la Repubblica, 24 febbraio 2024
La guerra in foto
La professione del fotografo concede l’onere e il privilegio di vedere da vicino i fronti che si accendono in tutto il mondo: sono appena rientrato dalla Cisgiordania e tra poco ritornerò ancora a Kiev. La sensazione che molte cose siano collegate è forte, si percepisce ovunque, così come la convinzione che l’architrave del domani nascerà in Ucraina. In un senso o nell’altro.L’impressione è che l’Occidente debba ancora prendere una decisione piena sul suo ruolo. Gli Stati Uniti e la stessa Europa hanno fatto molto per sostenere gli ucraini militarmente, politicamente e finanziariamente senza però che sia maturata una consapevolezza più profonda che scuota la nostra società. Questa guerra non può essere persa, perché riguarda il nostro destino e quello della nostra idea di democrazia. Se la Russia imporrà con le armi, e nel disprezzo di qualsiasi regola, la sua volontà su un Paese sovrano, le ripercussioni saranno tante e radicali.Ci sono spaccature all’interno dell’Europa e degli Stati Uniti che non sono frutto soltanto delle genuine istanze pacifiste o dei calcoli delle campagne elettorali: emergono quando leader di partito commentano la morte di Aleksej Navalny con le stesse parole del Cremlino esibendo un’interessata reticenza. La fine di Navalny invece, come troppi altri prima di lui, getta una luce accecante sul potere sanguinario che lo ha voluto morto.Sappiamo che da anni la macchina della disinformazione lavora per seminare dubbi, paure e costruire un’immagine distorta della realtà. Abbiamo sottovalutato gli effetti di questa lenta corruzione nel farci perdere di vista il significato della lotta che si combatte sulle rive del Dnepr e nelle trincee del Donbass. Le notizie di bombardamenti e battaglie paiono sempre più lontane, come l’eco di una litania a cui ci siamo abituati o rassegnati: il loro esito però peserà sulla nostre vite.Trentacinque anni fa Francis Fukuyama scriveva che eravamo giunti alla fine della Storia, sostenendo che dopo il crollo del Muro e lo sgretolamento dell’Urss l’affermazione delle democrazie liberali in un mondo di pace fosse irreversibile. Non è quello a cui stiamo assistendo. Siamo davanti a un momento storico decisivo e a un’accelerazione delle crisi e dei conflitti in cui si giocano tante partite diverse ma di cui l’Ucraina, a mio avviso, resta la principale.Lenin diceva: «Ci sono decenni in cui non avviene nulla e settimane in cui accadono decenni». Siamo nel mezzo di una fase storica di questo tipo e tutto appare connesso, dalla morsa cinese che si stringe su Taiwan ai missili russi su Kiev, fino all’aggressione mortale su Gaza che nessuno riesce a fermare. Ogni frattura nell’ordine mondiale, ogni spinta impressa con la forza delle armi riporta in primo piano lo smarrimento dell’Occidente e la sua incapacità di definire una visione per fronteggiare tutto questo.Gli ucraini invece hanno saputo cosa fare. Dall’alba dell’attacco sono stati uniti e coesi nell’opporsi all’invasione. Un popolo intero ha dimostrato che resistere è necessario. Il loro Paese non ha affrontato que sta sfida dal 2022 e neppure dal 2014, quando ci sono state l’occupazione della Crimea e l’intervento russo nel Donbass: ha risposto alla minaccia che secoli di imperialismo di Mosca proiettano sulla loro identità.In questi due anni ho incontrato storie di grande abnegazione. Il luminare di Odessa che ha lasciato professione, moglie e figli per diventare chirurgo in prima linea, impegnato a salvare uomini dilaniati dalle bombe: operava sotto i proiettili, senza un attimo di tregua. Ho vissuto con le famiglie rinchiuse nelle cantine di Kharkiv, la metropoli flagellata da una pioggia di razzi. Ho visto intere comunità inginocchiarsi lungo strade di campagna al passaggio della bara di ungiovane che aveva indossato l’uniforme. Ho seguito la faticosa rinascita dei reduci, mutilati dai combattimenti nel corpo o nella psiche. Sono entrato nelle stanze dove gli invasori torturavano e uccidevano per cercare invano di piegare la volontà di una nazione.Qual è il ruolo dei fotografi davanti a tutto questo?Di sicuro le immagini hanno un rapporto con la storia, entrano negli eventi: finiscono per farne parte e diventare documenti. Formano una memoria che nessun revisionismo potrà negare. Le fotografie, soprattutto quelle pubblicate per testate con grande diffusione, raggiungono moltissime persone e dialogano con loro: pongono interrogativi, dubbi, domande e attivano un dialogo con i lettori. In modo che siano loro alla fine a darsi delle risposte.