La Lettura, 19 febbraio 2024
La Lombardia, regione privilegiata per i Data Center
La fortezza è invalicabile, sorvegliata giorno e notte da guardie armate. È fatta di acciaio e cavi, chilometri di fibra. È rumorosa, la difendono uomini silenziosi. Mangia energia e restituisce connessioni. Nascosta da anonimi edifici, protegge banche, ospedali, aziende. Ci serve quando controlliamo il conto online, prenotiamo un volo da un’App, ascoltiamo un brano su Spotify, leggiamo i risultati degli esami del sangue. È fondamentale e necessaria. Come le altre infrastrutture. Come le autostrade. O la rete elettrica, i porti, le arterie ferroviarie. Eppure non ne sappiamo quasi niente, convinti come siamo che una «nuvola» immateriale basti a tenere in piedi milioni di interazioni. E invece ogni cloud che galleggia nel cielo virtuale ha bisogno di solide, molto corporee, radici a terra: ci sono luoghi fisici che mettono al sicuro le nostre vite digitali, magazzini – hangar di armadi, che a loro volta contengono i server – che si chiamano Data Center. Per funzionare hanno bisogno di spazio, suolo, alimentazione e notevoli sistemi di sicurezza. L’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano calcola che in Italia gli investimenti nel settore per il periodo 2023-2025 saranno di 15 miliardi di euro. Altra energia, altri spazi da trovare, ovviamente anche altri nuovissimi posti di lavoro per un mercato in clamorosa ascesa. «La Lettura» è entrata in uno di questi caveau. Cattedrali che custodiscono i nostri gusti, risparmi, sogni, segreti.
I Data CenterSono edifici che mettono a disposizione lo spazio, la rete di comunicazione, l’energia e tutti i servizi necessari per il funzionamento, la protezione, il mantenimento delle risorse informatiche di piccole, medie, grandi, grandissime aziende (definizione: «Garantiscono il funzionamento costante di tutte le apparecchiature informatiche, dei sistemi, delle reti e dei servizi a supporto delle attività digitali dell’impresa»). Non semplici «alberghi» per lo scheletro digitale di un’attività, ma grandi centri – i più importanti sono circa un centinaio in Italia – che ospitano un insieme di server per l’elaborazione e la comunicazione dei dati verso l’esterno, oltre che per la loro archiviazione. È vero, ci sono i cloud provider (di Microsoft, Amazon, Oracle, Google...), spazi virtuali dove immagazzinare e incrociare i dati, ma anche loro, in ultima analisi, devono appoggiarsi a un Data Center fisico per rendere le informazioni accessibili e condivisibili con aziende, partner, clienti e utenti. È anche vero che una piccola realtà può decidere di tenere i server in cantina, o in un sottoscala (ce ne sono a migliaia). Ma sprecherebbe energia, non avrebbe garanzie sulla performance degli hardware (a questo servono i generatori di emergenza), sulla protezione delle connessioni. Temi fondamentali che hanno fatto nascere un’associazione, Ida (Italian Datacenter Association), e che stanno ridisegnando la mappa dei Data Center italiani. Da piccoli, autonomi e antieconomici, a poli della digitalizzazione, destinati ad avere ciascuno una potenza anche superiore ai 10 Megawatt. Per capire le dimensioni del fenomeno basta fare un calcolo: se a un bilocale servono in media 4,5 Kilowatt di potenza, allora un Megawatt (mille Kilowatt) fornisce energia a circa 220 appartamenti.
Il caso italiano e il caso MilanoL’Osservatorio Data Center del Politecnico ha analizzato lo scenario europeo del settore. E, sorpresa: i soliti big, i grandi dei mercati Flapd (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi, Dublino) stanno perdendo forza, saturi, a favore di una maggiore decentralizzazione. Verso dove? Là dove servono maggiori connessioni e più facili sono i contatti con i Paesi in via di sviluppo. Ecco allora la rivincita di Milano e Madrid (le MM) che con Zurigo e Varsavia si candidano a diventare le nuove capitali dei Data Center. Il motivo, almeno per quanto riguarda Milano, si spiega velocemente, visto che sono tre i fattori che rendono un territorio attraente per un costruttore di Data Center: la densità di popolazione, la densità di Pil, la densità digitale. Ecco allora che la Regione più popolosa e ricca diventa naturalmente regina dei Data Center. Altra caratteristica che rende non solo Milano, ma tutta la penisola un’area strategica: i cavi sottomarini la collegano al Mediterraneo e quindi ad Africa, Medio Oriente, perfino Estremo Oriente trasformandola potenzialmente in un grande polo non solo di smistamento dati (e la porta di entrata all’Africa orientale) ma anche un erogatore di servizi e di competenze per le nazioni vicine (Grecia, Slovenia) e per quelle più lontane che vogliono connettersi con l’Europa e viceversa. Esempio: se una grande multinazionale tedesca vuole investire su un mercato africano instabile dal punto di vista politico e sociale, preferisce appoggiarsi ai Data Center «sicuri» nel sud dell’Europa.
Secondo il report dell’Osservatorio dedicato ai Data Center – che oggi in Italia possono contare su una potenza energetica di 430 Megawatt (di cui 184 solo a Milano) – per il biennio 2023-2025 è stata annunciata l’apertura di 83 nuove infrastrutture. Ritmi forsennati. Microsoft ha inaugurato lo scorso novembre il suo primo polo (di tre) a Caleppio di Settala (Milano) con una spesa annunciata di un miliardo e mezzo di euro in cinque anni. L’hinterland milanese (e oltre) ospita così tanti Data Center da assumere il titolo di «Cloud Region», ottima per gli investitori anche perché a basso rischio sismico. I poli si trovano a Cornaredo, a Settimo Milanese, a Rho-Pero, a Basiglio. In città ci sono gli hub di via Caldera, l’«Avalon 1» ( 8.900 metri quadrati distribuiti su 4 edifici con 25 sale dati e un’energia da 4,3 Megawatt), e di via Bisceglie (l’«Avalon 3») del gruppo Retelit. La Borsa italiana nel 2022 ha spostato i suoi dati da Basildon, nel Regno Unito, a Ponte San Pietro, Bergamo, all’interno del campus di Aruba: da qui passa il 25 per cento del trading azionario europeo. Anche lo Stato si sta muovendo (il tema della sovranità del dato è politico): con i fondi del Pnrr sta razionalizzando le proprie infrastrutture all’interno del Polo Strategico Nazionale per i servizi digitali della macchina burocratica. Le sedi: Acilia e Pomezia nel Lazio, Rozzano e Santo Stefano Ticino in Lombardia. L’obiettivo: far migrare su digitale 280 amministrazioni entro il 2026. Aspettative superate: le adesioni salgono già a 312.
«L’Italia è a un punto di svolta – osserva Marina Natalucci, direttrice dalla ricerca dell’Osservatorio del Politecnico – perché la sua attrattività si scontra con la mancanza di alcune condizioni necessarie. Tra queste l’inquadramento normativo dei Data Center, che a oggi sono identificati come semplici edifici industriali, generando confusione». Altra questione: la definizione di procedure chiare per costruire le infrastrutture. Anche in questo caso non esiste un procedimento specifico per l’apertura di nuovi Data Center. Risultato: rimpalli tra Comuni, Regioni, ministeri. Ultimo elemento necessario, l’approvvigionamento energetico: visto che i Data Center di potenza superiore ai 10 Megawatt richiedono l’allacciamento all’alta tensione, «saranno necessari investimenti di potenziamento della rete elettrica». Conclude Natalucci: «Lo stato di salute della Data Center Economy in Italia è buono, perché registra una crescita impressionante degli attori già presenti sul territorio ma anche di nuovi. Siamo diventati un Paese interessante, ma poiché aumenta la richiesta di capacità di calcolo, abbiamo bisogno di Data Center sempre più efficienti e con regole uguali in tutti i Comuni: non è possibile che per aprire un nuovo polo a Milano o a Roma ci siano criteri diversi. Servono norme chiare e nazionali».
«La Lettura» nel caveauI dati sensibili vanno protetti. Bene. Ecco perché «la Lettura» ha dovuto superare diversi controlli per entrare nel Data Center ML2 dell’americana Equinix, in via Savona a Milano (Equinix, fondata nella Silicon Valley nel 1998, è tra i principali fornitori di infrastrutture digitali; mette in contatto finanza, produzione, commercio al dettaglio, trasporti, governi, sanità, istruzione; ha sedi anche a Settimo Milanese, Basiglio, Genova). Un Qr Code viene inviato il giorno prima dell’appuntamento. Senza quello non si passa. Poi, alla reception, si consegnano i documenti, si scansiona il codice e solo a quel punto vengono dati un tesserino magnetico da passare a ogni porta e, a parte, un pin da digitare sul tastierino vicino al lettore del badge.
E sì che da fuori, quello di via Savona, quartiere storico del Giambellino, sembrava «solo» un bell’edificio della vecchia Milano, un’ex fabbrica di interruttori in ghisa del primo Novecento perfettamente ristrutturata e riconvertita per la New Economy. Tutto vero, se non fosse che varcate una bussola e le prime porte (c’è anche il lettore delle impronte digitali, ma non è richiesto questo controllo aggiuntivo), si entra nel futuro. Distopico, un po’ inquietante. Stanze fatte di contenitori enormi, scuri, rumorosi, lampeggianti. L’armadio, rack, protetto da infinite password ma anche da lucchetti, contiene i server che raccolgono la vita delle aziende e anche le nostre. Se un’attività vuole più privacy, e preferisce non condividere il mobile, chiede una cage, una gabbia. Se ha bisogno di un aggiuntivo sistema di sicurezza, allora assume un guardiano personale, umano, in postazione 24 ore al giorno: eccone uno, seduto su una sedia, guarda fisso la cage, saluta con un cenno. Naturalmente è impossibile sapere cosa sta sorvegliando.
La fibra, enormi cavi gialli che rendono possibile il 98 per cento delle connessioni, viaggia sul soffitto (ci sono anche, in minima parte, i collegamenti in rame, particolarmente attraenti per i ladri comuni, non i cyber pirati, anche se Equinix, come tutte le società di Data Center, garantisce «bunker sicuri, guardie armate e ronde dell’area perimetrale»). Fa caldo, chissà in estate. Emmanuel Becker, managing director per l’Italia di Equinix che accompagna «la Lettura» in questo tour, mostra il funzionamento delle macchine, fa notare nella Data Hall le bombole di gas inerte per spegnere eventuali incendi, chiarisce il concetto di Crac di sala (Computer Room Air Conditioning): «Assorbe l’aria calda e la raffredda rimandandola indietro, rinfrescata, ai server». A Parigi il calore prodotto dal Data Center di Equinix riscalderà le piscine olimpioniche, qui non siamo ancora a questi livelli di circolarità. «Equinix ha migliorato l’impronta ecologica nei vari Data Center in Italia, contribuendo alla riduzione del consumo di energia. In parallelo, si sta lavorando sul progetto di recupero del calore». Anche perché efficientamento significa meno consumi e meno rischi. Di dispersione dei dati, ma anche di cyber crime, particolarmente aumentato negli ultimi due anni: secondo il report di Swascan, nel secondo trimestre del 2023 gli attacchi in Italia sono saliti del 34,6 per cento rispetto ai primi tre mesi. Le aziende di servizi sono le più colpite.
Greenfield contro BrownfieldEnergivore, senz’altro (secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia il consumo di elettricità dei Data Center nel mondo è pari a circa l’1 per cento del totale e potrebbe raddoppiare entro il 2026). Ingombranti, pure. A forte impatto ambientale, anche. Tema delicato, c’è un problema di efficienza e sostenibilità. E di consumo del territorio, soprattutto di terreni agricoli, verdi. Ecco cos’è il Greenfield (costruire su aree libere e inutilizzate, non occupate da attività antropiche), pratica su cui da sempre polemizza Legambiente. A Corsico (Milano) è arrivata in Comune una richiesta di cambio di destinazione d’uso – da terreno agricolo a produttivo – di una superficie di 105 mila metri quadrati, pari a 15 campi di calcio, per far nascere un nuovo Data Center, tra l’altro in uno dei 15 Comuni più cementificati d’Italia. «Per ora – fa sapere Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente nazionale – siamo riusciti a fermare l’iter, a salvare uno degli ultimi spazi verdi rimasti della zona. Il punto è che questi operatori sono ricchissimi e offrono alle amministrazioni compensazioni di grande valore perché hanno fretta».
Costa molto di più e richiede molto più tempo il Brownfield, cioè il collocamento dei Data Center in aree dismesse, da bonificare, come è successo negli spazi della ex Italtel a Cornaredo, dove è sorto il Data Center di Data 4 Group. O come fa Equinix in tutte le sue sedi, e come ha fatto Aruba a Ponte San Pietro, dove sorgeva un’azienda tessile. A Vignate (Milano), invece, è previsto per settembre il via al cantiere per il Data Center del colosso Stack Emea (ha già un polo a Siziano e ne sta realizzando uno su un capannone a Liscate): occuperà circa 80 mila metri quadrati di area agricola. Legambiente si batte anche contro il Data Center di Arcene, nella Bassa bergamasca, «stralciati altri 150 mila metri quadrati di verde». Aggiunge Di Simine: «Noi non siamo aprioristicamente contro questi centri, che tra l’altro non producono traffico visto che non hanno bisogno di molti addetti, ma chiediamo che il loro sviluppo sia vincolato alla valutazione ambientale e che le amministrazioni sostengano il Brownfield, magari creando un catalogo regionale delle aree dismesse. Serve inoltre una riflessione sulla dispersione del calore che i poli producono: deve essere destinato al teleriscaldamento». Naturalmente ci sono le eccezioni: a Larderello (Pisa) c’è il primo Data Center alimentato con l’energia geotermica.
Il patto di IdaEssere sostenibili è un costo. Trasformare il calore prodotto in teleriscaldamento abitativo (come stanno facendo Londra nei quartieri di Hammersmith e Fulham, Helsinki, il cantone di Ginevra), bonificare aree industriali è oneroso. Ne sono consapevoli i soci di Ida, l’associazione che riunisce i principali attori dei Data Center italiani fondata nel dicembre 2022. Presidente è proprio Becker di Equinix, che spiega: «La nostra materia prima è l’energia, non vogliamo sprecarla. Le aziende di Ida ogni anno fanno grandi sforzi in efficienza e sostenibilità: ci impegniamo a ridurre il nostro impatto sul territorio». Per esempio, prosegue, «lavoriamo molto sulle compensazioni, realizzando, tra gli altri, parchi per bambini e piste ciclabili».
Ida ha aderito al Climate Neutral Data Center Pact, il patto per la neutralità climatica dei centri dati. Con la sottoscrizione dell’accordo, l’associazione si impegna ad accompagnare lo sviluppo sostenibile della trasformazione digitale. Si tratta di un’iniziativa di autoregolamentazione che coinvolge più di un centinaio di realtà in Europa per rendere le loro attività «carbon neutral» entro il 2030, in anticipo di 20 anni sugli obiettivi del Green Deal, il Patto verde europeo.
Cinque i punti dell’accordo. Primo, dimostrare l’efficienza energetica con obiettivi misurabili da un revisore indipendente. Quindi: acquistare energia al cento per cento verde entro il 31 dicembre 2030; dare priorità alle azioni di risparmio dell’acqua; riutilizzare e riparare i server (entro il 2025 gli operatori dovranno valutare il riuso, la riparazione o il riciclaggio del cento per cento delle loro apparecchiature); riciclare il calore per creare un sistema energetico circolare.
I progressi ottenuti seguendo il patto saranno controllati due volte l’anno dalla Commissione europea. «Promuovere l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale dei Data Center – conclude Becker – fa parte della nostra missione come associazione. Il nostro obiettivo è far comprendere a tutti che il comparto sta facendo passi da gigante in termini di efficientamento energetico e rispetto dell’ambiente».