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 2024  febbraio 24 Sabato calendario

Da Kiev a Navalny. Il “mondo russo" è tornato tra noi

La coincidenza, magari casuale (ma la casualità in questa Russia putiniana è sempre sospetta) tra l’uccisione di Aleksej Navalny nella più remota e crudele prigione del Gulag siberiano e il secondo anniversario della guerra all’Ucraina aiuta a mettere a fuoco il disegno perseguito da Vladimir Putin in questi due anni in un crescendo wagneriano di repressione interna e aggressione esterna.
E un’altra coincidenza – questa ancora meno casuale – contribuisce a completare il quadro di quella che si può definire la lucida follia di un ex ufficiale del Kgb che aspira a un vitalizio di potere di stampo sovietico. Parliamo dell’assassinio in Spagna di Maksim Kuzminov, il pilota di elicotteri che aveva disertato in Ucraina, che secondo i servizi spagnoli è stato «senza alcun dubbio» ucciso da sicari russi. L’unica incertezza, ha scritto El Pais,è a quale sigla attribuire l’operazione: l’Svr, l’intelligence esterna, l’Fsb, la sicurezza interna, o il Gru, lo spionaggio militare. Ma il messaggio è comunque chiaro: “I traditori non vivono a lungo”,come ha titolato il giornale online Il Corrispondente, spudorata voce della propaganda di Mosca, immediatamente, e di nuovo non casualmente, rilanciato dalla Tass,l’agenzia ufficiale russa.
Ma i “traditori” non devono sopravvivere neppure economicamente e socialmente. A fine gennaio il Parlamento di Mosca ha approvato una legge che autorizza il governo a confiscare le proprietà dei russi che si sono auto-esiliati dall’inizio della guerra, mentre le ambasciate russe fanno pressione nei Paesi dove hanno influenza per perseguitare i “dissidenti”. «La Russia storica si è rialzata. Tutta la feccia che esiste in ogni società viene piano piano spazzata via», si è vantato Putin in un meeting elettorale il cui tema centrale era proprio come ripulire la Russia di tutti gli elementi filo-occidentali. Così, dopo il voto del 17 marzo, senza più oppositori o denigratori, potrà regnare su un purificatoRusskij Mir, il quasi mitologico “mondo russo” invocato dalle più assolutiste correnti slavofile e anti-europee già dai tempi di Nikolaj Danilevskij, consigliere dello zar Nicola attorno al 1860.
Per capire il disegno di Putin bisogna risalire a due affermazioni, che lo hanno ispirato e sostanziato. La prima è dello stesso Putin: «La fine dell’Unione Sovietica è stata la più grande tragedia geopolitica della Storia». La seconda è di Barack Obama, quando era presidente degli Stati Uniti: «La Russia è ormai una potenza regionale». Semmai quella che conta è la Cina: “Pivot to Asia”,come era denominata la dottrina strategica della Casa Bianca. La derivazione quasi automatica era che nel rapporto con la Cina di Xi Jinping la Russia di Putin veniva descritta come un “junior partner”, un alleato minore e dipendente.
Ecco, queste erano per Putin due offese da lavare con il sangue. Letteralmente, come provano l’invasione dell’Ucraina e l’uccisione di Navalny (le “cause naturali” del certificato consegnato alla madre, se mai vere, sarebbero comunque conseguenza dell’avvelenamento e delle torture carcerarie patite in questi anni). Ucraina e Navalny sono l’alfa e l’omega del disegno putiniano.
Se ricreare l’Urss sul piano geografico era impossibile, plasmarne un simulacro sul piano ideologico, politico e della gestione del potere era un progetto fattibile nella lucida follia putiniana, resa ancora più ossessiva dall’isolamento da Covid. Creare una rete di Stati non ostili o addirittura complici (come nelle triangolazioni commerciali che annacquano le sanzioni occidentali) nelle ex repubbliche sovietiche, specie quelle asiatiche. Trovare ambigue solidarietà in alcuni Paesi europei, come l’Ungheria di Orban, o la Slovacchia. E, infine, invadere l’Ucraina, definendola uno Stato che non esiste, una branchia della Russia da “denazificare”. L’“operazione militare speciale” contro Kiev è in fondo la versione aggiornata della dottrina Breznev usata per giustificare l’intervento sovietico a Praga nel 1968.
Sul piano interno la riproposizione del modello sovietico è stata realizzata sul piano economico con una conversione a tappe forzata in un’economia di guerra. E sul piano politico attraverso una sistematica repressione del dissenso in patria e all’estero: morti ammazzati (Politkovskaja, Nemtsov, Navalny, per citare i più noti, cui si potrebbe aggiungere anche Prigozhin), esiliati (Khodorkovskij), incarcerati (Kara-Murza e molti altri). Nella campagna elettorale, per un voto che potrebbe consacrarne il potere a vita come accadeva appunto ai segretari generali del Partito comunista sovietico, Putin non ha voluto avere alcun avversario: neppure un candidato innocuo come Boris Nadezhdin, “squalificato” dalla commissione elettorale. Le spoglie mummificate dell’Urss diventano il “sacro graal” di questa “Russia storica”.
Così all’“Occidente collettivo”, che va incontro alle elezioni europee e alla cruciale scelta del presidente americano a novembre, la Russia di Putin, al secondo anno di guerra, si propone di nuovo come una minacciosa “potenza globale” con la quale bisogna fare i conti. Anzi, la sua sfida è ancora più alta: essere il collante e la guida di tutti gli scontenti e i critici delle democrazie occidentali così numerosi in quello che, ai tempi dell’Urss, si chiamava “movimento dei non allineati” e che Gideon Rachman, sul Financial Times, ha ribattezzato “Putin’s global fan club”. Al quale, a novembre, potrebbe iscriversi, se venisse eletto, Donald Trump.
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