il Giornale, 21 febbraio 2024
Piangere la morte di un animale domestico. Un lutto vero
Gentile Direttore Feltri,
a molti potrebbe sembrare stupida questa mia lettera, ma io so che lei comprenderà le mie parole e anche il mio dolore, dato che conosco la sua proverbiale sensibilità nei confronti degli animali. Ho perso il mio gatto da una decina di giorni e sono vinta da una sofferenza che mi porta a scoppiare in lacrime all’improvviso, non solo quando sono a casa da sola, ma anche quando mi trovo in ufficio. Ieri sono venuta a conoscenza di un fatto molto spiacevole: alcuni miei colleghi mi deridono a causa della mia reazione al lutto, dicono che sono esagerata e ridicola. Si crede che perdere un micio o un cane, che sono nostri compagni di vita, sia ben diverso dal perdere un familiare. Nel primo
caso il patimento non è né ammesso né comprensibile. Ora mi ritrovo costretta a mascherare quello che provo, a fingere, per non essere presa in giro da questa gente. E non le nego che ho persino difficoltà a recarmi in ufficio. Sono profondamente delusa. Cosa devo fare?
Erica Durazzani
Cara Erica,
ad essere stupidi sono i tuoi colleghi e non la tua lettera. Essi ignorano il fatto che non soltanto per te ma per 9 italiani su 10, stando alle statistiche, il proprio animale domestico, che sia cane o gatto o un topo o qualsiasi altra bestiolina, equivale a tutti gli effetti ad un componente del nucleo familiare. Quindi è normale soffrirne la scomparsa in maniera acuta, come se si trattasse di un congiunto, in quanto esso è un affetto stabile, una creatura che per pochi o tanti anni ha condiviso con il custode non solamente il tetto, che è lo spazio più intimo in assoluto, ma anche gioie e dolori, solitudini, malesseri, giorni felici e anche tristi, momenti che restano scolpiti nella nostra memoria in modo indelebile.
Semmai sarebbe anormale il contrario, ossia non risentirne affatto, cioè non provare alcuna emozione per la morte del proprio quattrozampe.
Io conservo memoria di questa esperienza. Mi è capitato di attraversare più volte nel corso della mia esistenza la dipartita di alcuni dei mici che hanno fatto parte della mia vita. Ogni volta ha fatto male. E non mi imbarazzo ad ammettere che anche io, come te, ho sfogato nel pianto la mia disperazione.
Non sentirti sbagliata per questo e soprattutto non consentire a nessuno di farti sentire sbagliata soltanto perché sei umana, perché sei capace di amare, perché vuoi bene al gattino che è morto come se fosse un familiare. Lo era, lo è stato. Cosa è più familiare, dopotutto, di un animale che non
ci tradisce, che ci accetta così come siamo, che ci perdona tutto, che ci aspetta, che ci mostra sincero e incontenibile entusiasmo per il nostro ritorno a casa, che non ci giudica, che non ci ferisce, che ci è accanto e ci consola silenziosamente quando siamo a pezzi, che non ci chiede nulla ma che pure ci dona tutto se stesso?
Gli unici esseri da cui non sono mai stato deluso sono proprio loro, le mie bestie: asini, cavalli, gatti, persino pecore e galline. Chi ha il diritto di giudicare se possiamo o meno soffrire per la loro dipartita? Chi diavolo può arrogarsi la pretesa di stabilire che disperarsi per la dipartita di un micio sia comportamento macchiettistico o da svitati? Chi può affermare che mi è consentito essere in lutto se perdo un parente che non ho mai frequentato e non mi è consentito essere in lutto se perdo un micio con il quale ho dormito, mangiato, condiviso ogni cosa?
Recati in ufficio serena, a testa alta, resta indifferente ai tuoi colleghi e al loro mediocre chiacchiericcio, limitandoti a intrattenerci rapporti formali, compatisci chi non è in grado di capire.
E sii orgogliosa, cara Erica, di non essere come loro