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 2024  febbraio 21 Mercoledì calendario

Gli Icaro della tuta alare

C’è chi non salirebbe su un aereo nemmeno sotto tortura e chi per provare l’ebbrezza del volo è pronto a trasformarsi in un mammifero volante, a rischio della vita. Come è successo ad Alessandro Fiorito, pilota di aerei commerciali e paracadutista esperto, 62 anni, di Gallarate, un’esistenza tra cielo e terra. Ieri si è lanciato con la tuta alare dalla parete del Forcellino, circa 400 metri di dislivello nel territorio di Abbadia Lariana, comune della provincia di Lecco.
Mattinata in apparenza perfetta: cielo azzurro, lontano dall’inquinamento che avvolge da giorni la Pianura Padana. Fiorito era un base jumper, la disciplina più estrema, rischiosa e spettacolare del paracadutismo. Ha indossato la tuta alare e si è lanciato nel vuoto, come già aveva fatto molte volte, ma qualcosa non ha funzionato. Un testimone ha assistito all’incidente: ha visto il lancio fuori controllo di Fiorito e ha subito chiamato i soccorsi. Errore umano o problema con i materiali: la tuta non si è gonfiata e il paracadute di emergenza non si è aperto in tempo, questo risulta da una prima ricostruzione. Sarà un’inchiesta a ripercorrere gli ultimi momenti della vittima, mentre cadeva in avvitamento e si andava a schiantare una manciata di secondi dopo.
Il Forcellino sta diventando uno dei posti preferiti per il base jumping. La notorietà ha accresciuto il numero di incidenti, anche se quello di ieri è il primo morto. Una settimana fa, un base jumper di 32 anni di Roma ha mancato il punto di atterraggio ed è planato nel lago. Lo scorso maggio un 51enne, anche lui della provincia di Varese, è rimasto appeso con la vela a uno sperone di roccia ed è stato tratto in salvo.
Secondo le statistiche, il base jumping ha il primato mondiale delle vittime, 473 da quando esiste una contabilità, rispetto ai praticanti, tremila in tutto il mondo e in forte crescita. L’US National Centre for Health ha stimato il rischio in una vittima ogni 60 praticanti. Il sito basejumper.it fa di più: pubblica l’elenco dei caduti dal 1981 a oggi. Il maggior numero di incidenti fatali è in Svizzera (118), seguito da America (82) e Francia (65). L’Italia è quarta con 55. I dati a volte non sono omogenei perché includono i base jumper che usano il paracadute tradizionale
La voglia di volare affonda le radici nell’antichità, fino al mito di Icaro e al suo folle volo verso il sole. Poi venne Leonardo da Vinci: suo il disegno di una macchina che avrebbe dovuto consentire agli umani di volare come gli uccelli. Ma l’intuizione moderna arriva a fine Ventesimo secolo. Il paracadutista francese Patrick de Gayardon è il pioniere della tuta alare: copiare gli uccelli è complicato perché sono troppo leggeri, meglio ispirarsi ai mammiferi che usano il proprio corpo per planare, come per esempio gli scoiattoli volanti.
La tuta alare nasce ufficialmente il 31 ottobre 1997: de Gayardon si lancia da un elicottero a seimila metri di quota, sfiora il Monte Bianco a 180 chilometri l’ora e atterra a Courmayeur con il paracadute tradizionale, tra i turisti divertiti. La maledizione di Icaro lo colpisce: morirà sei mesi dopo per un problema di apertura del paracadute. Gli studi sulla tuta alare vengono ripresi e approfonditi. Materiali e tecniche subiscono un’evoluzione continua e i proseliti aumentano. Le action cam montate sul casco e i video pubblicati sui social hanno un effetto pubblicitario eccezionale. Le immagini regalano scariche di adrenalina. Il paracadutismo tradizionale, il deltaplano e il parapendio sono nulla al confronto. Ma il prezzo in vite umane?
«È lo sport più figo del momento per quella fascia demografica composta da maschi, altamente impressionabili, tra i 18 e i 35 anni», spiega Richard Webb, ex pilota della Marina, in un articolo uscito sul National Geographic. Uno sport, come scrive l’autore dell’articolo Andrew Bisharat, «bello, primordiale e capace di creare dipendenza». Altro che Icaro. —