la Repubblica, 24 febbraio 2024
La terza primavera di guerra
La terza primavera di guerra sarà la più dura. Lo si capisce dai segnali che arrivano dalle trincee. Quelle russe sono state realizzate a zig zag dalle ruspe di imprese specializzate, con bunker studiati per sopravvivere alle cannonate e alle incursioni dei mezzi blindati. Quelle ucraine le hanno scavate in fretta i soldati spaccando con pale e asce il terreno ghiacciato. Sono dritte come nella Grande Guerra, senza rifugi in cemento: se il nemico riesce a entrare in un solo punto, allora tutta la guarnigione è spacciata.
Il confronto mostra come le truppe di Kiev non fossero preparate a combattere in difesa: si erano addestrate solo per l’offensiva, convinte che la vittoria sarebbe arrivata entro il 2023. Invece i loro attacchi si sono arenati davanti al tiro incrociato delle postazioni nemiche e adesso la situazione si è capovolta.
Il presidente Zelensky ha riconosciuto che «le condizioni sono critiche in molti settori» e ha dato la colpa alla sospensione delle forniture americane imposta dai Repubblicani al Congresso. È indubbio che il vuoto creato dalla fine degli aiuti statunitensi stia pesando, soprattutto sull’artiglieria protagonista di tutte le battaglie: oggi i cannoni russi sparano dieci volte più proiettili.
Ma i problemi sono profondi. Mancano gli uomini, perché i reparti non ricevono rimpiazzi e hanno organici sempre più ridotti: in autunno il generale Zaluzhny aveva chiesto invano di mobilitarne mezzo milione; Zelensky pochi mesi dopo lo ha rimosso con una decisione che ha creato sgomento tra i militari. L’effetto di questa scelta si è visto nella caduta di Avdiivka, presidiata da battaglioni con ranghi dimezzati: soldati stremati, che si sono sentiti abbandonati.
In una guerra d’attrito i numeri contano. Dopo le disfatte a Kiev, a Izyum e a Kherson, il Cremlino ha attivato una macchina industriale senza precedenti. Dai depositi vengono tirate fuori centinaia e centinaia di mezzi corazzati ereditati dall’Urss, che le officine modernizzano e spediscono subito al fronte. Le fabbriche lavorano notte e giorno per produrre nuovi modelli di tank, missili, droni, sistemi di disturbo elettronico. Da Iran e Corea del Nord partono carichi di munizioni e di ordigni tanto semplici quanto micidiali. Non è però solo una questione di quantità.
I migliori soldati russi, i professionisti mandati «ad espugnare Kiev in pochi giorni», sono stati decimati nella primavera 2022 dalla sorprendente ed orgogliosa reazione all’invasione. Il generale Gerasimov allora si è reso conto che bisognava cambiare le tattiche e aggiornare le dotazioni. Un processo reso lento dal retaggio della mentalità sovietica che comincia a dare frutti. Fino allo scorso ottobre i cieli erano dominati dai piccoli droni ucraini, adesso sono stati surclassati da quelli di Mosca.
Ci sono ancora plotoni buttati al massacro come carne da cannone, ma accanto a loro compaiono squadre che agiscono in modo coordinato ed efficiente. L’aviazione, assente per mesi dalla lotta, ha assunto un ruolo incisivo e sommerge di bombe teleguidate i capisaldi nemici.
Nonostante il vantaggio, pochi analisti credono che il Cremlino possa ottenere un successo militare definitivo. In questo momento sta tenendo sotto pressione l’intera linea, cercando un punto debole in quattro zone diverse. È molto difficile però che uno sfondamento provochi il crollo delle difese: gli ucraini cedono terreno ma combattono per ogni chilometro. Putin ha un solo modo per vincere sul campo: innescare un collasso, che spezzi la volontà di resistere.
La partita decisiva si gioca oltre il fronte. Ed è una sfida sull’informazione, per condizionare il morale del popolo ucraino: inserirsi nei contrasti politici inevitabili in una democrazia e nella crisi militare per seminare sfiducia. Un’operazione senza confini, manipolando la campagna elettorale americana ed europea per incrinare la solidarietà verso Kiev e frenare le misure contro Mosca. Una vera guerra ibrida, come teorizzato proprio dal generale Gerasimov, sfruttando l’antica abilità del Cremlino nella disinformatia.
Putin ha fretta di chiudere la partita. Sa che ha pochi mesi per concretizzare i suoi disegni: se il conflitto non si ferma, in estate sarà obbligato a decretare un’altra mobilitazione che minerà il suo consenso. E presto le riserve sovietiche di materiali bellici termineranno: quelli di nuova produzione – in un anno circa 300 tank non possono bastare ad alimentare battaglie che inghiottono centinaia di veicoli corazzati.
Questo spinge molti analisti a ritenere che scatenerà in primavera tutte le sue forze, puntando a celebrare la rielezione alla presidenza con un trofeo da esibire.
L’obiettivo sembra essere il cessate il fuoco, che gli consegni il controllo della regione a Est del fiume Dnipro e un allargamento del Donbass. Poi la propaganda si occuperà di presentarlo come trionfatore e premere per ridefinire gli assetti planetari di potere.
Per gli ucraini il negoziato resta inaccettabile, perché significherebbe perdere una parte del Paese e il fallimento della strategia di Zelensky. Il loro futuro dipende dall’aiuto occidentale e dalla capacità dell’Europa di supplire allo stop americano. Da giugno entreranno in servizio i primi caccia F16 e ci saranno finalmente aerei moderni. Questi due anni però hanno dimostrato che non esistono armi in grado di fare la differenza: Kiev ha bisogno di una riforma delle forze armate che le renda in grado di superare la fase negativa. E deve decidere un altro sacrificio: altri uomini da mandare in trincea. Un ulteriore tributo di sangue per la libertà.