il Giornale, 21 febbraio 2024
Ecco tutti i trucchi per avere ragione O negarla agli altri
Quante aringhe vedete ogni giorno, nei talk show, al bar, discutendo con gli amici, sentendo dibattiti tra politici? Come? Nessuna? Questo perché non sapete che un tempo, pare, i cacciatori usassero le aringhe affumicate per distrarre i cani da caccia rivali. Cosa c’entra con quello che sentite durante una discussione? Ve lo spiega Eugenio Radin nel suo libro Argomentare, Watson!, appena uscito per Ponte alle Grazie. Radin è un giovane laureato in filosofia che, anziché ammuffire nell’università, si è dato alla divulgazione sui social. Nella sua pagina Instagram (@Whitewhalecafe, con centomila follower) pubblica brevi video dove spiega le tecniche retoriche più frequentemente utilizzate e non solo. Cosa invece molto carina del libro: i capitoli sulle fallacie retoriche, in realtà appendici di racconti narrativi con protagonisti Sherlock Holmes e Watson.
Di aringhe se ne sentono ogni giorno guardando i talk show: sono un modo per sviare il discorso dall’argomento principale, di cui non si vuole parlare, a un’esca, per portare l’interlocutore verso discorsi più congeniali. Nota anche come ignoratio elenchi, Aristotele la definiva «la causa di tutti i sofismi». Esplicazione di Radin: «La persona 1 presenta l’argomento A. La persona 2 introduce l’argomento B. L’argomento A viene dimenticato». Altro esempio di aringa: «Dovrà ammettere che il nucleare è più sostenibile di ogni forma di energia». Aringa: «Ma mi dica: dove vorrebbe costruire una centrale nucleare?». C’è poi la «fallacia della brutta china», dove «per criticare una tesi A, si presentano una serie di sue conseguenze nefaste, apparentemente inevitabili, ma in realtà del tutto arbitrarie o, addirittura, improbabili».
Quante volte siete incappati nell’«affermazione del conseguente»? Mai? È che non ce ne accorgiamo, perché ormai siamo abituati. La definizione è questa: «L’affermazione del conseguente è un errore formale in cui, in un’implicazione semplice, si deduce la verità dell’antecedente a partire dalla verità del conseguente». Non è chiaro? Non preoccupatevi, Radin è un divulgatore, quindi vi fa un mucchio di esempi a portata di bambino, per esempio: «Dottore! Ho letto su Google che i diabetici si sentono spesso affaticati. Dal momento che mi sento affaticato, temo mi sia venuto il diabete» (che
per un ipocondriaco come me è anche poco, è un ragionamento fallace che applico a qualsiasi sintomo, vado su Google e ho tutto, e nel periodo del Covid mi sentivo tutti i sintomi, anche quelli degli asintomatici). Senza contare quanti «post hoc, ergo propter hoc» abbiamo sentito nel momento della pandemia (e purtroppo ancora oggi). «La fallacia del Post hoc, ergo propter hoc consiste nell’affermare che, dal momento che l’evento Y si è verificato dopo l’evento X, X dev’essere senz’altro la causa di Y». Esempio: ti vaccini, ti viene un infarto (su un miliardo di vaccinati), allora è colpa del vaccino. Lo stesso risultato lo troveremmo però se controllassimo tutti coloro che prima di avere un infarto hanno mangiato una banana. Oppure, esempio di Radin: «Pochi anni dopo aver legalizzato l’aborto, hanno iniziato a diminuire le nascite. Quindi, per aumentare la natalità, dovremmo renderlo di nuovo illegale». Così come uso quotidiano pubblico viene fatto con «l’appello alla paura», cioè «se non accetti X, potrebbe accadere qualcosa di terribile, quindi X va accettato per vero». Esempio: «Se non iniziamo in fretta a decrescere, il mondo collasserà e ci estingueremo. Quindi meglio rinunciare fin da subito al concetto di progresso».
Ma tra le fallacie snocciolate da Radin che ho amato di più c’è quella dell’appello alla natura, perché non se ne può più degli appelli alla natura. Forma logica: «X è naturale. Y non lo è. Quindi X è meglio di Y». È probabilmente non solo una fallacia retorica, ma una vera e propria malattia occidentale (in realtà è antimoderna e antioccidentale, ma gli occidentali ne vanno pazzi perché convinti che naturale sia sempre una cosa positiva). Tranne quando si hanno vere e proprie malattie: chi rifiuta vaccini, antibiotici, betabloccanti, statine, ecc, e si cura con «rimedi naturali» muore molto prima. Però non ho mai visto uno di questi fan dei rimedi naturali andare dal dentista e chiedere di non fargli l’anestesia. In ogni caso, vi consiglio la lettura di questo libro, e mi raccomando: occhio alle aringhe.