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 2024  febbraio 20 Martedì calendario

L’intellettuale Yascha Mounk e l’accusa di stupro che divide l’America


Questa è la storia di un intellettuale di sinistra, famoso e controverso, perché nella sua evoluzione è diventato critico verso la deriva estremista e dogmatica della woke culture.
La controversia attorno al suo pensiero è entrata in una dimensione personale: è accusato di stupro.
Le reazioni attorno a lui ci offrono uno spaccato della società americana, delle sue convulsioni ideologiche, e di quanto sia cambiata dai primi episodi legati al movimento #MeToo.

L’accusa di violenza
Lui è Yascha Mounk, 41 anni, nato a Monaco di Baviera, vive negli Stati Uniti e ha la doppia cittadinanza tedesco-americano. Sua madre, ebrea polacca, fuggì dalla Polonia nel 1969 in seguito a una purga antisemita dentro il partito comunista. Ha studiato nelle migliori università angloamericane: Oxford e Harvard. Parla cinque lingue tra cui l’italiano. Collabora (o collaborava) con alcune delle più prestigiose testate americane e non solo: dal New York Times al Wall Street Journal alla tedesca Die Zeit.
È stato un militante della Spd, il partito socialdemocratico tedesco, ma negli ultimi anni ha fatto notizia per un ripensamento critico su alcuni dogmi della sinistra: ha rivalutato il valore della nazione. In America è (o era) anche membro di istituzioni accademiche e think tank autorevoli: Johns Hopkins University, City College di New York, Council on Foreign Relations. Alcuni di questi incarichi ora sono stati sospesi.
A gennaio una giornalista americana di 28 anni, Celeste Marcus, che dirige la rivista letteraria Liberties, ha scritto di essere stata stuprata due anni e mezzo prima, nel 2021. Il 4 febbraio Marcus ha fatto il nome del suo presunto stupratore: Yascha Mounk.
La violenza sarebbe accaduta al termine di una serata tra amici a casa di Marcus. Lui ha risposto: «È categoricamente falso».
In America la tempesta sui social è tuttora in corso.
Le reazioni si dividono in due campi.
Da una parte coloro che si appellano alla presunzione d’innocenza e allo stato di diritto, sottolineano che Marcus non ha mai sporto denuncia né indica di volerlo fare. Dall’altra coloro che seguono il copione di #MeToo e passano alla condanna immediata, senza indagini, senza diritti della difesa per l’imputato, senza processo e senza appello. Tra questi ultimi il magazine The Atlantic ha sospeso sine die la collaborazione di Mounk; lo stesso ha fatto il Council on Foreign Relations.
Mounk nel suo ultimo libro The Identity Trap – non ancora tradotto in Italia – spiega cos’è la «trappola identitaria» che minaccia la nostra società e la nostra democrazia.
La Critical Race Theory insegnata in molte scuole, per esempio, secondo lui è in «esplicito conflitto» con gli ideali di Martin Luther King, il leader del movimento per i diritti civili: il quale voleva il superamento di una società fondata sulle divisioni razziali, ed era convinto che questo fosse possibile. Al contrario movimenti come Black Lives Matter e tutti i promotori della Critical Race Theory sostengono che «tutta la società va spiegata attraverso categorie di razza, genere o orientamento sessuale». Gli esseri umani vengono imprigionati nelle loro identità alla nascita. Le scuole indottrinano gli studenti perché «si percepiscano come degli esseri razziali».
Mounk rimane un progressista e la sua preoccupazione è di guarire la sinistra radicale da una patologia che rischia di distruggere la nostra democrazia, una minaccia seria quanto quella di Donald Trump. Lo dimostra, fra l’altro, l’avanzata della censura nei campus universitari. Questa vicenda è avvolta in una zona grigia di scetticismo che non ci sarebbe stata alcuni anni fa. È quello che sottolinea la commentatrice Nancy Rommelmann su Substack («The Curious #MeToo Case of Yascha Mounk»). «È un’altra prova – scrive Rommelmann – che non siamo più nel 2020, tantomeno nel 2017. La scrittrice Celeste Marcus cerca una vendetta pubblica contro lo scrittore Yascha Mounk, sostenendo che lui l’avrebbe violentata nel 2021. Lei esige che venga fatto qualcosa. Che cosa esattamente, nessuno lo ha capito. Marcus non ha presentato denuncia alla polizia, né ha avviato una causa civile. Ha scritto un articolo per il magazine letterario che dirige, Liberties. Ritiene che il direttore di The Atlantic (da cui Mounk è stato cacciato) sia uno strumento per ottenere ciò che lei vuole. Ma a parte il fatto che lei desidera che Mounk si veda allo specchio come uno stupratore, e che lui smetta di vivere, l’obiettivo di Celeste Marcus è vago…».

Correzione di rotta
Nella sua analisi Rommelmann vede in questa vicenda il segnale di un cambiamento più ampio, forse l’inizio di una correzione di rotta, forse una presa di coscienza dei danni provocati dalla woke culture contro cui Mounk si è ribellato.
È interessante notare che il City College di New York per ora ha deciso di non licenziarlo. Sembra che tra le autorità accademiche alcuni vogliano difendere i principi dello stato di diritto e del garantismo. I più intransigenti si trovano tra gli studenti. Però l’attenzione della popolazione studentesca si è spostata altrove. #MeToo ha ricevuto un colpo indiretto ma micidiale il 7 ottobre 2023. Di fronte alle testimonianze delle donne ebree stuprate dai terroristi di Hamas, un muro d’indifferenza e perfino di ostilità verso le vittime si è frapposto a quella tragedia. Proprio negli ambienti americani dove ha attecchito il femminismo più radicale, la violenza sessuale ha cessato di essere un orribile abuso, dal momento che veniva perpetrata da coloro che «lottano contro l’oppressore e il colonizzatore», come vengono descritti quelli di Hamas.
La stagione di massima potenza di #MeToo (quel 2017 cui fa riferimento la Rommelmann) vide prevalere il principio che la denuncia di una donna va sempre ascoltata, o addirittura vale una condanna. Il 7 ottobre quel principio è sparito nelle coscienze di tante giovani americane. Le reazioni al «caso Mounk» si situano in una fase di sbandamento generale, di dogmi che vacillano all’improvviso, senza che i militanti capiscano bene le conseguenze