il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2024
Una serie sul cazzo in cui protagonista è la vagina
PECCATO – non ce ne vogliano Don Winslow e Jane Campion, diversamente ma analogamente attestati sul cane – il titolo giusto sarebbe stato Il potere del cazzo. Così non è stato, perché non poteva essere: creata e scritta da Francesca Manieri, la serie Supersex liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi è più ecumenica, se non femminista, a tal punto da dedicare la prima immagine esplicita non al celebre pene di 24 centimetri, ma a una vagina, e per giunta semi-depilata, nella Ortona dei primi Settanta. Quella è l’origine del mondo, figuriamoci dell’audiovisivo, e l’arnese maschile, che nei primi tre episodi non c’è, viene vieppiù ridimensionato dallo spirito del tempo: “In mezzo alle cosce dei maschi e delle femmine ci sta la dinamite, chi controlla quello controlla tutto”.
I produttori Lorenzo Mieli e Matteo Rovere, insomma, han visto bene tramite Manieri di calmierare il machismo, recepire la metafora supereroistica ed esaltare l’autodeterminazione ambosessuale, qui e là preferendo al supercazzo la supercazzola, del tipo: “Il mio potere – voce over di Rocco, che nel frattempo si sollazza a Pigalle – mi portava nel cuore pulsante della vita organica”, che poi è Superquark in purezza.
Regia dello stesso Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni, dopo l’anteprima al 74esimo Festival di Berlino i sette episodi – abbiamo visto i primi tre – arriveranno su Netflix il 6 marzo, con Alessandro Borghi, e prima Saul Nanni, a incarnare il pornodivo nato Rocco Tano, Adriano Giannini per il fratellastro Tommaso e Jasmine Trinca a sintetizzare finzionalmente in Lucia le tante donne del Nostro. Vedremo i rimanenti episodi, per ora tutto si può dire di Supersex tranne che sia una serie del cazzo.