la Repubblica, 20 febbraio 2024
Intervista a Mattia Furlani
È il vento caldo del futuro. Condensato in un asciuttissimo metro e 83 di altezza, impreziosito da un taglio afro e da un’amore per Roma che lo lascia senza parole di fronte alla spianata dei Fori. Mattia Furlani, diciannove anni, fenomeno del salto in lungo. Volto dell’atletica italiana che, sulla terrazza del Campidoglio, espone alcuni gioielli: Palmisano, Stano, Dosso e Simonelli come promemoria di un Europeo che a giugno torna all’Olimpico cinquant’anni dopo Mennea e di un’Olimpiade da protagonisti. Con un ragazzo che vede e salta lontano, quattro prove consecutive sopra gli 8 metri sabato agli Assoluti, l’8.34 che vale come miglior prestazione mondiale under 20 e stagionale assoluta, più il primato italiano indoor strappato dopo 17 anni ad Andrew Howe.
Furlani, lei ha tolto il record a Howe: almeno gli ha fatto gli auguri per essere diventato papà?
«Certo, glieli ho fatti per la nascita di Anna. Non sono riuscito ad andare a vederla perché c’erano gli Assoluti.
Però ho chiamato Andrew subito».
Esulta in stile Spiderman, cita Miles Morales che assume l’identità dell’Uomo Ragno: come stanno i suoi superpoteri?
«Beh diciamo che piano piano stanno uscendo fuori, no? Purtroppo questo non diciamolo ai bambini, ma i superpoteri si costruiscono con il lavoro, il sacrificio. E tanta dedizione.
Sono contento di crescere anche a livello biologico, non solo mentale, rispetto all’anno scorso sto guadagnando su questi due aspetti e i superpoteri aumentano».
Quale supereroe dell’atletica la ispira?
«Ce ne sono molti, o nessuno, più che altro prendo ispirazione da tanti perché l’atleta perfetto non esiste.
Mike Powell aveva la corsa migliore, però Juan Miguel Echevarria era il massimo nella chiusura del salto.
Ivan Pedroso staccava meglio di tutti, però non entrava veloce come Carl Lewis. Cerco la qualità di ogni atleta per riportarla in pedana».
Sua madre Khaty Seck ex velocista e sua allenatrice, suo padre Marcello altista: quanto conta la famiglia nella costruzione del fenomeno Furlani?
«Il 90%. Devo tutto alla famiglia, mamma tutte le sere si mette lì a programmare i miei allenamenti, si sveglia alle quattro di mattina per prepararli e dorme il pomeriggio proprio perché la sera è sveglia a lavorarci. Lei è la macchina motrice, quella che porta avanti programmi rivoluzionari, è incredibile come sta lavorando».
A chi si ispira?
«Chiedetelo a lei, io la mattina mi sveglio ed eseguo come un robot».
Poi c’è sua sorella Erika, bronzo europeo under 23 nell’alto.
«Sono cresciuto con lei, ho seguito ogni sua gara, a tre anni ero da solo nell’Olimpico vuoto a vederla al Silver Gala, la prova generale del Golden Gala. Erika mi fa da maestra in allenamento, è un’atleta 110 e lode. Poi c’è l’altro fratello Luca, la persona più creativa che conosca, quella a cui voglio più bene, è più di un fratello.
Abbiamo costruito insieme un canale YouTube in cui ci raccontiamo».
Sua madre è originaria del Senegal, lei è cresciuto ai Castelli Romani, poi a Rieti: in quanti posti si sente a casa?
«Ovunque in Italia. Ci ho pensato tanto girando per il mondo, ma in nessuna parte mi sento come qui».
Intanto la aspettano gli Europei a Roma, per presentarli l’hanno portata di fronte ai Fori.
«Questa è una pressione in più, onorare una città del genere è bello e spero di portare questo stimolo in pedana. La mia ragazza è romanadella Laurentina, quando usciamo ci troviamo in Piazza del Popolo e da lì ci facciamo tutta via del Corso insieme. Poi sono romanista sfegatato, orfano di Mourinho, quindi lo stadio Olimpico l’ho già visto pieno, sarà eccezionale anche per uno sport come l’atletica che non è ancora paragonabile al calcio».
Ma a una medaglia magari d’oro
alle Olimpiadi ci pensa?
«Non si può negare che con certi risultati si possa arrivare a certi livelli. Devo essere consapevole io in primis di valere una medaglia, devo entrare in pedana con questa mentalità perché la valgo. Bisogna continuare a lavorare con serenità, il resto arriverà».