Tuttolibri, 17 febbraio 2024
Gli scrittori e il tennis
Marco Missiroli lo patisce. Puoi essere un grande scrittore, vincere premi, arringare folle di fan della letteratura nei festival, ma se nessuno vuole giocare a tennis con te, alla fine, cosa resta? «Diciamolo subito, il mio stile è pessimo, il tennis è una postura di vita: o ce l’hai o non ce l’hai e io non ce l’ho». Davvero difficile farsene una ragione quando, stagione dopo stagione, insegui tornei e sei già prenotato per i prossimi Atp di novembre e hai già macinato un paio di Roland-Garros soffrendo “il dolore dell’anima” mentre Sinner si sudava la vittoria su Medvedev in Australia. La passione secondo Missiroli non è solo sua. Epigoni di Giorgio Bassani, David Foster Wallace, J.R. Moehringer gli scrittori italiani fanno pratica, incrociando racchette e sfidandosi all’ultima pallina gialla. Da Sandro Veronesi a Marco Missiroli, da Edoardo Nesi a Antonio Scurati, da Matteo Codignola a Mauro Covacich, Elena Stancanelli, l’editore Carlo Feltrinelli e naturalmente i due che scrivono in queste pagine (AlessandroBaricco e Gabriele Romagnoli) sono tutti iscritti al club dei narratori tennisti. E visto che non si tratta di un club esclusivo ma infiltrato da artisti di ogni genere, ci sono anche Nanni Moretti, Matteo Garrone, Neri Marcoré, Margherita Buy, Valeria Solarino, Fiorello, Marco Mengoni, Luca Barbarossa, Adriano Giannini. Chi li conosce tutti, anche perché ha giocato con molti di loro, è Domenico Procacci, produttore cinematografico, autore del libro Una squadra da cui poi è nata la serie Netflix sulla vittoria italiana della Davis nel 1976 e ora anche editore, con la sua Fandango, del Tennis Italiano, storica rivista dedicata allo sport più elegante e ambizioso.Ora i rumors a bordo campo dicono sia avviata anche una chat in cui gli scrittori commentano i match, si sfidano, organizzano partite. Procacci, sornione, nega: «Ma no, l’unica chat è quella nata anni fa tra me, Sandro Veronesi e due amici, loro sì veri tennisti, Ivan Gardini e Giorgio Di Palermo, ma niente di più. Ci serviva per organizzare le partite quando vivevamo tutti a Roma». Con Veronesi la sfida però continua. «Sì vero, con lui e suo fratello Giovanni, abbiamo una lunga consuetudine e alterne vicende». La nota sibillina si scioglie leggendo due righedella prefazione al suo libro: «Giovanni Veronesi, un giocatore che, con un unico aggettivo, potremmo definire inguardabile, ma che incredibilmente vince con me quasi tutte le volte che giochiamo». I racconti di match all’arma bianca si sprecano, c’è sempre un set da recuperare, un rovescio poco angolato, una palla fuori, un let. Matteo Codignola, uno che nel suo profilo whatsapp ha la foto del francese Benoît Paire perché, dice, «è completamente matto», ha al suo attivo anni di palleggi con le star. Da padre Georg Gänswein («bellissimo e gentile, giocavamo al De Vialar il circolo dietro il Vaticano, ho scoperto dopo che era il segretario del Papa») a Nanni Moretti («vince sempre lui ed è esattamente come in Habemus Papam, pignolo e rompiscatole») a Geoff Dyer («un dritto discreto, ma fisicamente a pezzi.Abbiamo tirato qualche palla in Puglia nel luglio 2019 sotto un pallone, c’erano 95 gradi, volevo morire»). Codignola è un aneddoto vivente. Una volta, dice, «ho palleggiato pure con Sinner a Milano. Era venuto nel mio club ad allenarsi, aveva 18 anni». Sembra fantascienza. «Ma no, lui era già un ragazzo simpatico, che non lascia nulla al caso, intelligenza artificiale in un corpo umano». Nonostante un certo cinismo («Il tennis tira fuori il peggio di noi») Codignola è profondamente innamorato. Lo sono tutti. La magnifica ossessione dilaga e rende schiavi e spesso un po’ infelici. Sentite il racconto di Missiroli: «Io giocherei sempre, ma nessuno vuole giocare con me. Per dire: prenoto con molto anticipo il campetto per giovedì alle sette di sera e mi metto alla ricerca disperata di un compagno che non trovo perché tutti si dileguano, fino a quando intercetto l’amico che conferma tranne poi disdire martedì sera dicendomi che sua figlia è malata così, ostinato, mi ritrovo a giocare con il maestro di tennis che fa anche da psicoterapeuta e per di più è pagato». Chi invece, pur sporcandosi con la terra rossa, si dice distaccato è Antonio Scurati. «Il mio è un amore legato alla memoria estiva di ragazzo, quando andavo a Ravello in Costiera amalfitana: lì c’era, ma c’è ancora, un circolo che difende il tennis a dispetto del fatto di trovarsi al Sud dove lo sport d’elezione è il calcio. Il club ha un campo bellissimo, con orgoglio partecipa anche alla Coppa Italia così quando ci torno gioco. Ma…». Perché, in questa storia, c’è sempre un “ma” che sconfina nel comico. «Ma io sono troppo incazzoso per una disciplina che richiede tenuta mentale. Ecco, nel doppio mi trovo meglio, servo anche bene. Però, se devo scegliere, preferisco gli sport di contatto, come il rugby o il basket. Insomma, gioco meglio a tennis con chi mi prende a pallettate, quando si finisce nella colluttazione». Il tennis è uno sport molto violento, è assodato. Procacci ricorda quella volta, anni fa, quando «giocavamo io e Sandro Veronesi in un campetto nel quartiere Trieste, era venuta a vederci Kasia (Smutniak, attrice e moglie di Procacci, ndr) che percepì il totale silenzio, noi che a ogni cambio campo evitavamo di guardarci in faccia. Restò poco e poi, a casa, mi chiese perché avessi rotto la mia antica amicizia con Sandro… Non aveva capito che si trattava solo di agonismo. Diciamo che l’avevamo presa molto sul serio». Sodalizi che si rompono come racchette, c’è da crederci per come, a mezza bocca, ognuno di loro commenta il gioco dell’altro. Procacci, che fiuta la sfida, vuole organizzare un torneo nazionale degli artisti: «Visto il grande interesse ci sto pensando, mi piacerebbe vederli tutti scendere in campo, uomini e donne». La scrittrice Valeria Parrella non gioca, ma guarda. «Mi piace l’agonismo portato all’estremo, in qualsiasi sport. Mi piacciono i muscoli tirati, i corpi atletici, il limite». Forse è per questo che, nella raccolta di racconti Piccoli miracoli e altri tradimenti appena uscita, uno è dedicato al tennis. Sentite l’incipit: «Lui amava il tennis, ma io sposai un altro. Quando facevamo l’amore già non aveva più il fisico per giocare una vera partita. “Il fisico non c’entra, come te lo devo dire? Potrei battere un ragazzino: è una questione di stile, di tecnica”». Cosa diceva Missiroli?