Corriere della Sera, 21 febbraio 2024
Una serie tv racconta la «pugnalata» di Capote a all’alta società. E l’America torna a discuterne
In una delle pagine più terrificanti di quel terrificantissimo libro che è Musica per Camaleonti (Garzanti), Truman Capote racconta la storia vera di un avvocato assassinato – insieme con la moglie – da nove grossi serpenti a sonagli lasciati dal killer nella sua auto (e per sicurezza, ai rettili erano state iniettate anfetamine).
Il libro uscì nel 1980, estremo capolavoro della vita gloriosa e tristissima di uno dei massimi autori del dopoguerra che sarebbe morto poco dopo, ma cinque anni prima Capote aveva intinto in un veleno – letterario, ma non importa – la sua penna, pubblicando su Esquire «La Côte Basque, 1965», formalmente un racconto, fiction, ma in realtà un resoconto fedele – cambiando i nomi dei protagonisti, ma tutti li riconobbero – di quello che per vent’anni gli avevano raccontato i suoi «cigni», le dame dell’alta società che lo avevano adottato come confidente. Il mondo di quel jet-set, americano e cosmopolita, stava finendo, ucciso dalla globalizzazione e dal cambiamento dei costumi e della società, ma sicuramente Capote mettendone in piazza i panni sporchi – letteralmente: chi ha letto «La Côte Basque, 1965» inclusa dopo la sua morte nell’incompiuto Preghiere esaudite sa che abbondano i dettagli grevi – ne accelerò la scomparsa.
Perché pugnalò alle spalle le dame della high society, bellissime e diafane – Slim Keith, Babe Paley, C.Z. Guest, Lee Radziwill sorella di Jackie Kennedy, Ann Woodward e Marella Agnelli e Joanne Carson – che avevano adottato quel ragazzo geniale di New Orleans, alto a malapena (forse) 1,60, gay, spiritosissimo? Non pensavano che tutte le loro confessioni sarebbero alla fine entrate in un suo libro? E lui, perché lo fece, dopo lo straordinario successo mondiale di A sangue freddo e il «Black and White Ball», il galà del secolo, al Plaza di New York, che ne consacrò la fama ben oltre quella generalmente riservata ai romanzieri?
I biografi di Capote se lo chiedono dal 1984, data della sua morte, in solitudine, tra pillole e alcol e disperazione, a casa dell’unico cigno che non l’aveva bandito dalla propria vita, Joanne Carson.
Un bel libro di Laurence Leamer, Capote’s Women: A True Story of Love, Betrayal, and a Swan Song for an Era, che lodevolmente non fa sconti a nessuno dei protagonisti, è diventato una mini serie tv, Feud, negli Usa su Fx e prossimamente in Italia su Disney+. Il cast, corale, di grandi attrici sarebbe piaciuto a George Cukor: Slim Keith è Diane Lane, Babe Paley Naomi Watts, a C.Z. Guest dona sarcasmo Chloë Sevigny, Lee Radziwill è la Calista Flockhart dell’«Ally McBeal» anni Novanta, Ann Woodward è Demi Moore e la compassionevole Joanne Carson ha il sorriso triste di Molly Ringwald.
Tom Hollander (di Orgoglio e pregiudizio) interpreta Capote con una malinconia che non può non renderlo umano, sinceramente stupito del fatto che le sue amiche non capissero che – secondo lui – erano state immortalate in un capolavoro «in progress» che avrebbe toccato – sempre secondo lui – vette flaubertiane. Vediamo i flashback, i ricordi del Capote ormai solo e triste, isolato dalla high society alla quale da provinciale escluso da tutto, per censo e identità sessuale, non avrebbe mai sognato di appartenere. Ma il creatore della serie, Ryan Murphy (la regia è di un grande del cinema, Gus Van Sant) non fa sconti a Capote. È toccato all’interprete del cigno più bello, Diane Lane che a 59 anni dà molti giri di pista – per talento e bellezza – alle colleghe di trent’anni più giovani inseguite dalle copertine – il commento più acuto: «Capote le collezionava, come si fa collezione di oggetti d’arte. Aveva bisogno di loro, forniva loro amicizia, era uno scambio. Mi lascia inorridita, ma in qualche modo sono anche felice per le sue amiche: riconosceva la loro umanità, dando loro spazio per respirare. Era un’arma a doppio taglio».