la Repubblica, 24 febbraio 2024
Intervista a Fabri Fibra
In Italia,sedici anni dopo. Era il 2008 quando Fabri Fibra e Gianna Nannini raccontavano in musica il Paese. Con il ritornello scolpito come una lapide, quel rap scuoteva le coscienze. “Nato e morto qua, nato nel paese delle mezze verità”, si parlava di stragi e assassini mai scoperti. Il pezzo andò bene, quarto posto in classifica, tanti passaggi in radio, eppure in concerto la reazione del pubblico era sempre fredda, Fibra aveva quasi smesso di proporlo. Poi, lo scorso settembre l’ha cantato nel suo set al Marrageddon, il festival di Marracash, e un’esplosione di cori lo ha convinto a riproporlo, aggiornandone il testo. Per farlo ha chiamato Emma, nel ruolo che era stato di Gianna Nannini, per il rap ha voluto Baby Gang, alias Zaccaria Mouhib, nato a Lecco 22 anni fa da genitori marocchini, uno dei trapper delle seconde generazioni che riempiono le classifiche. Talvolta anche le cronache.Quali motivi l’hanno spinta ariproporre proprio ora “In Italia”?«Al Marrageddon la folla è impazzita, mi sono emozionato, mi sono detto che il pezzo vive ancora e, anzi, sembra rinato, lo cantavano tutti: vuoi vedere che questa canzone, visto che nel mondo sta succedendo molto di peggio, è diventata innocente? Nel 2008 cambiò la percezione del pubblico nei miei confronti. Sicuramente perché Gianna Nannini mi aveva onorato della sua voce e collaborazione. Ma anche perché aveva un testo che sottolineava degli aspetti scomodi del Paese, era politicamente scorretta».Ha chiamato Baby Gang.«Mi interessava raccontare l’Italia di oggi, doveva esserci un rapper come lui, che rappresentasse l’Italia multietnica che finisce nella cronaca, nel bene e nel male».Ha una lunga storia di carcere e comunità.«Giudico sempre la persona nel momento in cui la conosco, senza farmi condizionare dalle notizie.Baby Gang l’ho incontrato in studio e mi ha dato subito l’impressione diuna persona sensibile e educata. Non mi permetto di giudicarne la vita, non è il mio ruolo, soprattutto se ci sono problemi legali. Anch’io all’inizio ero borderline, ho avuto problemi con le sostanze, la passione per la musica mi ha permesso di sopravvivere, credo che anche a questi ragazzi dia una chance per sublimare la loro condizione».Quali differenze ci sono nel vostro modo di fare rap?«Il modo di esprimersi delle nuovegenerazioni rispecchia il parlare senza filtri, è il linguaggio dei social, mentre la mia generazione per entrare nel circuito del mainstream, del potere della discografia e delle radio, doveva filtrare, cercando di non disturbare troppo. Questi se ne fregano, dicono le cose come stanno ed è la forma di ribellione più affascinante nel panorama musicale di oggi. Quando mi è arrivata la strofa di Baby Gang mi ha stupito, perché l’esposizione che gli garantiva questacollaborazione poteva spingerlo a levigarsi e invece dev’essersi detto: o così o niente, che poi è un po’ quello che gli dice l’Italia ogni giorno. Lui così gli risponde che bisogna accettare le diversità. E poi, dove le dici queste cose se non nel rap?».Nella sua strofa Baby Gang parla di fascisti e razzisti al comando.«Non è che abbia detto cose tanto lontane dalla realtà dei dibattiti che si ascoltano in tv, nulla di diverso dalle critiche che vengono fatte al governodall’opposizione».Nella sua nuova strofa lei dice: “Scendo in strada con gli amici a festeggiare, mani in alto puoi finire come Cucchi”.«È una fotografia del Paese. Ho aspettato tanto per dire quella frase, l’avevo già usata in un paio di provini in cui avevo provato ad affrontare l’argomento, ma forse prendevo una strada sbagliata. Stavolta ci sono riuscito, ho usato la giusta strategia per sconfiggere la banalità e arrivare a dire cose forti».Lei ha sempre avuto grande sensibilità per i temi della cronaca nera.«È l’altra faccia della medaglia dell’Italia romantica. Il sogno della famiglia come obiettivo, dell’“ama, fai i figli e sarai felice” che è sopravvalutato: le peggiori tragedie accadono in famiglia. È il sogno che diventa incubo. Oggi è aumentata la pressione sociale per raggiungere il successo, il nuovo sogno americano sono i social, puoi diventare milionario seduto sul divano. Sono tutte cazzate che però inquinano la mente delle persone. Poi c’è tanta pressione sessuale, corpi mostrati: quel successo e quei risultati di sessualità e bellezza sono irraggiungibili perché finti, chi non riesce a decodificare questo linguaggio fa presto a impazzire».Nello stesso album di “In Italia” c’era “Andiamo a Sanremo” in cui lei si chiedeva chi avrebbe presentato il prossimo Festival: Bonolis? Fazio? Fiorello? Sono gli stessi nomi che si fanno ora, e aggiungeva: “Ma perché non ci mettete una cicciona, con un ca**o di nano gay nero?”. Oggi una frase così forse non passerebbe.«Ero già inclusivo, ero avanti! Lo dicevo per attirare l’attenzione e disturbare, il rap viveva un periodo in cui si era molto ammorbidito, volevo che fosse scorretto per far capire che anche il rap poteva avere visibilità.Oggi, che ha tutta l’esposizione che non ha mai avuto, non c’è bisogno di essere scorretti, ci troviamo esattamente dove avremmo voluto essere all’inizio degli anni Duemila.Non c’è più bisogno di osare così tanto».