Robinson, 17 febbraio 2024
La storia di Porci con le ali
Quasi mezzo secolo fa scrisse con Marco Lombardo Radice il romanzo cult “Porci con le ali”. Un successo clamoroso che, confessa, non è riuscita a gestire come avrebbe voluto “Con quel libro sono riuscita a fare i conti soltanto da poco”diAntonio GnoliTra il primo romanzo e l’ultimo, appena pubblicato, è trascorso quasi mezzo secolo. Porci con le aliscritto con Marco Lombardo Radice, uscì nel 1976, in una stagione dove chi finiva l’adolescenza non sapeva più bene se entrare in clandestinità, restare nella dissolvenza di qualche gruppetto extraparlamentare, valutare le opportunità che ancora la sinistra tradizionale offriva in termini di carriera politica, oppure recarsi in India presso qualche ambito santone. Rocco e Antonia scelsero il sesso. Più che il genere “lo famo strano”, famolo e basta.Nel nuovo romanzo –Un giorno tutto questo sarà tuo – di sesso ce n’è poco. Non è però un romanzo casto, ma di casta sì: famiglia borghese allargata, composta da un pianeta (lo scrittore di successo, piacione che si ritrova invischiato in una denuncia per abuso), attorno a cui ruotano una moglie, due ex e infine il problematicissimo figlio affetto da un autismo non troppo devastante. Un “giovane Holden” che detesta farsi toccare e che al posto del cervello ha un periscopio: vede e capisce tutto, per poi reimmergersi in profondità, lontano dal frantumarsi delle onde della vita. Lo stile serrato richiama il lungo lavoro nelle sceneggiature. C’è, voglio dire, professionalità: tempi giusti, dialoghi credibili. Perciò verrebbe spontaneo chiedersi dove va il romanzo e rispondersi che il romanzo non va da nessuna parte. È sempre dove lo troviamo, mai dove lo cerchiamo.Incontro Lidia Ravera nella sua casa romana. È una settantenne dal volto gentile e ancora bello. Sposata con due figli uno dei quali adottati. La immagino mentre si apparta nel suo lavoro di scrittrice (più di trenta romanzi all’attivo), in un gioco tra disciplina e libertà.In che ore della giornata scrivi?«Di solito dalle dieci in poi. C’è una grande regolarità nelmio lavoro. Anzi non parlerei di lavoro, ma di un ozio produttivo che genera piacere. Quello che, nella pratica zen, si chiama satori, una sorta di illuminazione».Un modo di annullare la distanza tra te e l’oggetto che affronti?«Come rompere i confini dell’Io. Ma non è immediato.Immagino la scrittura del romanzo simile a una faticosa salita. Nel momento in cui scollino sono i personaggi a guidarmi lungo la discesa. A quel punto avverto che la distanza tra il pensare e lo scrivere tende ad annullarsi».Scrivi per raggiungere questa condizione?«Mi auguro che accada. In realtà ho sempre scritto per sputare un rospo. Qualcosa di indigesto o di poco gradevole che avevo dentro. Non penso che esista una felicità del narrare senza un dolore che la preceda e che fa parte della vita».È valso anche per “Porci con le ali”, il tuo primo romanzo, scritto con Marco Lombardo Radice?«Doveva essere un manualetto di liberazione sessuale ma alla fine è diventato il grido di dolore di una sedicenne che doveva mostrarsi libera e disponibile quando il suo corpo, in realtà, richiedeva o desiderava tutt’altro».Immagino che non vi aspettavate il successo del libro.«Cadde in un momento particolare in cui il privato – sulla spinta del femminismo – veniva portato alla luce e fatto oggetto di riflessione pubblica. Per anni ho vissuto male quel successo. Quasi fosse un impedimento alla mia crescita letteraria».Che cosa vuoi dire?«Ho dato vita a una trentina di romanzi più qualche testo di saggistica. Ho un pubblico che mi segue fedelmente, però non ho mai fatto una vera carriera letteraria».Intendi una riconoscibilità da parte della critica?«Non mi interessa la consacrazione, intendiamoci. Ma la critica per lo più è stata assente. Sull’onda di quel successo avrei potuto scrivere una serie diPorci con le alie invece il mio secondo libro –Ammazzare il tempo – fu unromanzo sull’invecchiare. Avevo 26 anni quando lo scrissi e penso che tra le motivazioni di quel cambio radicale di rotta ci fosse anche il fatto che allora ci si vergognava del successo».Era come passare dall’altra parte della barricata.«Venni blandita dal mondo della borghesia che intuì la forte sofferenza generazionale, mentre fui pesantemente attaccata – Goffredo Fofi in testa – dai “compagni”. Porci con le aliè un libro con cui sono riuscita a fare i conti soltanto da poco».Nel tuo nuovo romanzo – “Un giorno tutto questo sarà tuo” (edito da Bompiani) – protagonista è un adolescente che sembra somigliare più al “giovane Holden” che a Rocco e Antonia.«Ho voluto raccontare un ragazzino un po’ speciale».Affetto da una forma di autismo.«Seymour pronuncia la sua prima parola a 4 anni. Del giovane Holden ha lo stesso disagio: vede e capisce le cose che sono precluse agli adulti. Gli repelle il contatto fisico.Insomma non è messo bene. Ma è proprio questa estraneità che gli consente di avere uno sguardo lucido sul mondo, sul padre che gli ha insegnato a non avere paura ma non a vincere la vergogna».Giovanni Sartoris è lo scrittore narcotizzato dal successo che si risveglia solo quando si trova invischiato in una storiaccia di molestie sessuali.«Ho descritto un moderno settantenne che colleziona mogli e figli e che non riesce a fare i conti con se stesso.Perfino quando, travolto dalle accuse, si ritira in un luogo segreto a meditare, perfino lì il narcisismo gli inquina l’esperienza spirituale».L’accusa che gli rivolge la giovane attrice, indispettita e frustrata per non essere stata scelta nel ruolo di interprete nel film ricavato da un suo romanzo, è falsa.Non temi che questa situazione possa essere equivocata?«Equivocata in che senso?».Che possa essere interpretata come un avallo o una giustificazione del punto di vista maschile.«Sartoris è innocente quanto a quell’episodio. Ma non lo è in generale. Che una ragazza fragile, alla ricerca di se stessa, costretta ad agire opportunisticamente, abbia l’occasione e lo strumento per rovinare la reputazione di un uomo, non significa che voglia giustificare duemila anni di storia durante i quali il corpo della donna è stato oggetto di oltraggi e soprusi».Vuoi dire che Tatiana si è lasciata “corrompere” dalla logica maschile?«Diciamo che insegue le stesse chimere del successo e non le importa come ottenerlo. Ma la sua storia denuncia la fragilità e la disperazione di una donna. Ed è questo che Seymour, dalla sponda della sua diversità, riesce a comprendere».Accennavi prima al tuo secondo romanzo dedicato all’invecchiare. La vecchiaia è un tema che affronti spesso. Una delle tue ultime prove narrative è “Age Pride”. Crescere da un lato e invecchiare dall’altro. Cosa li tiene insieme?«Per me l’inizio e la fine della vita sono le stagioni più intense. O le più interessanti. Quando sei molto giovane o molto vecchio vieni guidato da un istinto di sopravvivenza. È come se la natura abbia il sopravvento sull’artificio. Il tuo corpo cambia più velocemente. Da un lato si rafforza dall’altro si indebolisce. Ma in entrambi i casi è molto faticosa l’uscita da quelle età. Per questo si tende a stare con gli affini».Si è fuori dal processo produttivo.«Più in generale si è fuori dalla storia. I bambini e i vecchi non sono soggetti amati dalla storia. Compatiti sì, ma non desiderati perché considerati, almeno in Occidente, un peso o un ostacolo al cambiamento. L’adolescenza e la vecchiaia sono condizioni ontologiche. Al loro interno siripetono sempre le stesse situazioni, sulle quali successivamente intervengono le differenze storiche».In “Age Pride” l’incipit ha qualcosa di intimamente definitivo: “Non ho mai visto mia madre felice”.«Di definitivo c’è in quella frase il mio terrore da bambina di invecchiare. Ogni volta che vedevo mia madre pensavo che crescere fosse orribile e volevo, come per incantamento, che il tempo si fermasse. Il mio più grande desiderio era di restare bambina. E poi, negli anni, ne ho avuto conferma vedendo la generazione dei miei invecchiare male».I tuoi di cosa si occupavano?«Mio padre era ingegnere e mia madre casalinga, senza particolari vocazioni. Vivevano a Torino, dove sono nata e dove ho vissuto fino alla maturità e in seguito sono scappata a Venezia, per iscrivermi a lingue orientali. Fare qualche esame. Con un fidanzato ci trasferimmo a Milano. Ero abbastanza inquieta. Scoprivo la politica.Fondai la rivistaIl pane e le rose,legata a Lotta Continua.Scrivevo di musica, di femminismo, di sessualità. Era il periodo a cavallo tra 1972 e il ’73. Nel 1975 venni a Roma».Ti trasferisti?«In realtà volevo prendermi una vacanza. A quel tempo Lotta Continua aiutava a trovarti una sistemazione in casa dei compagni disponibili. Fui indirizzata alla casa diMarco Lombardo Radice. Mi aprì una specie di gigante spettinato che in modo molto neutro, indicando un divano, disse: questo è il tuo letto».Non proprio incoraggiante.«Era il dovere della militanza e non l’amicizia a prevalere. Marco era uno psichiatra specializzato in età evolutiva, un guaritore di adolescenti. E su queste premesse ci venne l’idea di scrivere un diario a due voci che attribuimmo a Rocco e Antonia: una confessione su che cosa fosse la loro vita quotidiana, reale e immaginata.Quello che non sapevamo allora era che stavamo raccontando la fine dell’impegno politico e l’arrivo degli anni Ottanta: stagione del disincanto e della superficialità».Cui seguono gli anni Novanta, quando la politica sembra perdere la sua centralità.«È una condizione che è andata via via peggiorando. «Da quando negli anni Novanta la classe politica ha cominciato a sputtanarsi è stato tutto uno scendere, un perdersi nelle chiacchiere inutili, nelle promesse mancate, nella mediocrità esibita. E non è che in famiglia accada di meglio».Cioè?«Prevalgono rapporti orizzontali. Scompaiono i padri che si trasformano nei fratelli dei loro figli. Il che oltre aprovocare qualche serio danno educativo mostra anche qui il terrore di invecchiare che oggi investe la dimensione genitoriale».Tu come stai invecchiando?«So quanto sia difficile farlo bene. Mi piace pensare l’invecchiamento come una forma raffinata di artigianato. Dove sei tu che metti a posto le tue cose: curi il corpo e la mente, con i tuoi tempi giusti. Il trascorrere del tempo è un tema che mi appassiona da tutta la vita».Nel tuo artigianato immagino entri anche la scrittura.«La considero un privilegio, un mestiere che si raffina, forse un dono. Mi consente di avvicinarmi a cose che per altri restano distanti. Mi fa viaggiare stando più o meno ferma. La scrittura è per me il cantiere aperto, la pesca a volte miracolosa. È tutto ciò che pratico da dentro. È tutto quello che ho vissuto nel mio essere vigliacca, coraggiosa, infantile, adulta. E infine vecchia. È questa la ricchezza narrabile che come un fiume si getta nel mare del romanzo».Offri di te un’immagine idilliaca.«Credo che in questi anni abbia scritto in un particolare stato di grazia. La scrittura mi dà la percezione che qualcosa resti, anche quella privata. Ho centinaia di quaderni. Quando sento di essere travolta ricorro al genere diaristico che non è destinato a essere condiviso».Cosa intendi con “essere travolta”?«L’eccesso di immaginazione. Quei quaderni imprigionano i miei presenti e mi dissuadono dalla tentazione di glassare il passato, di edulcorarlo nella falsa convinzione che abbia avuto una giovinezza felice. Sono la prova più intima e incontrovertibile di cosa abbia sofferto».Sei mai stata in analisi?«Per un periodo con Mario Trevi, durante una fase complicata della vita. Mia sorella era morta, perciò decidemmo con il mio compagno di adottare la bambina, una creatura senza più padre né madre. Sono andata avanti per un po’ ma sentivo l’impossibilità di elaborare quel lutto e mi sono appoggiata all’analisi».Trevi aveva una grande capacità di ascolto. Chi ricorre a questa terapia lo fa anche per essere ascoltato.Ha funzionato?«Sì».In fondo anche qui sei riuscita a scollinare.«È bello poter immaginare la mia vecchiaia come una discesa più o meno lunga. Dovrò solo fare attenzione alle prossime curve».Pensi mai al traguardo?«Il meno possibile. In fondo per me è più importante la strada della meta».© RIPRODUZIONERISERVATA“È BELLO POTER IMMAGINARE LA MIA VECCHIAIA COME UNA DISCESA PIÙ O MENO LUNGA. DOVRÒ SOLO FARE ATTENZIONE ALLE PROSSIME CURVE”Il ritrattoLidia Ravera in un disegno di Riccardo MannelliLidia RaveraUn giorno tutto questo sarà tuoBompiani pagg. 320 euro 20 In libreria dal 21 febbraio