Corriere della Sera, 24 febbraio 2024
La lingua umana e quella di ChatGPT
Raccontava Italo Calvino che la madre, Eva Mameli, da brava botanica, usava sempre la nomenclatura latina per parlare delle sue piante esotiche nel giardino di Sanremo. Lui confessava di odiarle. Ma solo quando gli inservienti, con grande ira della madre, storpiavano indicibilmente quei nomi, per lui, per Calvino, prendevano forma, diventando interessanti. Era la creazione del linguaggio ad accendere la sua curiosità giovanile. Nuovi suoni che aprivano mondi o si ancoravano a reminiscenze. Anche in questo siamo diversi dall’intelligenza artificiale: la confusione con cui ChatGPT ha «deluso» il mondo per 24 ore entrando in una confusione semantica che ha anche attirato sberleffi sui social non aveva suoni che creavano evasioni. Non aveva la forza del fiume di neologismi di James Joyce. Ma nemmeno della lingua deformata dello slang, delle improbabili crasi dello spanglish, dei dialetti. Il mistero dei linguaggi, come dell’apprendimento, non è mai figlio di un algoritmo di probabilità, ma della cultura, anche popolare. Come avvenne per quella lingua volgare emersa dal latino nei placiti cassinesi del 960, («Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti») che poi sarebbe diventata una delle lingue più belle del mondo: l’italiano.