Tuttolibri, 17 febbraio 2024
Le opere di Shakespeare non sarebbero di Shakespeare?
Stefano Reali, regista, sceneggiatore, musicista, con Shakespeare Ænigma si è cimentato nella scrittura di tipo saggistico/romanzesco dedicando un ponderosissimo volume alle vicende che vedono come protagonista non tanto Shakespeare, quanto Giovanni (John) Florio, che viene proposto come l’autore delle opere di Shakespeare: il Bardo, attore e capocomico, avrebbe soltanto «firmato» i testi scritti in realtà dal grande lessicografo, a cui è dovuto, tra l’altro, il primo vero dizionario inglese-italiano.Reali ricostruisce con verve episodi, incontri, vicissitudini della vita di Florio, trovando poi i momenti più intriganti nella ricostruzione dei rapporti con Giordano Bruno, che conobbe nel periodo in cui era stato assunto dall’ambasciatore francese come insegnante della figlia. Il filosofo (ed eretico, pover’uomo!), che era ospitato nell’ambasciata, ebbe una grande influenza su Florio, che, tra l’altro, ne abbracciò la tesi che ci fosse possibilità di vita su altri pianeti. Tra i suoi molti lavori di traduzione, come a ragione sottolinea Reali, c’era anche quello degli Essais di Montaigne, brani dei quali compaiono nella Tempesta, l’ultimo testo di Shakespeare.Quello che non si capisce è perché Florio non avrebbe voluto firmare i suoi lavori; e godere dei conseguenti guadagni per le messe in scena dei suoi testi, grazie ai quali Shakespeare si fece costruire una bella casa a Stratford, la sua città natale. Un’altra cosa non si capisce.Il padre di Florio, protestante, con la salita al trono della «sanguinaria» Mary, fu costretto a lasciare l’Inghilterra dove si era rifugiato anni prima, e si stabilì con il figlioletto di due anni a Soglio, nel Cantone dei Grigioni, a una decina di chilometri dall’attuale confine con la provincia di Sondrio. Florio visse lì fino alla morte del padre e poi, dopo un breve intervallo a Tubingen, tornò a vivere a Soglio, dove rimase fino all’età di 18 anni. E ignorava che Verona non era una città sul mare? E che non c’era un fiume che la congiungesse direttamente con Milano, come invece si dice nei Due gentiluomini di Verona?La tesi Florio/Shakespeare già accennata in precedenza, è stata sviluppata in un accurato saggio da Lamberto Tassinari, docente dell’Università di Montreal, nel suo libro Shakespeare è il nome d’arte di John Florio, pubblicato nel 2008 dalla Giano Books di Montreal (che l’anno dopo ne pubblicò la versione inglese con il titolo John Florio. The Man Who Was Shakespeare). Oltre a tale ipotesi, ce ne furono anche diverse altre, come ad esempio quella secondo cui le opere di Shakespeare siano state scritte dal conte di Oxford, morto diversi anni prima della messinscena delle grandi tragedie shakespeariane (ma non è vero che era morto, dicono i sostenitori di questa ipotesi).Un altro candidato è stato Francis Bacon, a partire dal 1865, quando la scrittrice americana Delia Bacon sostenne la tesi che Bacon, politico, filosofo, alto funzionario, faceva da coordinatore (quando? nei ritagli di tempo?) di un gruppo di autori che scrissero i drammi di Shakespeare. Un paio di altri americani seguirono a ruota, seguiti a loro volta da altri sostenitori di tale tesi, e nel 1886 fu fondata in Inghilterra un’associazione con la missione di promuoverla. Una ventina di anni fa Peter Dawkins, studioso e uomo di teatro, pubblicò un dottissimo libro, The Shakespeare Enigma, in cui perorava la tesi della scrittrice americana.Ma perché tanto agitarsi per negare che i testi di Shakespeare li abbia scritti Shakespeare? Forse perché non si vuole accettare il fatto che uno che l’università non l’aveva fatta potesse scrivere lavori così straordinari? Sicuramente questa fu una delle ragioni per cui il drammaturgo e laureato Robert Greene in un suo opuscolo accusava Shakespeare di copiare dai testi che lui e i suoi colleghi avevano scritto; ma così facendo certificava che Shakespeare era un drammaturgo, sebbene loro fastidioso concorrente.In certo senso Shakespeare lo era anche di Ben Jonson, che tuttavia gli dedicò alcuni eleganti versi, esaltandolo come autore. E quel Ben Jonson che lo conosceva e frequentava non si sarebbe mai accorto che Shakespeare firmava soltanto dei testi scritti da altri? E nella piccola comunità dei teatranti londinesi, di fatto tutti rivali tra loro, nessuno si sarebbe mai accorto di quell’inganno tenuto così efficacemente segreto? Quel «segreto» non sarebbe durato neanche un giorno.C’è infine un’ultima considerazione da fare. La grandezza di Shakespeare sta non solo nella poesia, ma nel valore teatrale dei suoi lavori (che infatti continuano ad andare in scena in tutto il mondo). Nessuno dei candidati ghost writers aveva la seppur minima esperienza della scrittura e della pratica del teatro. Shakespeare ovviamente sì. I «prestanomisti» se ne facciano una ragione.