Domenicale, 18 febbraio 2024
Le parole del 2023 secondo la Treccani
La parola challenge con il significato di «sfida anche pericolosa, posta a sé stessi o lanciata tra gruppi, che viene ripresa e caricata in formato video sui social media, con l’obiettivo di ottenere il gradimento altrui» è entrata nella mia famiglia solo pochi mesi fa: l’ha portata mio figlio, di sette anni (che non ha un telefono e ignora cosa siano Instagram o TikTok), avendola sentita a scuola. Né io né mia moglie l’avevamo mai usata. Ho preso il significato che avete appena letto dal Libro dell’anno 2023 della Treccani, diretto da Marcello Sorgi. Challenge è infatti una delle parole scelte da Silverio Novelli per la sezione “Parole dell’anno”. Non si tratta di neologismi, ma di espressioni considerate rappresentative dell’anno appena trascorso. È evidente che la mia famiglia non dev’essere stata l’unica in cui questa parola ha cominciato a circolare.
Sono 44 le espressioni scelte da Novelli. Una decina rimandano alle estremizzazioni del clima che sono sotto gli occhi di tutti. È così per ebollizione globale, traduzione di global boiling usata dal Segretario generale dell’Onu António Guterres il 27 luglio 2023 in un discorso a New York. Le altre non sono meno preoccupanti, come downburst, una parola inglese usata con riferimento a una «serie di raffiche di vento che, scendendo dalla parte più alta di un temporale, precipitano come folate fredde verticali contro il suolo», oppure isola di calore urbano per descrivere una parte della città in cui la mancanza di verde rende la temperatura più elevata per effetto di materiali (asfalto, cemento) che trattengono il calore. Ma altrettanto significative sono le espressioni che rimandano ai cambiamenti della società: non sorprende la presenza di famiglia queer per indicare una «comunità di persone che, indipendentemente dal genere d’appartenenza o dall’orientamento sessuale, vivono insieme per scelta e sono legate da affinità affettive»; meno ovvia è la segnalazione di gravidanza solidale «gravidanza che viene portata avanti dalla gestante senza alcun compenso da parte dei genitori intenzionali, con l’obiettivo di mettere al centro la tutela dei nati» oppure di oblio oncologico «abolizione dell’obbligo di dichiarare di essere stati pazienti oncologici dopo un periodo indicato dalla legge al fine di evitare forme di discriminazione».
È evidente che la vitalità di queste espressioni sarà legata al modo in cui vivremo in futuro. La lingua è sempre il riflesso delle idee, della storia, delle condizioni di vita, dei rapporti che gli uomini riescono a creare. Lo si vede bene in un libro curato da Giuseppe Antonelli per il Mulino intitolato La vita delle parole. Il lessico dell’italiano tra storia e società (pagg. 786, € 38). Il libro raccoglie, rielaborati per l’occasione, alcuni volumi della collana «Le parole dell’italiano», ideata dallo stesso Antonelli e pubblicata dal «Corriere della sera» tra il dicembre 2019 e il giugno 2020. Si tratta di una straordinaria guida alle parole della nostra lingua: una lettura perfetta per chi insegni a scuola, all’università o sia solamente curioso dei meccanismi che governano le parole italiane.
I saggi che compongono il volume ragionano – con uno stile felicemente accessibile, privo di tecnicismi – sull’etimologia, sui prestiti da altre lingue, sulla formazione delle parole, sull’articolazione dei significati, spingendosi sino a descrivere come cambia il lessico a seconda dei diversi àmbiti. Tra i saggi ce n’è anche uno – firmato da Rita Fresu – intitolato Lessico familiare. Il riferimento al celebre libro di Natalia Ginzburg del 1963 è naturalmente voluto. Ciò che viene descritta è quella galassia di soluzioni che usiamo correntemente in famiglia, con chi è più vicino, per abbreviare le distanze: dal cosiddetto “baby talk” (bua, brum brum, ecc.) sino ai colloquialismi più diffusi, come pazzesco nel senso di “straordinario”, lungo nel senso di “lento”, scassare con il significato di “rompere”, stravaccarsi per «sedersi o stendersi scompostamente». Una tipologia non facile da circoscrivere e che, per il passato, è documentabile soprattutto attraverso le lettere. Fresu ricorda ad esempio come Manzoni, mentre era alle prese con I promessi sposi, giocasse nelle lettere con superlativi come tuissimo o carissimissimo. Gli alterati sono d’altronde uno dei tratti più caratterizzanti dell’uso colloquiale: pensiamo a quando diciamo viaggetto, nottataccia, appartamentino, compagnone. Questo tipo di lingua non è meno importante di quella alta, più controllata, a cui solitamente si presta maggiore attenzione. Lo ricordava già negli anni 50 un grande linguista come Bruno Migliorini: «le parole non hanno soltanto un aspetto intellettuale, bensì anche un aspetto ambientale e un aspetto affettivo». E faceva l’esempio dell’alternanza tra tibia e stinco, tra gatto e micio, tra asino e ciuco. Parole in cui «se la nozione è la stessa, l’atmosfera è un’altra».