e mi ruppi una gamba, in ospedale conobbi un medico australiano con cui mi fidanzai. Lì ho girato un film, una favola ecologista e un terzo lavoro dove sono una grande cuoca europea. I set sono rituali».
In che senso rituali?
«Al primo ciak c’è la cerimonia dell’incenso, oppure non si gira l’8 e il 10 perché considerati numeri sfortunati. Comunicavo a gesti. Sono diversi da tutto il resto del mondo, poi ci sono le incomprensioni se fingono di non capirti. Quando uscii dall’ospedale abbracciai tutti i medici: rimasero pietrificati. Non ci sono abituati».
Proposte indecenti?
«Mai, sarà che sono cresciuta in Sardegna dove vige un matriarcato potente. Sono una che si arrabbia per le sofferenze in Iran e nei paesi in cui le donne vengono sottomesse e prepotentemente spinte a credere di essere inferiori agli uomini».
Le imbarazzano le scene di nudo?
«Quelle davanti sì, per i glutei sono meno difficile. Ma devono essere giustificate».
Mai avuto un toy boy?
«Mai, solo coetanei. Toy boy e trasgressioni tipo escort boys non fanno per me, mi è bastato andarci per finta in una serie tv. Ma sulla vita privata sono una riservata donna sarda».
Le manca non avere figli?
«È un dolore, non un dispiacere. L’ultima volta che ci siamo parlati le dissi che i miracoli esistono. A 46 anni credo che chi distribuisce i miracoli si sia dimenticato di me. La mia vita è tra il cinema, l’Amref, la mia associazione che crea gioielli per aiutare gli artigiani sardi i cui proventi vanno in parte in beneficenza, e la difesa degli animali abbandonati. Mi batterò con tutte le mie forze per cercare di migliorare questa Terra. Se qualche volta riuscissimo a non pensare solamente a noi stessi... basta non voltarsi dall’altra parte».
Ma il suo mestiere è intriso di egocentrismo.
«L’egocentrismo è morto un po’ di tempo fa. Questo mestiere è un ascensore che va su e giù, e quando va giù fa male. Dopo aver interpretato Penelope in una serie speravo che qualcosa di eclatante sarebbe arrivato e non è stato così. Bisogna faticare. Il mio fidanzato e la mia famiglia mi riportano sempre con i piedi per terra. Non salviamo vite umane, non siamo chirurghi, possiamo far staccare la spina per un’ora e mezza e dare emozioni ma non salviamo vite».
È felice?
«Sì, molto anche se tanti provini non sono andati bene, e quello che mi brucia è per un film sull’Antica Roma: dopo due audizioni vinte mi hanno detto ti chiamiamo per l’ok definitivo, poi hanno preso un’altra attrice. Le sconfitte ci stanno, come quando non potei entrare alla scuola del Piccolo di Milano perché non avrei potuto lavorare per tre anni. Ma sono una che non si arrende, una che combatte».
Basta parlare dieci secondi per capirlo.
«Ho dovuto faticare, vengo da una famiglia normale, non nasco col cucchiaino d’argento in bocca, come si dice in Francia. Non ho mai inseguito l’America e il sogno di Hollywood, ho tante proposte in Europa. Mi vedrete presto dietro la concierge in un pazzo film di Davide Livermore sull’opera».